LA SAGA(N) DI PETER – CAPITOLO XLVIII: TOUR DE FRANCE 2017

dicembre 29, 2023
Categoria: News

Se la maledizione della maglia iridata esiste davvero al Tour de France 2017 ha assestato un pugno niente male al campione del mondo in carica. La 104° edizione della Grande Boucle era iniziata con il piede giusto per lo slovacco, che aveva vinto alla sua maniera la terza tappa con arrivo in salita a Longwy. Bastano, però 24 ore per buttare all’aria tutti i programmi del campione del mondo, perchè il giorno dopo Sagan viene espulso dalla corsa, con una decisione presa da un collegio di giuria fin troppo zelante secondo molti, per aver provocato la caduta di Mark Cavendish sul traguardo di Vittel. Ad essere criticata anche la scelta di declassare il corridore e poi di annullare il provvedimento un’ora più tardi per assegnarne uno più severo.

3a TAPPA: VERVIERS – LONGWY

SAGAN PERDE IL PEDALE MA NON LO SPRINT: SPRAZZI DI CLASSE A LONGWY

Sarà quello del 2017 il “Tour delle volate”? Così pare sulla carta. Ma con questo Sagan ci possiamo accontentare, nonostante il paradosso di un ciclismo da ultimo km proposto proprio quando si affaccia l’era della diretta integrale.

Quante occasioni sprecate, nel flirt del percorso del Tour con la nervosa campagna delle Ardenne! Un tracciato in generale già generosissimo nel dispensare tappe su tapper per i velocisti eufemisticamente detti “puri” (quelli a cui tremano le gambe se c’è di mezzo un cavalcavia da affrontare), si mantiene timido, quasi represso, finanche nelle tappe che, come quella odierna, per caratteristiche dell’ultimo km sono riservate a corridori più eclettici, esplosivi ma solidi sugli strappi e con il fiuto da classica. Perché non offrire loro qualcosa di più, allora, per scatenare la fantasia e non ridurre tutto a un’ennesima variazione sul tema “sprint”? Regalando magari qualche piccola, minima scossa alla classifica generale? Misteri della cartografia made in ASO, spaventata dall’imprevedibile, ansiosa di servire vittorie su piatti d’argento per le galline dalle uova d’oro, le superstar prolifiche e ben pagate che devono garantire rientro agli sponsor. Con tanti saluti al ciclismo vibrante, vario, insomma di qualità.
Fa piacere veder vincere Sagan, vederlo vincere con un gran numero come oggi fa gola perfino di più: ma più bello ancora sarebbe vederlo trionfare dopo una tappa tesa, tirata, combattuta, con retrogusto di classica da tutto o niente – senza pretendere che della classica si riproponga anche l’intensità, è chiaro. Giusto l’aroma.
Un sogno impossibile su un terreno come quello odierno, che prima del finale prevedeva sporadiche difficoltà enormemente spaziate fra loro, buone solo per distribuire i punti sempre più rituali della maglia a pois, oggi incassati da Brown della Cannondale che succede a Phinney in quest’hobby che sa di riempitivo.
Fuga al guinzaglio, l’unico spunto di interesse tattico emerge intorno ai meno 60 km quando dal gruppo escono in tre, approfittando del farsesco elastico fra gruppo e fuga, che stavano inscenando una gara a chi va più piano (davanti per risparmiarsi, dietro… per non acciuffare la fuga troppo presto e dover gestire nuovi attacchi!). Calmejane, giovane francese in grande spolvero quest’anno, l’inossidabile De Gendt e l’eterno fuggitivo Périchon della piccola Fortuneo evadono per ricongiungersi con i compagni Sicard, della Direct Energie come Calmejane, Hardy della Fortuneo e Adam Hansen, degno alleato di De Gendt alla Lotto per grinta e tenacia.
La combinazione fra forze fresche e fuggitivi trasformati in gregari disposti a sacrificarsi alla morte dilata il margine dell’azione, ma dietro basta poco per dare un giro di vite a squadre totalmente focalizzate su quest’obiettivo come la Sunweb (che praticamente non ha uomini per la generale) o la Bora, che predilige chiaramente Sagan a Majka, oppure a squadroni mostruosi come Quickstep e Sky. Lo strapotere tarpa le ali alla fantasia, su un percorso così timido. In effetti in breve a resistere rimangono solo i “nuovi arrivati” nella fuga (Hardy, al gancio, parziale e breve eccezione). E poco dopo Calmejane approfitta di uno dei pochi strappi seri presenti sul territorio ma nascosti dalla mappa per andarsene da solo, scrollandosi uno a uno di dosso i colleghi d’azione. Forse un errore di gioventù, un eccesso di impulsività: da solo non ha chance; o forse, proprio sapendo di non avere nessuna chance comunque, un po’ di proscenio. In Direct Energie ha come compagno Voeckler, maestro nei vani teatri che mandano in sollucchero il pubblico transalpino, consolandosi così della vacuità tattica del tutto.
Puntualmente Calmejane viene inghiottito a tempo debito dal gruppone e in un attimo ci troviamo proiettati sull’ultima côte, che ci regala per qualche istante, sulle rampe più dure, l’illusione di uno sparpaglio, la violenza di una frustata vera, grazie al forcing di Porte, marcato da Contador e Majka. Proprio quando lo spagnolo sembra andare in debito d’ossigeno, come fosse sul punto di lasciar aprire un buco, lo sciame si ricompone con in bella vista, tra gli altri, Fuglsang, Thomas, Van Avermaet, Matthews, Dan Martin, Boasson Hagen – e Sagan. Il campione del mondo aveva bordeggiato al largo, ma quando si arriva al quid della questione si materializza in prima linea. Non si sono visti Froome, Aru, Quintana, fra gli uomini di classifica e Ulissi, Colbrelli, Benoot, Gilbert, Albasini tra coloro dotati di guizzo o intuito. Assenti pure atleti che potrebbero strizzare l’occhio a entrambe le categorie come Simon Yates o Barguil.
Appena apparso, Sagan è il faro: tutti guardano lui, tutti aspettano lui, e quando imposta uno sprint lunghissimo sembra di sentire il fiato del mondo sospendersi nell’attesa della vittoria, se non che… se non che lo scarpino di Sagan si sgancia dal pedale e lo slovacco si scompone, perde spinta, galleggia come un punto di domanda in mezzo alla strada. Ma mentre ad altri questo tipo di incidenti costa la volata, Sagan ritrova in un attimo il contatto tra tacchetta e aggancio e, approfittando del generale sconcerto, riapre il fuoco lasciando tutti a disputarsi il traguardo degli umani, mezzo metro dietro la sua ruota. Secondo, prevedibilmente, arriva Matthews, terzo un vispo Dan Martin e quarto un appannato e forse appagato Van Avermaet. Poi, strepitoso, il giovane italiano Bettiol lancia un messaggio in bottiglia per chi sogna che ritorni il tricolore nelle classiche, regolando il bravo Démare e impreziosendo così la giornata in casa Cannondale.
Da qui in poi si vanno affacciando gli uomini di classifica (sperando che il Tour sia più selettivo dello scorso, e dunque che Dan Martin non resti tale, sebbene le premesse non siano delle migliori): Fuglsang si rifà di un esordio sotto tono, Thomas si conferma brillantissimo, Froome risale di forza, Majka marca il proprio spazio, Quintana sorprende per presenza di spirito in questo che rimane uno sprint; Porte e Contador invece si ingolfano dopo la veemente accelerazione nel segmento più ripido, con Aru a galleggiare – lui però in ripresa – tra i due. Discreta anche la pattuglia colombiana che include Urán, Chaves e un sorprendente Betancur che ci fa sempre vagheggiare un suo ritorno ad alti livelli. Lo sprint, comunque, resta tale, come detto, perché se lo giocano in trenta, e i corridori a meno di 30” sono addirittura una sessantina. Da qui a sabato, solo biliardi per volate di massa, a meno di ventagli o altri miracoli. L’unica eccezione è la breve e secca salita della Planche des Belles Filles mercoledì, certo, con la speranza che, pur a distacchi dilatati, non si traduca anch’essa in una sorta di sprint in salita fra gli uomini di classifica dotati dei dieci minuti finali più incandescenti.

Gabriele Bugada

Sagan maestro di classe a Longwy: nonostante il problema al pedale, vince facile la prima tappa francese del Tour 2017 (Getty Images Sport)

Sagan maestro di classe a Longwy: nonostante il problema al pedale, vince facile la prima tappa francese del Tour 2017 (Getty Images Sport)

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