LA SAGA(N) DI PETER – CAPITOLO XLIII: MONDIALE 2016
Il percorso totalmente pianeggiante lasciava intendere un mondiale noioso, votato alla volata finale. Invece il tratto in linea iniziale attraverso il deserto si rivela elettrizzante e decisivo a causa del vento, selezionando il gruppetto di una ventina di corridori che andrà a giorcarsi la maglia iridata sul circuito di Doha. I velocisti più attesi riescono a rimanere nella prima parte del gruppo, ma sul rettilineo d’arrivo non ci sarà nulla da fare: Sagan li anticipa tutti conquistando il suo secondo mondiale
CHILOMETRO 70: IL MONDIALE ESPLODE E SAGAN FA IL BIS
E’ stato un ventaglio aperto dai belgi al chilometro 70 a portar via il gruppo che si è andato a giocare l’edizione 2016 dei mondiali di ciclismo su strada. Eliminati dai giochi i pericolosi alemanni, belgi e italiani hanno tentato di fare la corsa ma, nella volata conclusiva, si è imposto perentoriamente Peter Sagan, che ha messo dietro anche il fortissimo velocista mannese Cavendish ed ha imitato l’impresa di Bugno del 91/92, mettendo la ciliegina su una stagione da incorniciare.
Il caldo, la distanza, il vento; queste le tre principali difficoltà di un tracciato che si presentava come un tavolo da biliardo, senza neppure un metro di salita. Una scelta certamente discutibile che ragioni di natura economica, per quanto rilevanti, non possono del tutto giustificare. Fortunatamente, ci hanno pensato i corridori a sfruttare al massimo le tre difficoltà del percorso per fare corsa dura. Ne è venuta fuori una gara emozionante, esplosa già a più di 170 Km dalla conclusione quando, su un’accelerazione dei britannici, i belgi aprono un ventaglio molto stretto che rende difficile l’ingresso, tanto che moltissimi corridori di primissimo piano, tra cui gli alfieri della corazzata tedesca, rimangono fuori, costretti ad aprire altri ventagli che provocano ulteriore selezione.
Altro aspetto da sottolineare è certamente la desolante assenza di pubblico, che solo nei pressi dell’arrivo si è minimamente animato, composto comunque di sostenitori quasi tutti europei. In un territorio come quello in cui si svolgeva la rassegna iridata non c’è la benché minima tradizione ciclistica ed era quindi del tutto prevedibile che non ci sarebbe stata una gran risposta da parte della popolazione. Anche se il deserto ed il caldo hanno dato ai più coraggiosi l’occasione di far esplodere la corsa da molto lontano, non si può comunque non ribadire la sostanziale negatività di un tracciato che tecnicamente rimane povero, anche se ha offerto momenti tattici davvero importanti e pregevoli.
Dopo l’apertura del ventaglio, infatti, la corsa ha vissuto sostanzialmente di tatticismo, con quelli davanti che andavano a tutta – tirati particolarmente dai corridori della nazionali più rappresentate, Belgio e Italia – e quelli dietro intenti ad inseguire, con il grosso del lavoro sulle spalle dei tedeschi, disturbati in continuazione dai due belgi rimasti dietro con il compito di rompere i cambi.
In definitiva, chi scrive ritiene che, nonostante la corsa di oggi si stata oggettivamente appassionante, sarebbe opportuno evitare percorsi del genere, sia per l’ambientazione singolare in relazione ad uno sport come il ciclismo, sia per la assenza totale di difficoltà altimetriche in grado di scompigliare i piani.
Passando alla cronaca, si devono registrare i primi scatti fin dal via ufficiale. Nonostante l’andatura iniziale si presentasse comunque elevata, sono Ryan Roth (Canada), Anas Ait El Abdia (Marocco), Rene Corella (Messico), Nick Dougall (Sud Africa), Natnael Berhane (Eritrea), Sergei Lagkuti (Ucraina) e Brayan Ramírez Chacón (Colombia) che riescono ad evadere dal gruppo dopo 7 chilometri di corsa. Andata via la fuga, il gruppo rallenta notevolmente, lasciando che i battistrada riescano a mettere all’attivo un vantaggio che arriva a superare gli 11 minuti. Una prima reazione la abbozza Kanstantin Siutsou (Bielorussia) che, con una accelerazione dei ritmi, comincia a erodere il vantaggio dei fuggitivi della prima ora. L’andatura sale ulteriormente in prossimità del giro di boa con il ritorno verso Doha, cambio di direzione repentino che porterà il vento laterale sulla corsa, con la conseguente probabilità di formazione di ventagli. I favoriti cercano, ovviamente, di mantenersi davanti e questo provoca l’ulteriore erosione del vantaggio dei battistrada, che cercano di resistere aumentando a loro volta i ritmi e provocando la capitolazione di Corella, che non riesce a mantenere il ritmo.
Proprio nei pressi del cambio di direzione gli inglesi impongono un’accelerazione, ma sono i belgi che, in contropiede, vanno ad aprire un ventaglio molto stretto dal quale rimane fuori l’australiano Ewan che cerca, tanto disperatamente quanto invano, di non perdere questo treno. Nulla da fare: il ventaglio è troppo stretto, chi non si è fatto trovare pronto è rimasto inesorabilmente tagliato fuori e costretto a cercare di aprire altri ventagli per inseguire. Il frazionamento è massimo e si formano numerosi gruppetti divisi da pochi secondi. Per colpa di una caduta perdono contatto Luke Durbridge (Australia), Fernando Gaviria (Colombia) e Luka Mezgec (Slovenia). Per i colombiani la caduta di Gaviria, che rimane dolorante a bordo strada, rappresenta il tramonto delle poche speranze che potevano nutrire ai nastri di partenza.
Spezzata la corsa, si fa l’appello e davanti a rispondere “presente” ci sono William Bonnet, (Francia), Oliver Naesen, Jens Keukeleire, Tom Boonen, Jasper Stuyven, Greg Van Avermaet, Jurgen Roelandts (Belgio), Mathew Hayman, Michael Matthews (Italia), Daniele Bennati, Jacopo Guarnieri, Giacomo Nizzolo, Elia Viviani (Italia), Niki Terpstra, Tom Leezer (Paesi Bassi), Edvald Boasson Hagen, Alexander Kristoff, Truls Korsaeth (Norvegia), Sam Bennett (Irlanda), Magnus Cort Nielsen (Danimarca), Peter Sagan, Michael Kolář (Slovacchia), Mark Cavendish e Adam Blythe (Gran Bretagna).
Mancano nomi altisonanti, come tutti i componenti della temuta corazzata tedesca (a partire da Degenkolb, Kittel e Greipel) e i francesi Bohuanni e Démare. L’andatura è elevatissima e, per lunghi tratti, la velocità è prossima ai 70 Km/h. In una situazione del genere un minimo problema meccanico significa la sostanziale compromissione della corsa: le vittime sono Magnus Cort Nielsen e Sam Bennett, che devono abbandonare l’allegra compagnia dell’avanguardia del gruppo, nel frattempo popolatasi dei sei battistrada iniziali, che vengono riassorbiti e cercano di rimanerne accodati.
A questo punto, la battaglia si restringe ad un duello a distanza tra il primo gruppo, che tenta di aumentare il proprio vantaggio, ed il secondo, che tenta disperatamente di rientrare. In un primo momento, il vantaggio sembrava essersi stabilizzato sui 30/40 secondi ma, quasi subito, si assesta sul minuto. Dopo l’ingresso nel circuito finale, da ripetere sette volte, il gap si allarga ulteriormente, sostanzialmente per due fattori. Infatti, davanti Belgio e Italia collaborano nel tenere un’andatura il più possibile elevata, mentre dietro i due belgi rimasti nelle retrovie cercano di favorire i sei connazionali di testa andando a rompere i cambi e provocando l’ira di Degenkolb, visibilmente contrariato, che va quasi a minacciare i due portacolori del Belgio. Il vantaggio arriva a superare i due minuti, circostanza che porta Degenkolb e Kittel a mollare il colpo ed a ritirarsi.
Nei chilometri successivi non ci sono particolari note di cronaca da segnalarfe, con il gruppo davanti che continua la marcia di avvicinamento alla fasi finali e con la tensione che comincia a trasparire fuori dai caschi e dagli occhiali.
Ci si gioca tutto all’ultimo giro, nel corso del quale quelli che hanno tirato tutto il giorno, tra cui l’ottimo Daniele Bennati, si staccano e davanti rimane un drappello più ridotto. E’ Terpstra che prova per primo a muoversi, ma il suo allungo, immediatamente stoppato da Van Avermaet, è estremamente timido e lo stesso olandese desiste immediatamente dal tentativo. L’andatura si alza ulteriormente per le trenate di quelli che voglio evitare gli scatti ed arrivare allo sprint ma, in un momento di esitazione, parte molto deciso Tom Leezer che guadagna subito qualche metro. Complice una prima indecisione su chi dovesse prendersi l’incarico di inseguire, il vantaggio aumenta fino ad arrivare ad una consistenza di oltre 150 metri. Ad un certo punto si ha l’impressione che l’olandese, che passa in testa sotto il triangolo rosso, possa farcela, ma la fatica si fa sentire e, poche centinaia di metri prima dell’arrivo, Leezer deve capitolare. Quasi in contemporanea Guarnieri cerca di lanciare la sprint di Nizzolo, che viene infilato proprio vicino alle transenne da Peter Sagan che poi va ad imporsi su Cavendish e su Tom Booonen, uno dei principali responsabili della situazione di corsa che si era venuta a creare nel deserto e, sicuramente, uno di quelli che poteva trarne i maggiori vantaggi. Il massimo risultato, però, è andato a Sagan che, pur trovandosi di fronte velocisti puri come Cavendish, ha fatto valere la maggior capacità di reggere la fatica di una corsa di 257 chilometri, disputata in un gruppo ristretto che ha corso a tutta per la maggior parte del tracciato. Alla fine, la fatica, complice anche il caldo, si è fatta sentire ed è venuta fuori la classe e la resistenza dello slovacco che non solo va a bissare il successo dell’anno scorso, come fece Bugno nei primi anni ‘90, ma corona anche una stagione da incorniciare con un Tour de France corso veramente da fuoriclasse.
Gli italiani non sono riusciti ad arricchire il nostro parco medaglie ma hanno corso con generosità, alimentando attivamente l’azione del gruppo davanti in cui erano in 4, inferiori in numero solo ai belgi. Nel finale Viviani sembrava tormentato dai crampi, mentre Nizzolo ha provato a lanciare lo sprint lungo ma, contro la brillantezza di Peter Sagan, che si è infilato in una strozzatura tra Nizzolo e le transenne, non c’è stato nulla da fare ed alla fine il campione italiano è rimasto un po’ intrappolato ed ha chiuso in quinta posizione.
E’ stato un mondiale obbiettivamente appassionante, grazie alla situazione creatasi già a 170 Km dalla conclusione ma, come si diceva in apertura, questo non è abbastanza per dare la sufficienza ad un percorso che lascia comunque molte perplessità.
Benedetto Ciccarone