ROGLIC VINCE IL GIRO COME AVEVA PERSO IL TOUR

maggio 27, 2023
Categoria: News

Nella terribile cronoscalata al Monte Lussari Primoz Roglic con una prova davvero straordinaria ribalta le sorti del Giro d’Italia, infliggendo un distacco di 40 secondi al rivale gallese Thomas e andansodi a prendere la maglia rosa alla vigilia della passerella romana. Neppure un incidente meccanico su un tratto estremamente ripido riesce a fermare lo sloveno, che vince anche la tappa.

Geraint Thomas (INEOS Grenadiers) era l’unico corridore tra i tre che saliranno sul podio domani a non aver avuto ancora una vera giornata di crisi, se non consideriamo la crono iniziale nella quale Remco Evenepoel (Soudal – Quick Step) aveva dato enormi distacchi a tutti.
Joao Almeida (UAE Team Emirates), come si poteva immaginare, ha patito sia sulla salita di Coi che sulle Tre Cime di Lavaredo le severe pendenze, Primoz Roglic (Jumbo-Visma) aveva sofferto un passaggio a vuoto sul Monte Bondone, riuscendo comunque a non naufragare grazie anche ad un ottimo Sepp Kuss.
Thomas ha avuto oggi la sua giornata di difficoltà che gli è costata la maglia rosa.
Una prova come quella di oggi, piuttosto breve e con una salita ripidissima, indubbiamente sorrideva più ad un corridore esplosivo come Roglic, piuttosto che ad un regolarista solido come Thomas.
Il gallese in effetti sembra aver patito le severe pendenze della salita verso il Monte Santo di Lussari, anche forse a causa del rapporto piuttosto duro che ha spinto. Ora il gallese indubbiamente non si trova a proprio agio a spingere i rapportini che sarebbero stati impensabili negli anni 90, ma su pendenze come quelle di oggi, che restano tali per molti chilometri, si rischia alla lunga di pagare.
In effetti Thomas ha accumulato la maggior parte del ritardo con il quale ha tagliato il traguardo nell’ultima parte della cronometro, visto che al secondo intermedio accusava solo una quindicina di secondi dei quaranta patiti all’arrivo.
Le scelte sono state diverse non solo nei rapporti scelti, che comunque riflettono le caratteristiche dei corridori, ma anche per esempio sulla questione casco che Thomas ha preferito cambiare al momento del cambio di bicicletta.
In quel passaggio Thomas ha impiegato circa 8 secondi in più rispetto a Roglic, ma ha iniziato la salita con soli 2 secondi di ritardo, segno che nel tratto pianeggiante Thomas è andato nel complesso un po’ meglio.
Il secondo episodio significativo è stata la posizione delle mani adottata da Roglic in un tratto in cui aveva già cambiato la bicicletta, salendo su quella da tradizionale dopo aver abbandonato quella speciale per le prove contro il tempo.
La posizione con gli avambracci sul manubrio senza le protesi da afferrare con le mani è stata vietata da qualche anno dai regolamenti UCI con una decisione che lascia abbastanza perplessi.
Ora il divieto riguarda le prove in linea e non quelle a cronometro, tuttavia appare abbastanza evidente che la ratio di questa decisione vada ricercata in ragione di maggior sicurezza.
E’ ovvio, quindi, che queste ragioni sono sussistenti ogniqualvolta si usi una bicicletta priva delle protesi che caratterizzano quelle usate nelle prove contro il tempo.
La colpa di questa situazione non è ovviamente di Roglic, che ha rispettato alla lettera la norma, bensì di chi quella norma l’ha scritta. Si tratta di una regola non solo insensata dal punto di vista del merito, ma anche di una norma scritta male.
Il terzo episodio da segnalare è l’incidente meccanico patito da Roglic, che è stato costretto a scendere dalla bicicletta e rimettere la catena perdendo almeno dieci secondi.
In quel momento il capitano del team Jumbo ha davvero corso il rischio di perdere il Giro, ma ormai la crisi per Thomas era arrivata, la pedalata era sempre più legnosa e il ritardo saliva vertiginosamente.
Negli ultimi 800 metri (ossia tra il terzo intertempo e il traguardo) Thomas ha perso 11 secondi, passando dai 29 di ritardo (che avrebbero lasciato il Giro contendibile con gli abbuoni) ai 40 definitivi, segno che il gallese non ne aveva davvero più.
Per il resto la cronometro ha confermato i valori emersi sinora e per esempio Almeida e Damiano Caruso (Bahrain – Victorious), terzo e quarto della classifica, sono arrivati terzo e quarto anche nell’ordine d’arrivo della tappa.
Dietro questi corridori ha terminato un ottimo Thibaut Pinot (Groupama – FDJ), che ha dato tutto per onorare la maglia azzurra di miglior scalatore, e successivamente si sono piazzati i migliori ultimi uomini dei primi tre della classifica Kuss, Brandon McNulty (UAE Team Emirates) e Thymen Aresman (INEOS Grenadiers), gregari di lusso che sono stati vicini ai capitani sino agli ultimissimi chilometri nelle tappe di montagna.
Ottima prova anche per Andreas Leknessund (Team DSM), che ha dimostrato, con un nono posto di tappa e un ottavo in generale, che la maglia rosa conquistata a Lago Laceno era pienamente meritata.
Per il resto, l’unica cosa che si può dire è che chi vince ha sempre ragione quindi, benché la condotta esasperatamente attendista di gara di Roglic sia criticabile e sia la stessa che gli aveva fatto perdere il Tour del 2020, ciascuno avrebbe da contrapporre a questa osservazione il dato oggettivo della vittoria. Però, se questo è vero, è anche vero che chi perde ha torto e non si può non notare che la sconfitta di Thomas è stata conseguenza di una tattica altrettanto attendista di Thomas che, ben sapendo che la prova odierna sorrideva più a Roglic che a lui, avrebbe dovuto cercare di attaccare per guadagnare secondi sul rivale, anche magari al termine della prima settimana sul Gran Sasso quando Roglic non sembrava al 100% (si parlava addirittura di covid) e sul Bondone, dove le pendenze erano certamente più adatte a Thomas.
Ora si potrebbe dire che con il senno di poi è facile parlare, tuttavia si è sempre detto che se non si prova a attaccare, neppure si capisce se un avversario sia o meno in crisi.
Tutti i big avrebbero dovuto provare i loro attacchi da più lontano per vedere se gli avversari riuscivano a rispondere, oppure se erano in crisi.
Questo porta alla riflessione oggettiva che il finale al cardiopalma indubbiamente emozionante vissuto oggi non può far dimenticare un Giro corso in maniera molto deludente dai protagonisti, nonostante offrisse un percorso ricco di occasioni per dare spettacolo.
Neppure l’ultima settimana ha modificato la situazione, con le tappe di montagna hanno visto i big muoversi solo negli ultimissimi chilometri. Nel tappone delle Tre Cime di Lavaredo hanno scollinato il Giau davvero in troppi e l’attacco dei big è partito solo a 1,6 km dalla conclusione.
In questi giorni sono tornte alla mente le parole, in questo senso profetiche, del compianto Marco Pantani. “Siamo ridotti a sprintare anche in salita”.
Proprio oggi su un quotidiano nazionale era riportata un’intervista ad un grande campione di quell’epoca, Miguel Indurain, che ha sottolineato come la tecnologia esasperata di questi anni e la mania dei corridori di portarsi dietro anche “il materasso” siano elementi che hanno fatto diventare il ciclismo meno romantico di quello spettacolare che i protagonisti di quegli anni ci offrivano.
Ora è vero che mancano i Pogacar ed i Vingegaard, ma l’Olano e il Tonkov del 96, il Gotti e il Tonkov del 97 e i protagonisti dei giri degli anni successivi non erano certo i campioni del Tour de France, ma davano spettacolo e se le davano di santa ragione sulle montagne. Il Gotti del 97 conquistò la rosa in una tappa di montagna della seconda settimana (Cervinia) come aveva fatto l’anno prima Tonkov (Pratonevoso), mentre in questa edizione nella seconda settimana i big sono arrivati al traguardo in un foltissimo gruppo di corridori sia a Crans Montana (ove pure c’era la durissima Croix de Coeur con discesa insidiosa), sia a Bergamo.
Non resta, quindi, che sperare che siano i nuovi giovani, che sembrano più inclini a dar battaglia da lontano, a riproporci un Giro che ci faccia rivivere le antiche emozioni.

Benedetto Ciccarone

Roglic punta  a testa bassa verso la maglia rosa (Getty Images)

Roglic punta a testa bassa verso la maglia rosa (Getty Images)

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