SAPRI – TROPEA: SCURDAMMECE O’ PASSATO, STAVOLTA I GRILLI NON SALTERANNO (FORSE)
Una frana si è portata via il “salto del grillo” ma il traguardo di Tropea continuerà ad essere un osso duro per i velocisti, anche se più appetibile rispetto al programma originario. Si annuncia parecchio e gravoso lavoro per i treni che, oltre a stare attenti che il gruppo non si scucisca sulla spettacolare “Costa degli Dei”, dovranno mettere davanti i loro migliori alfieri allo scopo di stoppare i grilli che sicuramente tenteranno l’azione sullo strappo finale, anche se stavolta sarà più difficile fare il vuoto.
Tra il Giro d’Italia e Tropea l’idillio era scoppiato sei anni fa, in occasione del primo e finora unico approdo della corsa rosa nell’incantevole località calabrese. A far scattare il colpo di fulmine contribuì Paolo Bettini che, il 9 maggio 2005, si esibì in una delle sue migliori performance da “grillo”, con un indovinato attacco sulla ripidissima rampa che dal lungomare saliva verso i quartieri alti, dov’era collocato il traguardo. A maggio 2011 il Giro tornerà sul luogo del “misfatto” ma, come dicono i campani – dalle cui terre scatterà quest’ottava frazione, la prima della seconda settimana di gara – “scurdammece o’ passato” perché stavolta i “grilli” del gruppo non potranno più saltare, non ci saranno occasioni da finisseur complice una frana che ha costretto gli organizzatori a ridisegnare il finale. Lo smottamento si è rivelato provvidenziale per i velocisti, categoria piuttosto bistrattata in queste ultime edizioni, che avranno così una possibilità in più, da aggiungere alle già poche previste. Sicuramente tarati sulle loro corde saranno i finali di Parma e Ravenna mentre più ostici si rileveranno gli approdi a Livorno, Fiuggi, Teramo ed anche quello nella stessa Tropea, nel quale vedremo qualche sprinter tagliato fuori dai giochi. Anche tutti, se qualche finisseur riuscirà a sfuttare al meglio l’ultima rampetta (nettamente più modesta rispetto a quella del 2005), coadiuvato anche dalle tortuosità del tratto precedente, affrontando le quali il gruppo si sfilaccerà inevitabilmente. Ma non sarà facile perché le ruote veloci del gruppo, che hanno imparato a domare anche i finali più indigesti, venderanno cara la pelle prima di lasciarsi sfuggire quest’opportunità.
Questa tappa prenderà le mosse negli scenari del Golfo di Policastro, con il raduno fissato a Sapri, cittadina legata alla storia della nostra Unità, anche se i ricordi laggiù non sono molto lieti. La sera del 26 giugno 1857 finì nel sangue, infatti, la spedizione di un gruppo di mazziniani guidati da Carlo Pisacane, sbarcati nel Cilento nel tentativo di accendere tra le popolazioni locali il focolaio di una rivolta che, da Sapri, si voleva lasciar estendere a tutto il meridione, allora assoggettato al Regno delle Due Sicilie. Il fallimento dell’impresa colpì l’allora re di Sardegna Vittorio Emanuele II, che in quest’accadimento trovò lo stimolo per accellerare i tempi verso l’unificazione nazionale.
Si lascerà Sapri percorrendo la statale “Tirrena Inferiore” che costituirà l’asse portante di questa frazione, poiché su di essa si permarrà fino a circa 35 Km dalla meta, proponendo il classico filo conduttore delle strade litoranee poste a diretto contatto con le montagne che digradano verso il mare, come accade in Liguria con l’Aurelia. Sarà, dunque, tutto un susseguirsi di capi e promontori che la strada vincerà affrontando modeste difficoltà, alternate a tratti che, al contrario, saranno dritti come fusi e totalmente pianeggianti. Le ascese saranno comunque tutte di bassa entità, al punto che nessuna di quelle previste quest’oggi sarà considerata valida per la classifica GPM, lasciando loro il ruolo di trampolino di lancio per le fughe che, come avviene in ogni tappa in linea, caratterizzerano la cronaca giornaliera.
Pochi chilometri dopo il via si supererà il confine regionale, passando dalla Campania alla Basilicata. Sulle strade lucane, percorse per una ventina di chilometri, si affronterà un tratto molto panoramico che ha sostituito un’antichissima e stretta mulattiera, angusta al punto da impedire il passaggio in “simultanea” di due viandati con mulo al seguito. Infatti, qui s’incontrerà la torre “Apprezzami l’Asino” che non ci rammenta soltanto i disagi provocati dalle incursioni via mare, ma anche le insidie del “cammino”: in caso d’incrocio i padroni delle due bestie dovevano “apprezzarle”, valutare quale fosse delle due la più pregiata e poi scaraventare l’altra nel dirupo sottostante, ovviamente dopo aver congruamente risarcito il proprietario. Una sorta di “constatazione amichevole”, verrebbe da dire.
La corsa giungerà poi alla marina di Maratea, immediatamente sottostante l’antica cittadina oggi soprannominata la “Perla del Tirreno”, a sua volta dominata dal Monte San Biagio, sul quale troneggia la statua del Redentore di Maratea, innalzata negli anni ’60 e realizzata in marmo di Carrara. I suoi 21,1 metri ne hanno fatta per lungo tempo la più alta statua di Cristo esistente in Europa, primato recentemente battuto dai 33 metri del “Chrystusa Króla” (Cristo Re), inaugurato il 21 novembre 2010 a Świebodzin (Polonia), che ha “bagnato il naso” anche al celebre “Cristo Redentor” di Rio de Janeiro (sarebbero 38 metri, ma 8 sono di basamento) mentre non ha intaccato per un metro il record assoluoto, detenuto dal “Cristo de la Concordia” di Cochabamba (Bolivia).
Varcata la Fiumara di Castrocucco si entrerà in Calabria, portandosi verso le località balneari di Tortora Marina e Praia a Mare. Per raggiungerle si abbandonerà temporaneamente la statale, rimanendo però sul vecchio tracciato della “Tirrenica” che, di lì a breve, transiterà di fronte all’isola di Dino, la più grande ed importante delle due isole calabresi (l’altra è quella di Cirella, tra questo centro e Diamante), meritevole di un’escursione in barca per visitarne le grotte: la più bella è quella “Azzurra”, che ricorda l’onomina caprese, mentre quella più interessante è la “Gargiulo”, interamente sommersa ed esclusiva, poiché l’accesso è sconsigliato anche ai subacquei esperti.
Seguendo una tortuosa ma panoramica strada a tornanti si andrà a riprendere la statale, nel tratto in cui questa doppia Capo Scalea prima di scendere verso l’omonimo centro, caratterizzato dalla parte antica dell’abitato arroccata a gradoni sul promontorio.
Ad un troncone particolarmente tormentato ne seguirà uno agli antipodi, sotto la forma d’un rettifilo pianeggiante e quasi ininterrotto di una decina di chilometri, costeggiando quella che è stata battezzata “Riviera dei Cedri” per la diffusa coltivazione di questo agrume originario della zona dell’ Himalaya e giunto nel vecchio continente in tempi remoti, noto anche all’epoca romana quando era chiamato “mela assira”. In suo onore negli anni ’50 ha cambiato le proprie generalità anche il comune di Cipollina, che da allora si chiama Santa Maria del Cedro, centro che ricordiamo anche come sede di tappa nel Giro del 2005 (vittoria allo sprint dell’australiano Robbie McEwen), l’indomani la citata frazione di Tropea.
Meno scorrevoli, ma comunque privi di particolari difficoltà, saranno anche i successivi 12 Km, nel corso dei quali si attraverserà l’importante località turistica di Diamante, che contende il titolo di “Perla del Tirreno” a Maratea e ad altri centri dello stivale (Tirrenia, Viareggio e l’intera isola d’Elba in Toscana, Santa Marinella e Sperlonga nel Lazio, Gioiosa Marea in Sicilia, Bagnara Calabra e la stessa Tropea in Calabria).
Dopo la marina di Belvedere il tracciato della statale si fa un pelo più accidentato, traforando con brevi gallerie le estreme pendici della Catena Costiera, il gruppo montuoso che si estende per quasi 70 Km congiungendo il massiccio del Pollino e i Monti di Orsomarso con la Sila. Alle porte di Cetraro, altro municipio che deve il suo nome al “citrus”, si abbandonerà nuovamente la statale, stavolta per inoltrarsi brevemente e affrontare la modesta ascesa verso Acquappesa, lunga poco meno di un chilometro, vecchia conoscenza della corsa rosa che l’ha sempre inserita nei finali delle quattro tappe finora terminate alle vicine Terme Luigiane, località curativa nota fin dall’epoca romana (erano le “Acquae calidae Tempsae”) ma che ebbe notevole impulso grazie a due “sponsor” d’eccezione, la regina Isabella di Francia e San Francesco di Paola. La prima, secondo una leggenda, ritrovò la perduta fertilità dopo essersi immerse nelle acque che, nel 1446, saranno citate dal santo paolano in una lettera diretta a Simone degli Alimena, per ringraziarlo dei servigi forniti a una donna malata nel momento in cui “infirmandosi la donna e fatta mezzo hidropica, …la mandastivo alli Bagni della Guardia prestandoli li vostri muli, e le nache, dandoli denari e del pan bianco, e biscottelli, e confezioni.”
Se poco appariscente sarà stata la salita, tutt’altro bisogna dire della discesa successiva, caratterizzata da una spettacolare serie di tornanti sovrapposti, localmente detti i “gironi” e che rimandano alla memoria la planata dal Poggio sanremese. I “girini nei gironi” ci rimarrano quasi fino alla fine, svicolando all’altezza del penultimo tornante per andare a riprendere la litoranea nei pressi di una delle più incantevoli spiagge calabresi, quella di Intavolata.
Passati ai piedi del colle di Guardia Piemontese – così chiamato perché fondato nel XII secolo da un gruppo di profughi di religione valdese fuggiti dal Piemonte, dov’erano stati perseguitati dal duca Vittorio Amedeo II di Savoia, e che traslocarono in Calabria usi, costumi e dialetto occitani, dando vita all’idioma “guardiolo”, tuttora parlato – si andrà ad affrontare la breve e a tratti pendente salita di Paola, ultima difficoltà prima di un “digiuno” altimetrico che si protrarrà sino a Pizzo, vale a dire per i successivi 84 Km. Si tornerà, dunque, a pedalare sul velluto, attraversando prima il centro di Amantea, uno dei principali del litorale cosentino, tradizionalmente identificato con Clampetia, città della Magna Grecia che, più probabilmente, si trovava più a nord, secondo le indicazioni riportate sulla “Tabula Peutingeriana”, cartina redatta nel XII secolo riproducendo quello che era le vie militari dell’Impero Romano.
Cambiata direzione di marcia per assecondare l’onda del Golfo di Sant’Eufemia, esteso per poco più di 40 Km, i “girini” giungeranno nella pianura omonima, la terza della regione per ampiezza, un tempo paludosa e divenuta fertile in seguito alle ingenti opere di bonifica compiute tra il 1910 e il 1936. Oggi riveste rilevante importanza anche sotto l’aspetto commerciale essendo divenuta col tempo anche un grosso snodo ferroviario, autostradale e aeroportuale (lo scalo di Lamezia Terme è il principale della Calabria).
Proprio in questo tratto i corridori transiteranno sulla strada teatro della tragedia di Lamezia Terme, costata la vita a sette cicloamatori che saranno ricordati anche alla corsa rosa, magari con un traguardo volante essendo improbabile una “sosta” ufficiale così avanti nel percorso, quando alla meta mancheranno una sessantina di chilometri e, dunque, si sarà già in pieno agone. I treni dei velocisti, infatti, dopo aver lasciato sfogare gli ardimentosi di giornata cominceranno le grandi manovre proprio da queste parti, sfruttando gli ultimi tratti lineari di un percorso che, nel finale, tornerà a proporre tortuosità e “mangia e bevi”, come nel gergo ciclistico si definiscono i saliscendi non ripidi ma ripetuti in serie.
Usciti dalla Piana dell’Angitola le difficoltà riprenderanno col passaggio da Pizzo, il paese natale dei tartufi dolci. Gustando questo tipico prodotto della pasticceria calabrese, un gelato alla nocciola modellato nel palmo della mano e riempito con un cuore di cioccolato fondente, si potrà passeggiare per le strade di questa pittoresca località balneare, ammirando un panorama che arriva ad abbracciare la lontana Stromboli oppure visitando la curiosa chiesa rupestre di Piedigrotta che, secondo il sito ufficiale (www.chiesettadipiedigrotta.it), è il monumento più visitato della Calabria, avendano surclassato da alcune stagioni pure i “mitici” Bronzi di Riace.
Da una bellezza all’altra, tutto il finale si snoderà sulla “Costa degli Dei”: è tutto un programma il nome col quale è stato ribattezzato il litorale del “Corno di Calabria”, un casto connubio di promontori e spiagge, di baie e di faraglioni esteso per 55 Km. Un paradiso che si tramuterà in un inferno per chi, su una strada disagevole per questo tipo d’operazioni, sarà intento a lavorare per ricucire distacchi o per tentare di tener compatto il gruppo. Il veleno sarà nella coda, come al solito, una volta terminata la discesa-toboga che condurrà il plotone all’imbocco del lungomare di Tropea, a breve distanza da uno dei monumenti più visitati di questa cittadina, la chiesa di Santa Maria dell’Isola, collocata su di un promontorio un tempo separato dalla terraferma. Anziché procedere in direzione del porto, come avvenne nel finale della tappa vinta da Bettini, si svolterà verso l’interno portandosi con una rampa di 500 metri, inclinata al 5% e addolcita da due tornanti, alle spalle del centro storico, nel quale si trova la preziosissima cattedrale normanna del 1100. Non sarà l’ultima insidia per gli sprinter poiché, dopo un intermezzo pianeggiante, la strada riprenderà a salire, stavolta con soavità, e in tal guisa rimarrà fin sul traguardo.
I ghepardi della volata o grilli: chi la spunterà stavolta?
Mauro Facoltosi
MODIFICHE AL PERCORSO
Percorso praticamente confermato, con qualche taglio qua e là per evitare l’ingresso in alcuni centri (come Praia a Mare, Acquappesa e Paola), contenendo così il chilometraggio. La modifica più vistosa è il taglio della salita verso San Nicola Arcella.
FOTOGALLERY
Foto copertina: Tropea (www.villaggi-calabria.eu)