UN DIABLO AL GIORNO
“Salviamo il ciclismo”: questo il motto che il Diablo vorrebbe apporre alle proprie valutazioni complessive su un Tour de France 2009 molto ma molto strano, segnato fortemente dalla presenza di Armstrong e dal predominio imposto anche tramite Bruyneel: segnato, cambiato, “mutato”…e non certo in meglio.
A cura di Gabriele Bugada
Esordisco con una metafora: il Tour era l’università del ciclismo, ma a quanto abbiamo visto possiamo tranquillamente dire che questa università è stata retrocessa a liceo; ovverosia: “bisogna ancora decidere che cosa faremo dopo… che cosa faremo da grandi!”.
Non è un bello scenario, quello che ci ha prospettato questo Tour: la responsabilità sarà anche del tracciato, che molti hanno definito “piatto”, ma io dico che qualcosa di “piatto” (o per meglio dire qualcosa che appiattisce, schiaccia e cancella i valori individuali o il talento vero) sta dilagando nel ciclismo in quanto tale per come si presenta al Tour. Saranno certe modalità di preparazione, sarà il modo di correre… è difficile dirlo da fuori, ma di una cosa sono certo: è cambiata la fisionomia del ciclismo nella più grande corsa a tappe (se mai la si potrà considerare ancora tale).
Questa evoluzione, che io considero tutta negativa, è stata legata in primo luogo ad Armstrong, al suo modo di intendere ciclismo e Tour – che per lui erano più o meno la stessa cosa –. Col suo ritorno, ritroviamo tutti i sintomi: corridori ormai ridotti come automi, e dico ciò ben al di là della discussione sulle radioline, che mi sembra secondaria; controllo assoluto da parte di un gruppetto di squadre che sembrano dominare per motivi economici e politici, non tecnici e sportivi; ossessione su una sola gara, colonizzata fin anche nei piazzamenti o nelle singole tappe, che sembrano assegnate a tavolino.
Il terzo posto di Armstrong non è un bel segnale per il ciclismo, e nemmeno è un bel segnale il fatto che lui tornerà ancora più convinto: il peggiore risultato, però, sarebbe che Lance volesse istallarsi in qualche imprecisata maniera, ma comunque definitivamente, alla testa del ciclismo mondiale.
Io sintetizzo questo status quo in una formula: “meno fantasia, più paura”.
Di questo passo lo sport che amiamo diventerà né più né meno… un’americanata.
Naturalmente la responsabilità è anche degli altri, del vuoto soprattutto di idee ma forse anche di campioni “veri” che c’è lì intorno: purtroppo sono mancati degli importanti uomini di classifica, Sastre, Evans e Menchov, tutti prigionieri di blocchi imprecisati, vittime di una preparazione “moderna” ma del tutto fallimentare nei loro casi. Mai stati in gara, come se si fossero ritirati ancor prima di partire: con l’aggiunta della brutta figura, però.
Ci siamo così ritrovati con una gara davvero carente sul versante tecnico, tanto che non esito a dire che quest’anno (ma forse non solo quest’anno) il Giro è stato superiore da parecchi punti di vista; e se ve lo dico io che so bene quanta differenza di spessore ci fosse una volta tra le due competizioni, potete ben credermi!
Non mi è piaciuto il fatto che sebbene abbiamo due specie di “scalatori” davanti la gara sia stata fondata sulle cronometro: Contador ha fatto pochissima differenza in salita, e di tappe di montagna ne abbiamo vista una sola, con l’arrivo in discesa poi… In compenso lo spagnolo contro il tempo va come un treno! Anche i due Schleck, che a mio parere tecnico sono del tutto negati per questa specialità, se la sono cavata poco peggio, o addirittura poco meglio, di un Nibali che vi sarebbe decisamente più tagliato. Di questo Andy che in poco tempo passa da palo della luce a tenere lì a un minuto un Wiggins non so che cosa pensare.
E Wiggins, uno che nelle corse a tappe non è mai esistito, arriva quarto?! È anche vero che il Tour è stato facilotto, per favorire il rientrante Lance, ma la terza settimana non si improvvisa. È vero che lo sforzo sulla singola salita è magari di venti minuti (su queste “salitelle”), però un conto è fare venti minuti a tutta isolati in pista, un conto è sentire nei muscoli tutta la fatica di una grande corsa a tappe. Non parliamo di Frank Schleck o Vande Velde.
A questo proposito, ricordo che in genere, in passato, non era facile che varie squadre mettessero più uomini nella top ten. Era più comune avere tanti capitani di squadre diverse nelle varie posizioni. Quest’anno invece tre Astana, due Saxo, due Garmin… e i due Liquigas, che secondo me tra i giovani sono forse i più credibili per un GT, anche se pensando al ciclismo vero siamo proprio malmessi.
Aggiungiamo pure alla lista il Team Columbia, che ha fatto vedere “cose turche”.
Il mio parere è che quattro di queste squadre avessero un qualcosa in più, fisicamente e non solo, e fossero sotto sotto sulla stessa linea ad esempio per non far saltare Armstrong. Peccato che così sia stato ammazzato lo spettacolo. Anche perché non parlo di una dimensione veramente “sportiva”, c’è qualcosa d’altro, giochi di potere, amicizie importanti, insomma non sono i soliti accordi e alleanze che abbiamo sempre visto in gara.
Quello che mi posso augurare è che il resto del mondo del ciclismo, se ne ha ancora la forza, non gli lasci fare il bello e il cattivo tempo: altrimenti ci aspettano anni davvero deprimenti.
Claudio Chiappucci