KAISER IGOR! CRESCE NIBALI, MA È IL GIORNO DELLA VERGOGNA UCI
Stroncati, strappati, stracciati i cinquanta km finali più duri della storia del ciclismo. Il presidente della giuria, braccio esecutivo dell’UCI, impone all’ultimo istante la cancellazione del Crostis, con pretesti legati non alla sicurezza ma alla “sportività”. Sullo Zoncolan vince bene Antón, convince Nibali, traballa Contador che mostra un imbarazzante nervosismo nei confronti del siciliano, pure distante ben oltre 3’ in generale.
Foto copertina: Anton “rasoia” lo Zoncolan (foto Bettini)
La tappa parte monca. Non vale quasi la pena di discutere quanto sportivamente ha preceduto l’ascesa finale, se non per il rispettoso elenco dei fuggitivi della prima ora: Tankink (RAB), l’ultimo a cedere, Brambilla (COL), il più aggressivo sullo Zoncolan poi crollato e giunto a oltre 11’, perfino dietro Rabottini (FAR), il più prudente nell’avvicinarsi alla salita.
Tutti i fatti della corsa hanno semmai più a che vedere con il pasticcio esploso nella serata di ieri. Il presidente della giuria, su impulso dell’UCI, a propria volta condizionata pesantemente dall’intervento dietro le quinte e assolutamente poco trasparente di alcuni gruppi sportivi, annulla l’ascesa del Crostis – sia detto a parer nostro – con un pretesto assai risibile: l’assenza delle ammiraglie lungo la Panoramica delle vette, sostituite da moto munite di meccanico e bici di riserva, avrebbe pesantemente condizionato la dimensione sportiva della competizione.
Che di pretesto si tratti risulta molto chiaro da vari elementi: in primo luogo il fatto che la stessa salita dello Zoncolan sia stata in passato affrontata in quelle condizioni; lo stesso avviene anche oggi, senza alcun problema né alcuna polemica. È abbastanza chiaro che in una tappa altamente selettiva, alla fine della seconda settimana di un grande giro, per di più in cima a una salita di una quindicina di km al 10% medio come sarebbe stato il Crostis!, gli atleti in grado di interagire nella dinamica di gara “ai fini del risultato sportivo” saranno in numero ridotto, forse persino sparpagliati, ampiamente supportabili dal servizio tecnico in moto.
Va aggiunto anche che – se le valutazioni sulla sicurezza ammettevano dibattito, specialmente prima di aver potuto osservare la discesa nella sua recente sistemazione definitiva – viceversa il problema relativo alle ammiraglie era noto nei suoi termini esatti ormai da mesi, e non aveva mai causato rimostranze degne di nota: sollevarlo all’ultimo minuto, quando con tutta la buona volontà non c’era nemmeno il tempo materiale per discuterlo e ponderarlo, ha un aspetto di grave strumentalità.
Se si fosse trattato di condizioni meteo, se si fosse trattato di un maturare di una consapevolezza diversa sul tema della sicurezza nel gruppo dei corridori, avremmo potuto parlare di condizioni sopravvenute solo adesso: ma ci sfugge perché il presidente della giuria abbia aperto gli occhi solo a questo punto su un dato confermato da lungo tempo.
Siamo a questo punto curiosi di venire a sapere quali provvedimenti verranno presi contro la Saxo Bank perché il destino ha voluto, a proposito di regolarità e sportività, che durante la tappa il frazionarsi del gruppo lungo strade assai strette abbia comunque privato i corridori del supporto tecnico per diverse decine di chilometri, e qui senza che alcuna scorta in moto potesse supplire. Questo valeva per tutti i membri del primo troncone che seguiva la fuga, tirato dalla Liquigas, ma non per i corridori del team danese, dacché la loro ammiraglia – unica – riusciva a portarsi in coda a questo primo segmento grazie alla manovra estremamente irregolare di sorpasso nei confronti dell’auto della giuria, viceversa rimasta intruppata. Ci aspetteremmo una punizione esemplare, visto il rigore con cui, quanto ipocritamente!, si sollevano a comando certe questioni.
La decisione in ore estreme ha impedito anche di concretizzare il tracciato alternativo che era stato immaginato in caso di difficoltà meteorologica, costringendo l’organizzazione a una semplice rimozione del Crostis che alterava del tutto il contenuto tecnico della tappa, a questo punto a tutto svantaggio dei corridori che più avrebbero goduto di quelle condizioni, e che magari si erano risparmiati ieri in vista di una giornata odierna di diversa strutturazione. Non si tratta anche in questo caso di un’indebita influenza sui valori sportivi di una regolare competizione?
A tappa in corso, l’organizzazione è stata poi forzata a tagliare ulteriormente il percorso, perché in località Tualis gli abitanti del luogo minacciavano di bloccare la gara: ci si è così diretti subito da Ovaro su per lo Zoncolan, sacrificando il penultimo Gpm e una ventina di km di corsa. La fuga avrebbe anche potuto trarne vantaggio, ma così non è stato, e dopotutto i contenuti tecnici non sono mutati troppo rispetto allo stravolgimento già operato eliminando il Crostis.
Che cosa si può commentare? Che questa vicenda sembra un’epitome delle disastrose politiche UCI negli ultimi anni: nell’incapacità di gestire in modo autonomo e imparziale i rapporti con i team e gli organizzatori si cerca di danneggiare ora gli uni ora gli altri, si fanno concessioni vergognose – ad alcuni potenti team, in questo caso – per cercare di ingraziarsi qualcuno e sventare minacce secessioniste; si innalzano come idoli fasulli, in maniera quasi immorale perché del tutto strumentale, valori chiave come la regolarità o la sportività (per non parlare della salute o della sicurezza, i primi grimaldelli usati contro il Crostis, sventati però dall’ottimo lavoro dell’organizzazione); il tutto viene operato in maniera furbesca e al contempo raffazzonata, senza accorgersi che in questo modo si distrugge l’immagine del ciclismo, che dopotutto è il principale alimento di questo mondo oltreché dell’UCI stessa. Nel groviglio perverso di complotti, lotte intestine, boicottaggi, favoritismi, ci si perde, è difficile seguire alleanze e ostilità, sembra quasi che le confessioni oltreoceano di Hamilton (e forse Hincapie) possano influenzare equilibri delicatissimi e dare adito a nuove complicità.
Pressoché impossibile capire, discernere, dirimere, quello che è certo è siffatti giochi politici si conducono sistematicamente sulla pelle delle persone che del mondo del ciclismo fanno parte: questa è l’altra caratteristica evidente dello stile UCI (ma anche di molti componenti del livello dirigenziale del ciclismo, organizzatori o team manager), l’assenza di rispetto verso le persone che costituiscono la galassia delle due ruote.
Mancanza di rispetto verso i corridori, tirati in ballo senza mai dare peso reale al loro parere (a quanto pare sul Crostis un certo consenso si era raggiunto, e proprio allora…); mancanza di rispetto verso i campioni e le squadre, che su una certa costruzione di questa tappa potevano aver impostato una strategia; mancanza di rispetto verso la gente, quella che aspettava carica di emozione questa giornata, quella per strada da giorni sul Crostis, quella che ha sgobbato giorno e notte per mettere in sicurezza la discesa.
È una vergogna, non ci sono altre parole, e visto che il Giro parla spagnolo verrebbe tanta voglia di fare come i giovani iberici che invadono le piazze delle proprie città per esprimere indignazione verso una classe dirigente pesantemente autoreferenziale, intenta a giostrare circostanze e decisioni con il solo fine di conservare o accrescere il proprio potere, e del tutto disinteressata all’esistenza reale delle persone che sarebbero chiamati a organizzare, guidare, indirizzare.
L’aspetto squisitamente tecnico-sportivo dello Zoncolan è stato di rilievo, ma non straordinario. La Liquigas (finalmente) si è fatta carico di dettare i ritmi prima che restassero allo scoperto solo i grandi. Dopo un attacco veemente di Joaquim Rodriguez, schiantatosi però su un perdurare eccessivo delle pendenze da lui tanto amate, si va configurando una situazione che vedrà modeste evoluzioni. Attacca Antón, risponde Contador, si forma un trio iberico con il succitato scattista catalano, il basco e il madrileno d’adozione. Poi, lo abbiamo anticipato, cede Rodriguez, e gli subentra Scarponi rientrato da dietro. Nibali sale frattanto molto regolare. Rujano pare faticare e paga forse un primo sforzo per restare a ridosso almeno del siciliano.
Attacca Antón, e lo si raggiungerà solo quando avrà tagliato il traguardo: bella la salita dello spagnolo con buoni cambi di ritmo e alcuni momenti di difficoltà. Grande titolo di merito perché questa, come ribadiremo, è salita assai inadatta agli scattisti e ben più amica dei cronomen. Contador sembra intenzionato a far da scudiero al connazionale, e non accenna inseguimenti, mentre l’onere soprattutto psicologico di dettare i ritmi è affidato prima a Scarponi, poi a Nibali, che rientra con grande regolarità di ritmo e poi passa a condurre le danze, sempre affiancato da Contador, mentre Scarponi accusa la fatica.
Su questa ascesa il costo psicologico di decidere il ritmo è ancor più esigente e aspro che su una comune salita il costo fisico di tagliare l’aria: l’incognita è che l’avversario a fianco possa essere pronto ad un attacco in ogni momento, specie se questo avversario si chiama Alberto Contador, la volontà è quella dunque di massimizzare lo sforzo ma evitando ogni fatale fuorigiri, conservando se possibile un piccolo margine per tutelarsi da sorprese. Un equilibrismo più adatto a chi fa della crono il proprio punto di forza, anche perché con i rapporti disponibili oggi il pur chiaro effetto delle pendenze a vantaggio del rapporto peso/potenza è comunque ridimensionato.
Dietro sembra in ottima crescita Menchov, più volte prossimo a riportarsi su Nibali o Scarponi, ma mai in grado di operare in effetti il ricongiungimento: chiuderà a soli dieci secondi dal marchigiano. L’impressione, vedremo se confermata, è che Menchov, come forse pure Nibali, abbia deciso di costruire sapientemente il picco di forma verso la parte finale del Giro: il rischio di questa scelta è che essa può tradursi in una zavorra di minuti nelle prime tappe di montagna, se esse, come in questo caso, risultano assai combattute, e che poi non è nemmeno detto che la forma arrivi, specie se frattanto venisse meno la motivazione. Bravo Menchov a continuare a crescere, almeno finora, ancora più bravo Nibali ad uscire indenne dalla prima parte di Giro e ora a guadagnare in forma: tutto questo ammesso che queste ipotesi siano almeno parzialmente suffragate dai fatti futuri!
Nel finale Contador attacca con forza Nibali, che patisce subito un sensibile distacco. All’interno dell’ultimo km però il siciliano riesce a rientrare: qualche giornalista sostiene che Contador volesse lasciare la vittoria ad Antón, il che è assai probabile, ma non avrebbe, a nostro parere, alcun rapporto con la necessità di “rallentare”, visto che il basco era parecchio avanti (chiuderà con oltre 30” di vantaggio su Contador). Forse Alberto voleva risparmiarsi, ma questa idea è smentita dalla nuova sparata con cui, a poche decine di metri dalla riga, la maglia rosa riesce a frapporre nuovamente sette secondi tra sé e Vincenzo. Per risparmiarsi, bastava limitarsi a stare col messinese e al limite anticiparlo sulla riga.Troppo “facile”, poi, dal punto di vista del duello, dare una sgasata per inchiodare un avversario già provato dall’operazione di rientro: l’impressione netta è che su una misura superiore allo scatto secco Nibali oggi fosse in grado di esprimere pari – o maggior – potenza rispetto all’avversario. Forse anche da questo l’atteggiamento di Contador, sicuramente poco gradevole: già non è bello non dare cambi dietro richiesta e poi scattare in faccia, ma riproporre uno scattino quando si viene ripresi praticamente sull’arrivo è addirittura ai limiti del patetico, specialmente quando si hanno oltre tre minuti di vantaggio.
Da un lato è una mancanza di fair play verso l’avversario, dall’altro lato però potrebbe anche essere una manifestazione di rispetto ancora più radicale: nonostante tutto ti temo, e voglio assolutamente guadagnare ogni secondo disponibile, e demoralizzarti, anche a costo di mettere in gioco “la faccia”. Forse meglio questo che le stucchevoli e quasi nauseanti reciproche manifestazioni di amicizia con Andy Schleck.
Non condividiamo comunque i pesanti fischi che si abbattono sullo spagnolo sia nelle ultime fasi sia sul palco di premiazione per la maglia rosa. Chiaramente il comportamento dello spagnolo non è il massimo dell’eleganza, ma come giustamente commenta Nibali “ognuno ha il diritto di correre come vuole per curare la propria classifica”: in assenza di scorrettezze i fischi sono fuori luogo e davanti a un campione puzzano di nazionalismo d’accatto. L’altro motivo che spiega questo rumoroso dissenso sta nel ricondurre a Contador una responsabilità per l’eliminazione del Crostis: però, come osserva sempre Nibali, “lui, povero, non c’entra”. Senz’altro le pressioni di Riis hanno contribuito alla scelta, ma Riis avrebbe agito così anche alla faccia di Contador stesso. E le colpe più pesanti, comunque, restano dell’UCI. Dal nostro punto di vista è indecente fischiare un corridore al culmine della propria fatica, ma anche nel momento di gioia della premiazione che ne attesta un successo: anzi, per essere più chiari, è sempre e comunque una bruttura, ma la bruttura in questi contesti è finanche accentuata.
A sostegno dell’idea che lo Zoncolan non è poi così adatto agli scalatori puri vanno anche le “relative” controprestazioni di Gadret (comunque 6° a 1’38”), rispetto a Menchov diciamo, di Rujano (10° a 2’11”), di J. Rodriguez (che sembrava in crescita), di Masciarelli (crollato). Tra i 3’30” e i 4’ Kreuziger, Arroyo, Carrara, Le Mevél e Cataldo, vedendo così complicarsi le diverse e rispettivamente commisurate ambizioni di classifica. Comunque impressionante invece la regolarità di Sivtsov, il coniglio dal ciclindro dell’HTC per quest’anno, anche oggi nei dieci a un paio di minuti, consolida così la propria generale. Bravi a confermarsi, sempre nei dieci, gli scalatori puri Nieve, spalla di Antón, e Dupont, spalla di Gadret: le doti dell’iberico erano note, quelle del francese meno, ma tant’è!
Gabriele Bugada