ORVIETO – FIUGGI TERME: CARISSIMI VELOCISTI…
Stretta tra la tappa delle strade bianche e il primo arrivo in salita gli organizzatori hanno piazzato la Orvieto-Fiuggi, tappa presentata sulla brochure ufficiale come “pianeggiante”. Ma oggi la pianura sarà un ricordo e pure lontano nel tempo e nello spazio, perché quella poca che s’incontrerà sulle strade laziali sarà percorsa a distanza dal traguardo. Il finale proporrà tre ascese consecutive che metteranno a dura prova i velocisti, anche se sussistono risicate possibilità che si arrivi tutti assieme allo sprinter: bisognerà studiarsi con dovizia le caratteristiche del finale e andare a ripescare le cronache sportive del 24 maggio 1980. Quel giorno si correva sul medesimo finale, che vide respinti i velocisti per l’inezia d’una manciata di secondi.
…. andate a farvi benedire!!! Non prendetela male, questo è un vero e proprio invito ad andarvi a ricercare una protezione dall’alto, un esorcismo che neutralizzi le difficoltà di giornata, come a Livorno malignamente piazzate a ridosso del traguardo. Servirà anche a scacciare il passato perché la Orvieto – Fiuggi è già stata affrontata alla corsa rosa, su di un tracciato perfettamente identico nei chilometri conclusivi a quello odierno, con la salita assai “rompiballe” di Acuto che darà parecchio filo da torcere, come ben ricordano gli sprinter in gruppo il 24 maggio del 1980. Quel giorno, anniversario dell’ingresso dell’Italia nel primo conflitto mondiale, lo straniero riuscì a passare tra le maglie di un finale che, in vista dell’ultima difficoltà piazzata a 7 Km dall’arrivo, vide all’attacco anche qualche uomo che non ci aspettava come il vecchio Panizza (35 primavere) e il meno anziano Battaglin (29 anni, vincitore del Giro nella stagione successivo). Questi tentativi disorientarono il gruppo, presentatosi comunque compatto sotto lo striscione dell’ultimo chilometro, e fiaccarono i velocisti che non riuscirono a rintuzzare l’estrema sparata dello spagnolo Juan Fernández, partito a 200 metri dal traguardo e vincitore con appena 2” sulla muta scatenata degli inseguitori, impegnata in una volata “sporcata” dalla presenza di uomini generalmente “disarcionati” dai finali più filanti, come Palmiro Masciarelli (5°) e Mario Beccia (10°). Benedizione sì, dunque, ma anche uno veloce scorta ai resoconti di 31 anni fa saranno utili agli sprinter se vorranno primeggiare a Fiuggi, traguardo che si negò loro per un’inezia anche nel 1996 quando, arrivando però da sud, prevalse di appena 4” Enrico Zaina.
Acuto non sarà l’unica difficoltà di una frazione dolcemente beccheggiata e che offrirà diversi trampolini per lanciarsi in fughe da lontano, sin dai chilometri iniziali. Il primo di questi inizierà a circa 4 Km dal via e si concluderà alle porte di Castiglione in Teverina, dopo aver affrontato 4600 metri di strada inclinata al 4,3%. Sicuramente ci saranno corridori che tenteranno di andarsene in questo tratto perché, non essendo previsto nessun GPM in vetta, non saranno ostacolati dalla bagarre tra i pretendenti alla maglia verde, ancora numerosi poiché finora si saranno affrontate solo salite di bassa categoria.
In vista di Castiglione il gruppo varcherà quello che fino al 20 settembre 1870, giorno della Breccia di Porta Pia, era uno degli ultimi ostacoli alla completa unificazione d’Italia, il confine dello scomparso Stato Pontifico. Si scenderà poi nella valle del Tevere, nel tratto nel quale il fiume di Roma si allarga nel lago artificiale di Alviano, realizzato nel 1963 per regolare le acque in uscita dal vicino bacino di Corbara ed oggi divenuto un’oasi WWF popolata da ben 160 specie differenti di uccelli.
Arriverà poi il momento d’affrontare l’unico gran premio della montagna di giornata, un’ascesa di una decina di chilometri spezzata in due tratti da un troncone in lieve discesa. I primi 5200 metri, che saranno i più impegnativi (media del 4,7%, due strappi all’11% e altrettanti al 12%), si concluderanno poco dopo aver attraversato il centro di Bomarzo, famoso per il “Parco dei Mostri”, sorta di Disneyland ante litteram creata nel ‘500 dal signore locale, Vicinio Orsini, allo scopo di sorprendere i propri ospiti, che avevano la possibilità di prendere il fresco in un gazebo forgiato a forma di bocca d’orco spalancata oppure di sfidare la legge di gravità e il senso dell’equilibrio camminando sugli sdrucciolevoli pavimenti della “casa pendente”, inabitabile abitazione che farebbe la gioia dei più irriducibili grimpeur. Più pedalabili i rimanenti 4,4 Km che, con una media del 4,1% e un massimo del 9%, condurrano i “girini” al traguardo della montagna di Soriano nel Cimino, centro situato dei piedi dell’omonimo monte, antico vulcano ammantato da una delle più imponenti faggete d’Italia, erede dell’ancor più estesa “Ciminia Silva”, impenetrabile al punto da aver costituito per molto tempo una barriera naturale all’espansione romana verso l’Etruria. Lassù, nel cuore di quella foresta che accolse l’arrivo di due tappe della Tirreno-Adriatico (vittorie di Gianluca Pierobon nel 1995 e di Filippo Casagrande l’anno successivo), si trova anche quella che lo storico Plinio il Vecchio classificò come “naturae miraculum”, ossia la “rupe tremante”, enorme masso di 250 tonnellate che può essere fatto oscillare senza molta fatica utilizzando un bastone come se fosse una leva.
Breve discesa e poi inizierà un tratto a morbidi saliscendi col quale si aggirerà il Cimino portandosi a Vignanello, località nota – come lascia intuire il toponimo – per la produzione enologica, qui praticata sin dal IV a.C, periodo al quale risale uno “stamnos” (vaso in ceramica utilizzato per conservare i liquidi) ritrovato nella necropoli del Molesino. Il Vignanello era un nettare molto conosciuto e apprezzato, in particolar modo nell’800, e sarà anche – con quelli di Orvieto e di Genzano e col prelibato “Est! Est!! Est!!!” di Montefiascone – uno dei quattro vini citati da Giuseppe Gioacchino Belli nel sonetto “Er vino è ssempre vino”.
“E’ bbono asciutto, dorce, tonnarello,
solo o ccor pane in zuppa, e, ssi è sincero,
te se confà a lo stommico e ar ciarvello.
E’ bbono bbianco, è bbono rosso e nnero;
de Ggenzano, d’Orvieti e Vviggnanello:
ma l’este-este è un paradiso vero!”
Dopo quest’inevitabile ed ebbriante sosta, riprenderà la discesa procedendo in direzione di Civita Castellana, centro d’antichissima origine che prima dell’arrivo dei romani si chiamava Falerii Veteres ed era stato una delle dodici città principali dell’Etruria (la “dodecapoli”) nonché capitale politica e culturale del territorio abitato dai Falisci. Compiendo una visita completa a questa città non si deve mancare l’appuntamento con il museo dedicato alla ceramica, per la quale Civita Castellana rappresenta il principale centro industriale d’Italia.
Un così importante centro non poteva non trovarsi lungo uno dei grandi assi della viabilità romana e, infatti, da lì a poco si passerà sulla Via Flaminia – incominciata verso il 220 a.C. per collegare la capitale a Rimini ed intitolata al console che ne promosse la costruzione, Gaio Flaminio Nepote – che il gruppo imboccherà in direzione di Roma. Inizierà così un’altra tratta in salita, molto dolce (200 metri di dislivello in 10,5 Km e pendenze significative solo nei primi duemila metri), che si concluderà al momento d’abbandonare la Flaminia, proprio ai piedi del Soratte, il “monte di Mussolini”, così chiamato durante il ventennio perché la sua silhouette ricordava, se vista da nord, la testa elmata del duce.
Dopo un lungo e frastagliato tratto in quota, si tornerà a scendere nella valle del Tevere, attraversandolo poco dopo aver sfiorato l’area archeologica di Lucus Feroniae, con i resti di una colonia romana che aveva anche la funzione di centro commerciale e culturale, essendo stata fondata nel luogo dove convergevano in vista dell’Urbe le strade provenienti dalle terre di tre popolazioni, i latini, gli etruschi e i sabini.
Siamo alle porte di Roma, che il giro eviterà bypassandola a oriente. L’impossibilità di traguardare nella capitale nell’anno delle celebrazioni unitarie sarà, però, ricompensata dal passaggio da Mentana, centro legato alla storia della nostra nazione per la battaglia combattuta il 3 novembre del 1867 tra le truppe pontificie, alla fine risultate vincitrici, e l’esercito di volontari capeggiato da Garibaldi che, alcune settimane prima, aveva invaso il Lazio, unico territorio rimasto allo Stato Pontificio dopo la battaglia di Castelfidardo.
Transitati ai piedi della modesta catena dei Monti Cornicolani – così chiamata in epoca romana per il suo profilo, richiamante un paio di corna – si attraverserà il giovane centro di Guidonia, progettato negli anni 30 per accogliere la DSSE (Direzione Superiore Studi ed Esperienze) dell’aeronautica militare e intitolato alla memoria del generale Alessandro Guidoni, scomparso alcuni anni prima in un tragico incidente avvenuto sulla pista dell’aeroporto militare di Montecelio, preesistente alla fondazione di Guidonia.
I “girini” giungeranno quindi a Tivoli ma non saliranno nel centro della virgiliana “Tibur Superbum”, completando così l’aggiramento della capitale e riprendendo con decisione la discesa verso sud, che adesso proporrà i tratti più impegnativi di questa frazione. Saranno tre le tratte da affrontare in ascesa negli ultimi 60 Km, gran parte dei quali si svolgeranno parallelamente al percorso della scomparsa ferrovia a scartamento ridotto Roma – Fiuggi – Alatri – Frosinone, strada ferrata della quale, da più parti, ne è stata invocata la musealizzazione, mentre il tratto tra Paliano e Fiuggi è stato consegnato agli appassionati delle due ruote. Espiantata la massicciata, è stata, infatti, trasformata in una spettacolare pista ciclabile, che offre la possibilità di trovare ricovero, in caso di maltempo, presso le vecchie stazioni restaurate.
La prima salita, una quindicina di chilometri al 2,3%, si concluderà ai piedi di Palestrina, l’antico centro latino di Praeneste, frequentatissima “Lourdes” del periodo imperiale per la presenza del venerato santuario della Fortuna Primigenia, spettacolare complesso strutturato su sei terrazze artificiali.
Non s’incontreranno grosse difficoltà nei successi 18 Km, prevalentemente tracciati in discesa ma con l’intromissione di qualche zampelotto. Il più significativo di questi introdurrà il Giro in Cave, abitato dal quale si stacca una strada che s’insinua tra i Monti Prenestini e si spinge fino alla Mentorella, il più antico santuario mariano del mondo (probabilmente del VI secolo, sicuramente esistente nel X secolo), luogo molto caro all’indimenticato Giovanni Paolo II, che vi salì spesso da vescovo e da cardinale e che ne fece meta di uno dei suoi primi viaggi da pontefice, appena tredici giorni dopo l’elezione.
Superato il corso del fiume Sacco, si tornerà a pedalare all’insù per 5900 metri, tratta inclinata al 3,8% che si concluderà subito dopo aver lasciato la strada per Piglio e gli Altipiani di Arcinazzo, conca carsica che fu visitata dallo scrittore Guido Piovene, rimasto colpito dai profumi di questo luogo che segnalò in una delle sue più celebri opere, quel “Viaggio in Italia” nel quale scrisse “Sull’altopiano di Arcinazzo ho trovato poi i prati più profumati ch’io ricordi. Il profumo era così forte, che mi guardavo intorno, per capire da quale albero provenisse; poi, penetrando nei prati lungo la strada, mi accorsi che un profumo tra la verbena e l’eliotropio saliva a ondate dalle erbe, così violento da stordire e da sembrare innaturale, quasi che le erbe fossero state innaffiate di sostanze odorose”.
Stavolta il tratto di “riposo” in vista della prossima ascesa, che sarà anche l’ultima, sarà limitato. Sei chilometri più avanti si tornerà a pedalare verso l’alto per affrontare il momento più esigente di questa tappa. È la più breve delle tre ascese finali, ma anche la più dura, caratterizzata da un’andatura scalinata nella quale si alternano con frequenza tratti pedalabili ad altri decisamente più aspri, nei quali la pendenza schizza fino al 17%, mentre la media – calcolata su di un tratto di 3,7 Km – si attesta sul 5,6%. Come dimostra la tappa del 1980 recuperare non sarà facile, complici non solo la prossimità del traguardo ma anche le curve del finale che, nonostante siano poche e non difficili, non agevoleranno certo le operazioni. E, come se non bastasse, ci si metterà pure di mezzo il lieve falsopiano che condurrà sul rettilineo d’arrivo.
Per davvero urge la necessità di una benedizione. Se d’acqua termale meglio ancora!
Mauro Facoltosi
MODIFICHE AL PERCORSO
Allungato il finale che sarà meno tortuoso ma più impegnativo per i velocisti, che si troveranno a fare i conti prima con la breve ma secca salita verso Anagni (1,9 Km al 9,5%) e poi quella della galleria di Monte Porciano (5,7 Km al 4,3%), sulla quale si scollinerà a 5 Km dal traguardo. Anche l’ultimo chilometro sarà in lieve ma costante ascesa. Con queste modifiche la lunghezza della tappa passa dagli originari 195 Km a 216 Km.
FOTOGALLERY
Foto copertina: Fiuggi, Fonte Bonifacio VIII (panoramio)