MADDALONI – MONTEVERGINE DI MERCOGLIANO: UN MONTE NON PIU’ “VERGINE”
È giunta l’ora della prima tappa di montagna, ma oggi sarà proposto solo un assaggino, neanche tanto speziato. La salita verso il Santuario di Montevergine è oramai divenuta un habitué della prima settimana di corsa rosa. Le sue pendenze non impegnative la rendono, infatti, ideale per il primo approccio con le salite vere, una giornata utile per scrutare i valori in campo senza emettere grossi verdetti. Il Giro vero comincerà tra due giorni sull’Etna e poi, più avanti nel tempo, quando si arriverà al cospetto dei grandi colossi alpini.
Oramai non ha più segreti il Montevergine per il Giro d’Italia. Tre arrivi di tappa nell’ultimo decennio hanno dimostrato che quella campana non è una salita da selezione, lunga quasi 20 Km ma facile nelle inclinazioni, rese ancora più agevoli dai ben 22 tornanti nei quali si accoccola. Non c’è molto da girarci in giro, poco si può ricavare da quest’asperità senza pretese, ideale per il primo arrivo in salita di una grande corsa a tappe. Forse solo affrontandola a cronometro potrebbe risultare dura, oppure non proponendola come unica asperità di tappa, com’era accaduto sinora. È quel che accadrà quest’anno, con papà Zomegnan che ha deciso di non mandarla sola, ma di farla precedere dall’ascesa al Monte Taburno. Il basso chilometraggio, 100 Km appena, potrebbe rendere tutto ancora più complicato perché in frazioni del genere bisogna essere già “in palla” dai chilometri iniziali, soprattutto – come nel caso in questione – se questi agevolano partenze a tutta velocità. Al contrario, quando si disputano tapponi “oversize” sovente si tende a partire al rallentatore per il timore di crollare nel finale e così la bagarre scoppia solo sulle ultime salite e la selezione risulta meno netta a causa delle minori energie sprecate.
Nonostante tappe similmente strutturate abbiamo non pochi detrattori, spulciando la storia della corsa rosa è possibile stralciare non pochi episodi incisivi o addirittura decisivi avvenuti in tappe dal formato “mini”. La prima volta accadde nel 1953, quando Coppi riuscì a ribaltare le sorti di un Giro che sembrava irrimediabilmente compromesso partendo sullo Stelvio nella Bolzano – Bormio, tappa di soli 125 Km. Come non ricordare, poi, il Giro del 1981, virato in direzione di Battaglin al termine dei 100 Km della San Vigilio di Marebbe – Tre Cime di Lavaredo? Oppure la vendetta con i fiocchi di Hinault ai danni di Contini affrontando a spron battuto gli 85 Km della tappa di Montecampione l’anno successivo? E ancora, i fiocchi senza vendetta della raggelante frazione del Gavia del 1988, lunga 120 Km? Il “tappone” dei cinque colli e dei 131 Km, da Misurina a Corvara, che lanciò in rosa l’indimenticato Fignon al Giro 1989? Lo spumeggiante Chioccioli visto sul Mortirolo, nei 132 Km della Morbegno – Aprica del 1991? Il russo Tonkov maglia rosa dopo i 115 Km della Loano – Pratonevoso nel 1996?
Detto questo, va aggiunto che in questi precedenti ci si trovò sempre a fare i conti con salite impegnative, certamente non paragonabili né al Taburno, né al Montevergine. Ma, se s’interpreterà questa giornata con piglio deciso, in serata potrebbe esserci qualche grosso nome impegnato a leccarsi le ferite, a meditare nuove strategie o a ricalcolare i propri obiettivi.
Di certo, si dovrà essere già in perfetta condizione al via di questa tappa, che sarà dato nel centro dell’antica Calatia, città amica del Giro d’Italia. Sempre ospite del “Villaggio dei Ragazzi” – struttura fondata nel 1947 da Don Salvatore d’Angelo per dare accoglienza ai ragazzi orfani, poveri, abbandonati ed emarginati – qui la corsa rosa ha organizzato tre partenze (1998, 2003 e 2011) e altrettanti arrivi negli ultimi 25 anni. Si ricordano, in particolare, i traguardi: le due cronometro disputate nel 1985 e nel 1995, vinte rispettivamente da Hinault e da Rominger, e la tappa in linea affrontata nel 2000 (primo al traguardo Moreni), passata alla storia per il violentissimo nubifragio scatenatosi nel finale, con tanto di piccolo smottamento avvenuto al momento del passaggio dei corridori lungo la discesa di Durazzano, fonte di diverse cadute.
I primi 12 Km si svolgeranno su di una veloce superstrada che, subito dopo il via, proporrà lo spettacolare passaggio sotto i “Ponti della Valle”, il principale manufatto dell’Acquedotto Carolino, costruito tra il 1753 e il 1762 su progetto di Luigi Vanvitelli per l’approvvigionamento idrico della vicina Reggia di Caserta e con essa iscritto nell’elenco dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.
Terminato questo filante tratto, subito si attaccherà la prima vera salita del Giro 2011, verso la “Dormiente del Sannio”, com’è soprannominato dai cittadini di Bevenento il massiccio del Taburno per il suo skyline che ricorda una donna supina. È un’ascesa che può incutere timore per la sua lunghezza – tra lo svincolo e il traguardo GPM bisognerà percorrere quasi 23 Km – ma che non presenta pendenze impegnative, se non per un breve tratto. Tecnicamente può essere suddivisa in quattro tronconi, il primo dei quali introdurrà la corsa nell’abitato di Frasso Telesino, il centro principale della Comunità Montana del Taburno, dove fin lì si saranno percorsi 8,1 Km al 3,9%. Attraversata Frasso, imboccando la strada che s’insinua tra il Taburno e il Monte Camposauro, inizieranno i 6 Km centrali, caratterizzati da una media del 6,2%. Abbandonata la strada per Cautano, il tracciato della settima frazione si inoltrerà nel territorio del parco naturale istituito nel 1994, andando ad affrontare la tratta più impegnativa dell’ascesa (3700 metri all’8%) mentre si snoderanno in quota i 2,4 Km conclusivi, che conduranno ad un GPM già tre volte proposto alla corsa rosa. Nel 1971 si salì da Montesarchio e scollinò in testa il bresciano Roberto Sorlini, che quel giorno sarà poi battuto allo sprint da Guerrino Tosello sul traguardo della Benevento – Pescasseroli. Il 22 maggio del 1998, al termine della prima settimana del Giro di Pantani, toccò ad Alessandro Baronti conquistare questo GPM, inserito nel tracciato della Maddaloni – Lago Laceno, vinta da Alex Zulle. Abbiamo, infine, già accennato al bagnatissimo successo di Moreni nella Terracina – Maddaloni del 2000, con l’olandese Karsten Kroon primo sulla vetta d’un monte che, a suo tempo, era stato cantato da Virgilio sulle pagine dell’Eneide.
Più compatta è la successiva discesa che – attraversando una fitta foresta demaniale, erede di un possedimento feudale che i Borboni avevano destinato a luogo di “villeggiatura” per i cavalli dell’esercito – condurrà i “girini” in 13 Km (media del 6,1%) sul fondale di un antico lago scomparso da secoli e che oggi costituisce la Valle Caudina, il corridoio pianeggiante che, stretto tra il Taburno e il Partenio, mette in comunicazione il beneventano con Caserta e la “Terra di Lavoro”. Verso quest’ultima la valle si apre con la gola di Arpaia, più nota col toponimo di Forche Caudine, il luogo della storica battaglia avvenuta (ma non combattuta) nel 321 a.C. tra i romani e i sanniti e terminata con la resa immediata dei primi. Secondo alcuni studiosi l’evento accadde altrove, c’è chi dice presso la citata Frasso Telesino, chi presso la gola di Barba (sottostante Ceppaloni, il paese natale di Clemente Mastella). Lo storico tedesco Barthold Georg Niebuhr prese in considerazione l’ipotesi, non suffragata da prove, che i romani si siano in seguito vendicati dell’affronto distruggendo la città sannita di Caudium, sita dove oggi si trova Montesarchio. Attraversata quest’ultima, il percorso taglierà nel mezzo la pianura caudina, tornando a scorrere via veloce per circa 7 Km. Tanta è la strada che si dovrà affrontare tra la fine della discesa e l’inizio dell’asperità successiva, meta i 738 metri di Summonte, località di villeggiatura situata ai piedi del Partenio (il toponimo deriva, infatti, dal termine lativo “sub monte”, ossia sotto il monte). L’ascesa è docile – in tutto saranno quasi 15 Km ma sempre pedalabili – e non sarà nemmeno valida per l’assegnazione della maglia verde, come invece avvenne nel 1994 (tappa Potenza – Caserta con salita dall’altro versante, primo in vetta Gianni Faresin, primo al traguardo Marco Saligari). Lungo l’itinerario d’accesso all’Irpinia si toccheranno, tra gli altri, i piccoli centri di Pannarano (noto per i suoi vini) e Sant’Angelo a Scala, paese presso il quale ha svolto il ministero di parroco fino al 2002 Don Vitaliano Di Noto, sacerdote conosciuto per la sua vicinanza ai no-global, atteggiamento che gli costò due ammonizioni e poi una sospensione “a divinis”, in seguito revocata.
Scollinati e transitati a circa 2 Km di distanza da Ospedaletto d’Alpinolo (località che sarà attraversata direttamente nel corso dell’ascesa finale, consentendo così ai tifosi locali di assistere a due passaggi della corsa a breve distanza di tempo l’uno dall’altro) ci si lancerà in veloce discesa verso quella che era la colonia romana di Veneria Abellinatium, la “madre” dell’odierna Avellino, a difesa della quale proprio a Summonte fu eretto il “castrum submontis”, fortilizio che aveva anche il compito di sorvegliare i transiti sulla “Via Campanina” e del quale oggi rimane solo la torre eretta dai Longobardi, arroccatisi lassù nel timore di rappresaglie da parte delle popolazioni locali.
Conclusa l’ultima discesa di giornata il tracciato si riallaccerà al classico finale “monteverginese”, con ancora un tratto di pianura avanti l’arrampicarsi a torciglioni verso il primo epilogo in quota del Giro 2011. Un traguardo scafato, navigato e oramai non più “vergine”.
Mauro Facoltosi
MODIFICHE AL PERCORSO
Totalmente modificato il percorso, del quale è stata di fatto conservata la sola ascesa finale. Via il Taburno e la salita verso Summonte, i chilometri iniziali saranno vallonati, poi si affronterà il GPM di Serra della Strada prima di scendere verso Avellino ed andare all’attacco del Montevergine
FOTOGALLERY
Foto copertina: Abbazia di Montevergine (panoramio)