FIUGGI ALL’ULTIMO RESPIRO VENTOSO STROZZA UN GRANDE PETACCHI
Gara a perdifiato su un tracciato morbido e soffocante: sul podio tre velocisti di carattere, ma subito dietro si affollano gli uomini di classifica, scattisti e scalatori. Mossa d’orgoglio di Danilo Di Luca, lampi di classe per i beniamini locali Pirazzi, in strada, e… Agnoli (con la proposta di matrimonio alla fidanzata in diretta nel dopogara).
Foto copertina: lo sprint vincente di Ventoso a Fiuggi (foto Bettini)
Una pedalata. Due battiti del cuore. Solo un’altra frazione di secondo in apnea. Tanto è mancato ad Alessandro Petacchi per conquistare il difficile traguardo di Fiuggi, dopo aver lanciato una volata violenta e disperata dai meno 400 metri: una volata impostata come se il traguardo fosse lì lì, a metà della distanza, o magari in discesa invece che – perfino! – in lieve ma crudele ascesa; una volata pazza, precoce, pirotecnica che ha quindi scaraventato di peso il proprio segmento conclusivo in una dimensione sovrumana, oltre la linea sottile dei battiti massimi e del consumo di ossigeno.
Ventoso esce dalla scia di Petacchi, Petacchi lo riacciuffa, lo affianca, ma resta congelato con “una gamba su e una giù”, i muscoli paralizzati da un dolore ancestrale, il dolore della fame di ossigeno. Ventoso come in un ralenti cala la gamba, completa l’ultima pedalata, e alza le braccia al cielo prima di schiantarsi al suolo consumato, esausto, anzi esaurito; al pari del rivale che, assediato dai microfoni, a stento ansima, poi ammette di aver dato qualcosa più di tutto, di essere andato oltre se stesso, le proprie caratteristiche tecniche, i propri confini umani.
Ferrari, terzo, completa un podio che a vederlo così ti lascerebbe immaginare una volata, magari una volata come tante di una piccola corsa: invece è l’ultima sedimentazione di un gesto tecnico sublime a concludere una tappa vissuta a perdifiato.
A perdifiato è stato lo scatto micidiale di Danilo Di Luca, uno che non apre bocca solo per arieggiare le gengive. Magari la sua polemica di ieri è stata fuori luogo, dettata più dalla rabbia e dalla frustrazione che non da valutazioni ponderate (i materiali tecnici non li impone certo Zomegnan): ma quella frustrazione e quella rabbia erano gonfiate, oggi lo sappiamo, dalla consapevolezza di aver trovato una gamba che avrebbe sprizzato scintille. E così all’arrogante replica del patron del Giro (“evidentemente Di Luca non ha più la gamba con cui domava gli sterrati nel 2005”), l’abruzzese ribatte sulla strada, aprendo il gas nella curva a poco più di mezzo chilometro dall’arrivo, quando il falsopiano si trasforma nello spettro di una salita.
La replica di Petacchi è immediata quanto obbligata, non può che essere così: il pur encomiabile Hondo si è già speso, e se non si agisse subito la gara finirebbe senza scampo nel già ricco carniere che Di Luca ha rimpinguato con queste fucilate micidiali. Basti pensare che alla fine il campione della Katusha chiuderà comunque quarto, superato solo da quei tre atleti ben più veloci di lui. Perché Di Luca apre bocca per risucchiare ogni molecola di ossigeno disponibile, divorandola nella fucina di muscoli che bruciano: e così l’ultima parola del bisticcio col patron del Giro alla fine, anche senza vincere, è la sua.
Se scorriamo la classifica, dopo il promettente Apollonio, troviamo uomini di classifica come Scarponi o Le Mevel (già più volte brillante), poi a cavallo dei dieci buoni scalatori come Garzelli, Tiralongo o Lastras, nei venti uomini duri come Arroyo o Kyrienka, uomini cruciali come Nibali e Menchov. Davvero pochi velocisti, in questa volata tra “oltrevelocisti”.
E non è un caso, perché la tappa, pur esibendo un solo Gpm, era esigente, mossa, asfissiante, almeno finché le nuvole non sono giunta ad attenuare i 33° sotto i quali si sono corse le prime quattro ore di gara. Da subito era partita una fuga, la prima fuga robusta a lunga gittata di questo Giro. Nomi di ottimo calibro, come Veikkanen o Popovych, un coraggioso Modolo che prova ad anticipare, e poi altre due “V” ma stavolta fiamminghe, Vandewalle e Veuchelen. Popovych organizza, capeggia, gestisce. Stabilizza il vantaggio intorno ai quattro minuti graditi al gruppo (lui, il meglio piazzato, ne ha cinque di ritardo in classifica generale) e con i compagni ruota regolare senza che nessuno si debba spremere; si spartiscono serenamente i piccoli bottini del Gpm e del traguardo volante. Poi da dietro la Farnese-Neri inizia a far ruggire i motori, faranno la tappa per Gatto, la sfida è aperta. Davanti il ritmo sale, e sul dentello di Paliano Popovych sapientemente fa fuori Modolo, con un incremento di andatura soave e implacabile. Poi Anagni, ed è la volta del secondo uomo più veloce, Veikkanen. Popovych sembra in totale controllo, ma sta disperdendo energie a profusione. Veuchelen e Vandewalle si aggrappano alla sua ruota. Dietro altre formazioni iniziano a collaborare e il distacco fino ad allora stabile si scopre fragilissimo. La Farnese suda ogni singola goccia di sudore disponibile, sbuffa ogni ansito, compresi quelli del generoso capitano “dimezzato” Visconti, oggi al servizio di Gatto: ma tutto questo sforzo pregiudicherà l’adeguata cura di un finale comunque probabilmente al di là dei mezzi dei corridori di Scinto.
Scollinando Anagni ci prova Pirazzi – un evento che nessun bookmaker avrebbe quotato a più di 1.00! – conquistando un buon margine, destinato però a esaurirsi in assenza di alleati: l’enfant du pays riproverà a bocca aperta anche nel finale, ma senza fortuna.
Sulla rampa tra i meno 10 e i meno 5, là davanti nella fuga, il piano perfetto di Popovych si scontra con la realtà di gambe ormai vuote – quanto quelle di Veuchelen – all’atto di replicare a un attacco a piena potenza da parte di Vandewalle, lui sì capace di resistere in solitaria, anch’egli fino all’ultimo respiro, addirittura oltre il cartello dei meno 2 km.
Sulla pedalabile ascesa è un susseguirsi di scatti e allunghi, tra i più attivi dietro ci sono Rabon, Millar, Frank, infine, proprio dove la strada allentava, Sella, e quindi ancora Millar con Brambilla. Un tripudio di fuochi d’artificio che ustiona le fibre muscolari del gruppo.
Fino a quel finale che toglie il fiato a chi guarda quasi quanto a chi l’ha corso.
Gabriele Bugada