PIOMBINO – ORVIETO: QUOD NON FECERUNT PRUDHOMO, FECERUNT ZOMENANI
In Francia avevano promesso il pavè per l’edizione 2011, ma forse quanto accaduto nella scorsa edizione ha dirottato il Tour su più scorrevoli rotte. Ciò non accadrà al Giro che, viaggiando tra Piombino e Orvieto, ritroverà quelle strade bianche che dodici mesi fa avevano suscitato qualche malumore in gruppo. Non sarà una tappa dal finale arduo come quello di Montalcino, ma sbaglia chi parla di un percorso facile: nel tracciato ci saranno tutte le “doti” che assicureranno un altro matrimonio da favola tra il Giro e gli sterrati, che oggi potrebbero rivelarsi decisivi anche nei tratti in discesa.
Il direttore del Tour, Christian Prudhomme, l’aveva promesso: dopo l’esperienza dell’Arenberg all’ultimo Tour, anche nell’edizione 2011 si sarebbe andati sul pavè, anche se su quello meno noto della Bretagna. Al momento delle ultime decisioni, però, hanno prevalso un pizzico di buon senso e la stessa “grandeur” tipica dei francesi, che non potevano permettersi di perdere ancora per strada un pezzo da 90 del calibro del lussemburghese Franck Scleck, evento che – a ben guardare – aveva condizionato il proseguimento della corsa, col fratello minore Andy apparso quasi “spaesato” e incapace di gestire da solo la lotta contro Contador, dalla quale ne è uscito sconfitto. Una corsa che una ventina di anni fa mandava deliberatamente a casa gli ultimi della classifica, temendo l’insopportabile onta di una lotta antisportiva per una poco gloriosa e fittizia maglia nera, non poteva certo permettersi il rischio di incappare per il secondo anno consecutivo in un episodio del genere. E quindi, niente pavè, anche se nulla vieta che in futuro lo si ritrovi sotto le ruote, magari già dal 2012, quando la Grande Boucle scatterà da Liegi.
E al Giro hanno fatto lo stesso? Giammai! Vi siete lamentati per gli impastrocchiati sterrati della tappa di Montalcino? Benissimo! Allora quest’anno si replica, si fa il bis! Anzi, il bis del bis poiché le giornate da trascorrere sulle strade bianche raddoppieranno rispetto alle due dello scorso anno, mentre i chilometri complessivi saranno circa gli stessi: oltre ai 13500 metri odierni, si dovrà fare i conti con i 6,5 Km della “Panoramica delle Vette” (sul Crostis, nel giorno dello Zoncolan), con i 200 metri scarsi dell’arrivo al Gardeccia e con i già conosciuti 7,9 Km del Colle delle Finestre. Troppa grazia Sant’Angelo, organizzatore mezzo angelo e mezzo demone, un po’ Mr. Hyde e un po’ Jekyll, personalità che spicca nella scelta, per l’avvio di quest’attesa frazione, di far radunare i “forzati della strada” in un luogo magnifico, il belvedere naturale di Piazza Bovio a Piombino, dalla quale la vista arriva ad abbracciare, oltre le isole dell’arcipelago toscano, la lontana Corsica, terra che fu italiana fino al 1768. La giusta distrazione per distogliere momentaneamente il pensiero dalle questioni di corsa.
Ma che frazione sarà quella della prima presa di contatto con le strade bianche? Meno dura rispetto a quella di Montalcino a sentire gli appassionati, che forse hanno ragione perché i tratti bianchi da affrontare in salita non saranno ne lunghi ne ardui come quelli affrontati per rimontare sul Poggio Civitella. Ma questa sarà comunque una giornata da temere perché ci saranno anche alcuni tratti bianchi da percorrere insidiosamente in discesa e il tutto sarà sposato ad un tracciato più movimentato rispetto a quello proposto dodici mesi fa. Sarà un continuo su e giù che, alla fine, potrebbe chiedere il conto al momento d’affrontare la rampaccia finale verso Orvieto. Lisci come l’olio, invece, scorreranno via i primi 50 Km che, a pochi chilometri dal via, vedranno i “girini” nuovamenti intenti a pedalare sulla Via Aurelia, in direzione di Follonica, industre centro sin dal tempo degli etruschi. Notissima, infatti, era l’attività fusoria degli etruschi della vicina Populonia, per compiere la quale si utilizzano anche i “fulloni” – così erano chiamati anticamente i mantici dei forni – dai quale deriva il nome di questo comune che, dopo un lungo periodo di decadenza, tornò a rifiorire dopo il 1834, grazie al ripristino dell’industria siderurgica, voluto dal penultimo granduca di Toscana Leopoldo II d’Asburgo-Lorena. In suo onore, al centro dell’abitato sorto attorno alle “Reali e Imperiali Fonderie”, sarà innalzata una chiesa intitolata a San Leopoldo, la cui facciata rappresenta una pagina artistica unica in Italia, non essendoci altri esempi nella nostra nazione di “matrimonio” tra la classica pietra da costruzione e la ghisa, nobilitando a scopi artistici quella speciale lega di ferro e carbonio che per tutto l’800 era soprannominata “ferraccio” perché meno duttile dell’acciaio.
Lasciato il litorale tirrenico, il tracciato della quinta frazione andrà ad imboccare il lungo “corridoio” pianeggiante che separa il massiccio del Poggio Ballone (vi si trovano le vestigia del borgo etrusco di Vetulonia) dal sistema delle Colline Metallifere, così chiamate per le numerosissime ed estese miniere che vi si trovavano e dalle quali, per secoli, furono scavati una grande varietà di minerali differenti, dalla pirite al rame, dal piombo allo zinco, dai solfuri all’antimonio, dal salgemma alla lignite. Esaurite le varie vene, oggi è regolarmente sfruttata solo l’energia geotermica, la cui azione è visibile attraverso lo spettacolo dei soffioni boraciferi (Larderello).
Giunti alla stazione di Gavorrano, il gruppo abbandonerà definitivamente il tracciato dell’Aurelia per avvicinarsi alle “pareti” di questo corridorio naturale, rimanendo comunque ancora sul piano. Si transiterà a breve distanza dal piccolo lago carsico dell’Accesa e poi ai piedi del Castel di Pietra, maniero nel quale trovò tragica morte la Pia de’ Tolomei di dantesca memoria (nel quinto canto del Purgatorio il divin poeta scrisse, a quel proposito, “Siena mi fè, disfecemi Maremma”). Ancora per una quindicina di chilometri non s’incontreranno soverchie difficoltà, poi giungerà il momento d’affrontare la prima delle cinque ascese previste oggi. Meta, secondo le cartine ufficiali, saranno i 377 metri di Roccastrada, pittoresco ed arroccato borgo di genesi medioevale, ma in realtà è un “falso” poiché i corridori non vi giungeranno, terminando la loro scalata, dopo quasi 5500 metri di strada al 4,8%, nella piccola frazioncina di Terzo, quasi 2 Km più in basso. Ci si lancerà poi in discesa verso la valle dell’Ombrone, il secondo fiume toscano per lunghezza dopo l’Arno, entrando ben presto nel vasto territorio del comune di Civitella – Paganico, nato nel periodo fascista dalla fusione degli antichi municipi di Pari, Civitella Marittima (toponimo d’origine latina dal quale deriva anche quella della vicina Maremma) e di Paganico. Quest’ultimo, caratterizzato da una pianta rettangolare e ancora in parte circondato dalle mura innalzate nel XIV secolo, sarà l’unico dei tre ad essere direttamente attraversato dal percorso di gara, nel momento in cui questo prenderà a puntare con decisione verso il Monte Amiata. Su quest’antico vulcano spento da settecentomila anni, montagna più elevata della Toscana meridionale (1738m), il Giro non transita dal 23 maggio del 1980 (anche quella era una tappa con epilogo fissato a Orvieto, dove giunse primo Silvano Contini) e ancora si dovrà attendere: per non incidere troppo sul livello “calorico” di questa già esigente frazione si è, infatti, prescelto di aggirarlo da sud, salendo comunque ma affrontando un’ascesa meno elevata ed impegnativa. In pratica si scollinerà nell’abitato di Saragiolo (930 metri) dopo aver affrontato un’ascesa lunghissima – impegnerà i corridori per oltre 30 Km – ma pedalabile e discontinua, spezzata in due tronconi da un tratto in discesa di quasi 4 Km. La prima parte sarà quella più consistente, sia in termini di chilometraggio (circa 22 Km), sia per le pendenze che s’incontreranno, con i tratti più impegnativi comunque sporadici (la media si aggira attorno al 3,2% e si concederà un solo strappo lungo circa mezzo chilometro e inclinato all’11%). In questo primo settore si pedalerà costantemente tra i campi e l’unico centro attraversato sarà Arcidosso, paese che ha dato i natali al predicatore Davide Lazzaretti, il “Cristo dell’Amiata”, fondatore nel 1868 della Chiesa Giurisdavidica, movimento mistico-rivoluzionario che trovò molti adepti tra i contadini e gli artigiani di queste povere terre e che, osteggiato sia dalla Chiesa sia dallo stato, sarà soffocato nel sangue il 18 agosto del 1878, quando un manipolo di carabinieri accolse l’arrivo di una loro processione in paese con una pioggia di proiettili. Oggi rimangono i resti della chiesa che i giurisdavidici costruirono sulla vetta del vicino Labbro, monte dirimpettaio dell’Amiata che merita un’escursione anche per gli stupendi ed estesissimi panorami che offre. Da notare che ancora oggi il Labbro continua la sua opera di “ricettività spirituale”, essendo stato prescelto negli anni ’80 da una comunità tibetana Dzogchen per fondarvi il centro di Merigar West, presso il quale nel 1990 l’attuale Dalai Lama ha inagurato il “gompa (tempio) della grande contemplazione”.
Concluso questo intermezzo religioso torniamo alla profana descrizione del percorso con la ripresa della salita verso Saragiolo, che negli ultimi 6000 metri presenterà una pendenza media di poco più elevata rispetto alla prima parte. Passati dalla provincia di Grosseto al senese, inizierà una discesa caratterialmente simile alla strada appena percorsa poiché pure costituita da due tratti differenti, in questo caso senza nessun troncone intermedio a separarli. Blanda la planata nei primi 5 Km (a parte gli istanti immediatamente successivi lo scollinamento), questa si farà più decisa – seppur non ripida – nei restanti 6 Km. A far da spartiacque il passaggio dalla località di villeggiatura di Piancastagnaio, dalla quale i “cercatori d’arte” potranno compiere una breve disgressione dal percorso per raggiungere la vicina Abbadia San Salvatore, il centro più rilevante del comprensiorio amiatiano, il cui nome non tradisce affatto la presenza di un’antichissima abbazia, fondata oltre 1200 anni fa e che visse il suo periodo d’oro tra il X e il XII secolo, quando divenne la più ricca della Toscana e conservò nella sua biblioteca l’inestimabile “Codex amiatinus”, la più antica versione latina manoscritta della Bibbia, redatta nel 692 da San Gerolamo ed oggi esposta a Firenze, nella Biblioteca Medicea Laurenziana.
Nel frattempo riprenderà il “balletto” tra le storiche strade consolari dell’Impero e il Giro d’Italia che, terminata la discesa, sfilerà per quasi 2 Km sulla Via Cassia, tracciata per collegare Roma con “Florentia” e che prese il nome da Gaio Cassio Longino, uomo politico principalmente noto per essere stato uno delle “menti” della congiura che assassinò Giulio Cesare. Ancora qualche chilometro di strada facile e poi verrà il momento d’arrampicarsi verso i 731 metri della Croce di Fighine. Non si vedrà subito l’atteso sterrato, che costituirà solamente il tratto finale di un’ascesa complessivamente lunga 10,3 Km e strutturata similmente a quella precedente. Si dovrà, dunque, affrontare una prima tranche di 4,3 Km al 4,1% (con, all’interno, 800 metri al 9% medio) e poi, dopo il bivio per Celle sul Rigo, la “strada del Polacco” si snoderà in quota alternando pianura e salita sino alle porte di San Casciano dei Bagni, località termale nota sin dal tempo degli etruschi e dei romani, che venivano a curarsi alle “Balnea Clusina”, fonti la cui portata giornaliera è la terza in Europa. Lasciata la strada per Cetona e Chianciano (del primo centro è nativo Mauro Vegni, il direttore operativo del Giro d’Italia e di tutte le manifestazioni ciclistiche targate Gazzetta), dopo 100 metri il colore della strada virerà dal nero al bianco, facendo ripiombare la corsa rosa nelle suggestioni del ciclismo eroico. Sullo sterrato si pedalerà nei successivi 6,5 Km, introdotti dal tratto terminale dell’ascesa – la “salita della Perella”, come qualcono la chiama – il più ostico anche sotto l’aspetto delle pendenze, che per 1800 metri raggiungeranno una media dell’8,8% (12% nei conclusivi 800 metri, con un picco al 15%). Anche dopo la Croce di Fighine, presso la quale transita il confine della zona di produzione del Chianti DOCG, non finiranno le difficoltà poiché non sarà assolutamente facile recuperare tra il falsopiano sommitale di circa un chilometro e una discesa difficile perché ripida (4,2 Km al 7,1%, massima del 13%) e a tratti tortuosa. Subito dopo aver sfiorato il turrito castello di Fighine – molto importante in epoca medioevale per la sua posizione strategica, a dominio delle valli dei fiumi Paglia e Chiana – si dovranno, infatti, affrontare una mezza dozzina tra curve e tornanti che, complici il fondo non asfaltato, di certo non agevoleranno la marcia dei drappelli più folti nei quali si sarà sgranato il gruppo. Ritrovato l’asfalto, si passerà dalla Toscana all’Umbria, il cuore verde d’Italia che ben presto lascerà trapelare anche la sua anima “bianca”. Infatti, giunti nella zona industrale di Fabro il tracciato proporrà un cambio di programma rispetto a quanto annunciato lo scorso ottobre a Torino. Non si andrà al traguardo per la strada originariamente prevista, tutta asfaltata e con di mezzo la salita al pedalabile Valico di Monte Nibbio, ma lanciandosi nel secondo ed ultimo tratto sterrato di questa giornata. Nei successivi 7 Km si pedalerà in un contesto molto panoramico, seguendo una strada vallonata nota solo agli appassionati cicloamatori locali (non è riportata dalle cartografie) e che, procedendo parallela all’Autostrada del Sole, andrà a riprendere l’asfalto in vista della stazione di Allerona. Da lì si procederà nel fondovalle del Paglia, in direzione del piede settentrionale della rupe della città vecchia, l’Urbs Vetus dalla quale deriva l’odierno nome di Orvieto. Nel 1980, l’abbiamo già detto, lassù vinse Contini mentre nel 2002 toccò allo spagnolo Aitor González, due corridori avvezzi ai finali impegnativi (anche se il secondo non era proprio scalatore)… e quest’anno avremo un degnissimo successore perché l’arrivo sarà ancora più arduo. Si salirà, infatti, per una strada inedita, che esibirà inclinazioni da muro fiammingo nella rampa iniziale di Via Adige, un drittone di 400 metri al 12,5%. Riannodatisi poi al classico finale orvietano, con una pendenza più malleabile (1,5 Km al 3,4%, max 6%) si salirà fino al celebre pozzo di San Patrizio, in un epilogo che chiederà ai primattori d’attingere ai serbatoi energetici le ultime stille di sudore.
I VALICHI DELLA TAPPA
Sella di Arcidosso (679m). Coincide con l’omonimo abitato, situato nell’insellatura che separa l’Amiata dal Monte Labbro.
Passo dell’Incrociata (818m). Valicato dalla strada provinciale che mette in comunicazione Arcidosso con Santa Fiora, è il punto nel quale ha termine il primo tratto dell’ascesa verso Saragiolo. Il valico è, di fatto, un quadrivio nel quale confluiscono anche le strade provenenti da Triana (Roccalbegna) e dalla vetta dell’Amiata. La salita all’Incrociata, dal versante di Santa Fiora, è stata affrontata nel circuito finale della tappa di Santa Fiora della Tirreno-Adriatico 1996, vinta da Fabiano Fontanelli e che proponeva la scalata all’Amiata (fino al Prato delle Macinaie): si è trattata dell’ultimo passaggio di una corsa professionistica sul monte toscano.
Mauro Facoltosi
FOTOGALLERY
Foto copertina: un tratto della discesa dalla Croce di Fighine (panoramio)