NIBALI, VALIGIA PRONTA PER IL TOUR
La valigia per il Tour è pronta. L’avrebbe voluta riempire di maglie tricolori ma Imola s’è negata al suo talento. Incontro Vincenzo Nibali la sera prima del Tricolore. È serio, concentrato, determinato ma anche sorridente, disponibile e riflessivo. Il suo sguardo ha un che di antico. Non che io abbia memoria dei ciclisti dei tempi eroici però se dovessi descriverne uno penserei a Nibali, al suo stile dimesso e ai suo attacchi un po’ folli ma freschi come uno scroscio primaverile.
Intervista di Federico Petroni
Vincenzo, si parte con una valigia piena di sogni.
Parto per il Tour de France con buone speranze di entrare nei primi dieci della classifica. Per me, sarebbe già un successo, perché quest’anno la concorrenza è spietata: l’Astana delle quattro bocche di fuoco, i due reduci del Giro Sastre e Menchov, l’indemoniato Evans, i fratelli Schleck. Ma sono determinato per raggiungere il mio obiettivo.
La tua condotta di gara?
Correrò sempre con un minimo di riserva, cercando di fare l’elastico con i grandi della classifica, sperando che non si rompa. La classifica, al Tour, viene da sé, non c’è molto da inventare, si fa la conta delle energie.
Parliamo della tua squadra, la Liquigas: tanti galli nel pollaio?
L’affollamento è una risorsa. Siamo assortiti e compatti, possiamo pure contare su un velocista di rango come Bennati. Penso che potremmo fare molto bene nella cronosquadre del quarto giorno, abbiamo tutti un discreto feeling con la specialità, pur senza avere delle eccellenze.
Con Pellizotti come ti trovi?
Con Franco ho corso gran parte dei miei grandi giri (due Giri d’Italia, N.d.R.), l’anno scorso ho diviso con lui la corsa rosa, quest’anno ci spartiremo le responsabilità per il Tour. Sulle spalle ha un Giro molto stressante, vedremo la sentenza della strada.
E il tuo rapporto con Kreuziger?
Lo conosco bene, ci telefoniamo, scherziamo insieme: siamo molto amici, tanto che spesso finiamo in camera assieme. Al Tour correremo senza pressione, con grande libertà da parte della squadra, gerarchie precise non ce ne sono.
Qual è stato il tuo percorso di avvicinamento al Tour?
Molto graduale. Finita la prima parte di stagione, dopo la Liegi, ho staccato dieci giorni per tornare in Sicilia a riprendere contatto con l’ambiente familiare. Dopo essermi rilassato, ho raggiunto la squadra al Passo San Pellegrino con il preparatore Slongo. Il mio settimo posto al Delfinato e il terzo di Kreuziger dimostrano il gran lavoro svolto. In seguito, sono partito per uno stage d’altura a Livigno per rifinire la già ottima preparazione: lavori di potenziamento in valle e di velocizzazione poi qualche ripetuta sullo Stelvio dal versante dell’Umbrailpass, quello che presenta i tratti più duri.
Facciamo un passo indietro, ripercorriamo la tua stagione.
Ho cominciato al Tour de San Luis, in Argentina, al caldo, cercando di trovare la condizione giusta ma non è stato facile perché abbiamo trovato una corsa molto tirata: ci hanno messo alla frusta, gli argentini.
A proposito di Argentina, s’era sparsa la voce che la squadra ti avesse imposto di rallentare nella cronometro per far primeggiare Basso. Non il massimo della sportività…
Non è stato proprio così. Dietro di me, a distanza di un solo minuto, partiva uno specialista e data la mia condizione e la mia posizione in classifica, non era opportuno fare già a febbraio un fuori giri del genere. Basso provava a vincere quindi mi hanno consigliato di non correrla al massimo per non fare da punto di riferimento al rivale di Ivan.
California.
Corsa affascinante, emozioni a valanga. Terzo nella prima tappa e secondo nell’ultima: peccato. Mi sono sentito un po’ Colombo: era la prima volta che vedevo l’America. E poi, l’incontro con Lance Armstrong: è stato emozionante, è un grande atleta, muscolarmente è impressionante. Al Giro mi ha stupito: al Tour non deluderà le aspettative, garantisco.
Tirreno.
Era uno dei miei obiettivi. Verso Camerino, nel tappone di 240km con il Sasso Tetto mi sono lanciato all’attacco ma nel finale mi sono ritrovato senza energie. Lì ho capito che qualcosa non andava per il verso giusto. Avevo avuto un rendimento costante ma non capivo perché mi mancasse sempre quel gradino di forza per tenere duro quando gli altri scattavano.
Le classiche.
All’Amstel non è stata una questione di gambe. Riconosco di aver sbagliato. Prima del Keutenberg, Kreuziger aveva attaccato. Su di lui stava tentando di riportarsi Ivanov. Io l’ho rincorso, l’ho raggiunto ma poi l’ho scaricato: temevo di fare un torto a Roman riportandogli il russo sotto.
Non avevi tutti i torti, Ivanov ha poi divorato il Cauberg.
Lo so, però ti immagini se subito dietro di lui fossimo arrivati io e Kreuziger? Sarebbe comunque stato un successo della squadra. Ma è un attimo, è un momento, in cui devi prendere una decisione a tempo di record. Il treno passa una volta. L’ho mancato.
La Liegi, una corsa che ti affascina.
Purtroppo contro lo Schleck di quel giorno c’era poco da fare. Il suo scatto sulla Roche aux Faucons ci ha lasciati tutti lì, anche mentalmente. Ma anche quel giorno mi mancava la condizione giusta per contrastare i migliori.
Quel gradino, l’hai superato?
Credo di sì. Il duro allenamento ha pagato. Due giorni dopo essere tornato da Livigno ho conquistato l’Appennino: giuste le motivazioni, rodate le gambe, riuscito il numero. 40km di fuga solitaria, il vento in faccia, la soddisfazione di aver pescato finalmente la carta giusta. Rispetto alla primavera, la mia condizione è cresciuta di quel 10% decisivo.
Ti piace attaccare da lontano?
Più che un piacere è una necessità. In volata parto battuto, mi tocca di anticipare.
Ti definisci un corridore attaccante?
In parte. Credo di dover migliorare le mie doti di attaccante, lavorare su questo che è un fondamentale anche di importanza storica nel ciclismo. Mi sono accorto che il mio miglioramento in salita ha comportato un calo di rendimento a cronometro rispetto a quando militavo nelle categorie giovanili, anche perché mi sono alleggerito molto.
Tornando al Tour, a Montecarlo ci pensi?
Se Cancellara va forte come al Giro di Svizzera ci sono poche speranze. Pensate che ha coperto i 40km della crono, vallonata, a 50km/h! Quanto a me, sarà sì un prologo, però è lungo, complicato, non per veri specialisti, quindi credo di potere dire la mia. È una prova importante, soprattutto per il morale.
Tappe circolettate di rosso?
Nessuna in particolare.
Di cosa hai paura, ovvietà del Mont Ventoux a parte?
Mah, il Tour quest’anno è strano. Non sembra duro ma il Tour non sembra mai duro però poi ti trovi tappe segnate di pianura ma, viste le altimetrie, di pianura ce n’è ben poca. Indecifrabile.
Morale?
Difendersi, tutti i giorni. Anche sui Pirenei.
Cambiando discorso, attorno ai giovani, anche italiani, non c’è troppa fretta? Non si lascia loro poco tempo per maturare? In fondo, il ciclismo è uno sport di pazienza.
Viviamo in un ciclismo senza punti di riferimento. Ci sono stati grandi abbandoni, come quello di Paolo Bettini, non seguiti da grandi scoperte. Così tutta l’attenzione si riversa sui giovani.
Questa pressione può spingere i giovani a sbagliare?
È una domanda difficile. Oggi come oggi è stupido pensare di fare uso di sostanze illecite. I controlli sono tanti, c’è il passaporto biologico, quando ti perquisiscono ti rivoltano la casa. Non ne posso più di questa situazione. È l’ora di darci un taglio. Bisogna smetterla.
Sei molto determinato. Però, ammettiamolo, una certa fetta di responsabilità ce l’ha una dirigenza incompetente.
Sarà, ma la colpa più grande è nostra, dei corridori. Non sta a me giudicare l’operato politico. Il messaggio da dare ai tifosi è sperare che sorga un giorno migliori.
Che speranza c’è di realizzare questa speranza?
Estendere i controlli, insistere, perseverare. Io dico che chi cerca trova. Bisogna volerlo.
Ci alziamo dal divano. Gli dico: “Vincenzo, vorrei che tu tenessi questo”. Mi sfilo il braccialetto “Io pedalo pulito” della Regione Emilia Romagna, marchio di una campagna di sensibilizzazione contro il doping amatoriale. “È un grande impegno ma penso di potermi fidare”. Nibali se lo rigira tra le mani, lo scruta col suo sguardo intenso. “Lo porterò, grazie”.