A CRANS MONTANA MA SANS MONTAGNA: TANTA FARSA IN UN GIRO MUTILATO

maggio 20, 2023
Categoria: News

Che pochezza in questo Giro sminuito. Ci mancava solo l’ennesimo braccio di ferro con il fantomatico sindacato corridori che salta su e si preoccupa di problemi (inesistenti) soprattutto quando conviene ad alcuni. Il primo bellissimo tappone, bellissimo sulla carta, si sfascia in battibecchi, come quello che decide la vittoria di giornata.

Ma quanto dovrà svoltare questo Giro smozzicato per salvarsi nella terza settimana? C’è tanta sfortuna, è vero, perché le premesse erano di spicco, fra grandi interpreti e un percorso ben disegnato. E comunque, ammettiamolo fin da subito, stona un po’ intristirsi per il Giro quando il maltempo ha travolto la vita vera, quotidiana, di tante persone. Il maltempo, certo, e il malfatto di tanti anni su piccola e grande scala, non ce ne scordiamo. Perché alla fin fine non è sempre e solo il cielo, l’autore delle disgrazie umane, ma anche un’umanissima cattiva volontà, locale e globale. Meglio fermarsi prima di trascendere nella filosofia, tanto più senza Guillaume Martin al via, però queste considerazioni ben si sposano anche con certi fatti che fra ieri e oggi hanno sostanzialmente deturpato una delle tappe chiave del Giro 2022.
Che cosa è successo? Prima di tutto che da parte Svizzera si è deciso di non aprire il Passo del Gran San Bernardo. Capita? Capita. Dispiace che, come suggerito da parecchi locali molti mesi orsono, quando trasparivano le prima indiscrezioni sul percorso, le motivazioni siano state più probabilmente economiche e prevedibilissime piuttosto che non meteorologiche e incontrollabili. Far cassa col tunnel in date di grandi flussi per via di un fine settimana prolungato da concomitanti festività. Un fenomeno ricorrente e sistematico, a differenza del meteo, di cui non si è tenuto troppo conto, mentre gli svizzeri a quanto sembra ai loro, di conti, ci tenevano parecchio. Senz’altro più che al Giro.
Succede poi che un municipio, quello interessato al transito nella parte più alta delle Croix de Coeur, si attendesse più supporto economico per le asfaltature. Ecco dunque circolare minacciosi documenti video per denunciare che, tolta la neve, l’asfalto sembra pericolosamente malandato. Salta poi fuori che i chilometri in questione sono pochi, che le immagini inquietanti corrispondono in realtà a un aspetto relativamente normale per una stesura di un fondo siffatto in queste condizioni, senza che ciò implichi alcun pericolo di spicco per la corsa.
L’instabilità che si genera è tutta sociale, non meteorologica. È la percezione di un tentennamento, in cui si lancia a tutta forza, come un cuneo, il sindacato corridori. Non si sa se su propria iniziativa oppure se stimolato da alcuni elementi del gruppo, il sindacato lancia una votazione, e percentuali bulgare del gruppo, a quanto sembra, accettano la proposta (stilata in questi termini… da chi?) di eliminare del tutto la salita della Croix de Coeur appigliandosi al famigerato Extreme Weather Protocol, protocollo per le condizioni meteorologiche estreme. Orbene, le condizioni di attivazione del protocollo invocate, secondo il presidente del sindacato – l’ex corridore Adam Hansen già protagonista della vergognosa sceneggiata di Morbegno 2020 – sarebbero state “pioggia gelida (freezing)” e “temperature estreme”. Il problema è che nessuna delle due condizioni si verificava, ma nemmeno da lontano, né nelle previsioni, né poi nella realtà fattuale, per l’intero percorso di oggi. Citare il cumulo di precipitazioni, malanni, stanchezze che pesa dagli scorsi giorni non rende in alcun modo più logico che si chieda di attivare un protocollo il quale, proprio in quanto tale, delinea seppur vagamente alcune determinate condizioni, molto lontane da quelle odierne. A meno che, ovviamente, non si definisca “estremo” un rango di temperature fra gli 8 e i 14 gradi centigradi, o “pioggia gelida” qualche sporadica precipitazione nell’ordine dei pochi millimetri e senza continuità alcuna. Sono facilmente reperibili le immagini del peloton con molti atleti in maniche corte.
Non sappiamo come si sia votato, solo che il voto era anonimo. Non sappiamo se sia votato per atleti o per squadre. Non sappiamo se le percentuali citate da Hansen si riferiscano a una frazione dei votanti oppure a una frazione degli aventi diritto. Ma diciamo pure che non sorprenderebbe che in condizioni di voto anonimo gli atleti optino per togliersi di mezzo un’ascesa estremamente impegnativa nel bel mezzo della tappa. Almeno due team, Bahrain e Astana, erano fortemente favorevoli a correre la tappa con il solo aggiustamento, inevitabile, del transito in tunnel invece che sul passo. Molte altre voci hanno espresso perplessità. Ma tant’è. Percentuali bulgare, sempre un segnale di sana democrazia.
Certo che però, voto o non voto, l’assenza materiale dei criteri necessari ad attivare l’EWP non è qualcosa che si possa votare o meno! Non è che se la strada è secca e ci sono 12 gradi possiamo accordarci e sostenere che, sì, non sembra, ma stiamo sotto una pioggia battente gelata soffrendo “temperature estreme”.
Quel che è peggio dal punto di vista formale è però venuto dopo. Una volta presentata a RCS la proposta degli atleti, pare condita da una minaccia di sciopero più o meno bianco (già se ne è visto uno indigeribile verso il Gran Sasso), la reazione degli organizzatori è stata fare una controproposta: via il Gran San Bernardo, via i primi 120 km di tappa, avanti con una tappina da 80 km, due ore e spicci di sgambata, ma salviamo la salitona della Croix de Coeur. Il sindacato ha raggiunto un accordo su questa proposta. Ma chi ha deciso di accettare la controproposta? Si è tornato a votare? Si è votata una cosa, e ci si è incamminati a tutt’altra.
Diciamo a questo punto che quel che sarebbe potuta apparire l’unica ragione di perplessità autentica, le condizioni della discesa della Croix de Coeur, non erano evidentemente di alcun rilievo per chi “curava” presuntamente gli interessi degli atleti.
Ex post, a tappa corsa, dati meteo reali alla mano, non è restata che l’arrampicata sugli specchi. Il rappresentante dell’associazione italiana corridori, Salvato, pure lui con un curriculum di spicco come Hansen (ricordiamo l’appiattimento del tappone dolomitico nel Giro di Bernal, due anni fa), si è premurato di dare la colpa a fantomatiche “app meteo”. Più sofisticate. Solo in mano ai team. Ovviamente tanto sofisticate che sarebbero uscite dal range di tutte le altre previsioni, in direzione del pessimismo ovviamente, per essere poi brutalmente smentite dalla realtà.
Grottesco. Nelle interviste del dopogara, il più compiaciuto e deciso appare Geraint Thomas, la maglia rosa. Un tappone in meno da digerire. Un tappone in meno da controllare sprecando energie di squadra. Nel tardo pomeriggio emerge l’indiscrezione da Radio Rai: una fonte interna, anonima, avrebbe confermato che la spinta a sforbiciare sarebbe giunta da Oltremanica. Ah, che bella cosa le votazioni, ah che bella cosa la democrazia dal basso. I più “memoriosos”, come il Funes borgesiano, rivivranno in queste ore le emozioni di una Tirreno-Adriatico in cui il San Vicino venne eliminato dal percorso per una nevicata anche lì mai prevista da nessuno, se non dai “siti meteo” di qualche ben informato, e, va da sé, mai e poi mai verificatasi. Quella Tirreno fu anche divertente, un ritorno al vintage, quando era una sfida fra classicomani, e se la portò a casa Van Avermaet, in cima a una classifica che con un arrivo in salita vero avrebbe avuto tutt’altra fisionomia. Alla faccia del falsare i risultati.
Allora, questo è quanto. Il sindacato, tramite un processo decisionale ignoto, mette su una votazione su una proposta preconfezionata, in nome di un protocollo non pertinente. Si vota minacciando scioperi. Si accetta una controproposta che, coerentemente con le incoerentissime premesse, non affronta nessuna delle questioni di sicurezza (discutibili) o meterologiche (inesistenti). L’unico effetto della controproposta è stravolgere l’andamento tecnico-atletico della competizione. Qualcuno decide che la contraproposta va bene, la si accetta, non la si torna a votare. Il gioco è fatto.
Citando Nanni Moretti: “è andata così, è andata male”. Prendiamolo come un esperimento, quantomeno a beneficio della conoscenza in ambito ciclistico. La fantastica tappina dimezzata (men che dimezzata) sarà senz’altro un trionfo dello spettacolo, a quanto profetizzano i teorici delle tappe brevi. La ripida salita iniziale scompaginerà le carte. Vedrete che sparpaglìo!
Ecco, no. Perché, guarda caso, salta fuori che facendo una salita pur durissima quando tutti son freschi, la selezione non si riesce a fare. La squadra che tiene cucito il tutto (Ineos per la maglia rosa di G. Thomas) ha sempre e comunque abbastanza uomini per imporre un ritmo all’inseguimento che stronca ogni velleità. E dire che ci prova un in formissima Ben Healy col capitano Carthy e un bel drappello di nomi fra cui un pezzo grosso come Vine, che letteralmente scoppia nel tentativo di dar fiato all’azione, e poi altre figure che rivederemo in azione più avanti, Pinot col gregario Armirail a spingere a fondo, Cepeda, Rubio, e ancora Dombrowski, perfino il forte Buitrago. Ma non c’è verso. Finché l’azione implica una qualche minacciosità per un addomesticamento del prosieguo, i gregari dietro la tengono al guinzaglio. L’apparente animazione dell’inizio in breve svanisce.
E dunque rieccoci con un copione fin troppo visto e stravisto. Un copione da Tour de France, che in questo Giro si è ripetuto molte volte. Un Giro che imita i Tour che furono senza però averne la muscolatura politica.
Godiamoci allora una nuova evasione, più ridotta, più innocua, che alla fine della fiera si riduce dopo tanti chilometri di corsa insostanziale all’ultima ascesa, con il bisticcio fra Pinot, che scatta tanto e volentieri, e Cepeda, che sta a ruota pure lui tanto e volentieri. Quali che siano ragioni dell’uno e dell’altro, generosità contro calcolo, ma anche poco da perdere contro l’occasione della vita, fine carriera contro un futuro tutto da costruirsi… non c’interessa più di tanto. Pinot si inalbera, strepita contro il collega di quasi diec’anni più giovane, e poi si incaponisce, come peraltro ammetterà a fine tappa: “tutto pur di non far vincere Cepeda”. Il terzo incomodo, lo scalatore colombiano peso mosca della Movistar Einer Rubio, è chi alla fine gode. Nessun furto, ha sofferto le pene dell’inferno solo per mantenere a tito gli altri due, e alla fine è quello che riesce ad allungare con più nettezza mentre i due rivali si sono consumati in una battaglia di nervi. Pinot fa scadere la generosità in una vaga grettezza, ben comprensibile, ma davvero un po’ fuori luogo, specie per lui.
E dietro? Sostanzialmente il nulla. Sì, va bene, Caruso prova un allungo ai meno 1.500 metri. Pure Carthy fa un paio di comparsate. Lorenzo Fortunato aveva messo fuori il naso a metà salita, bravo pure lui, merita la menzione. Dunbar scomoda Geraint Thomas con un’accelerazione nel finale. Insomma, trenino Sky, ahem, INEOS, in versione Alpi svizzere. Un bel plastico con le miniature. Per capirci, il “gruppo dei migliori” è quasi un plotoncino, sui venti atleti, dei quali perfino sul forcing finale una decina arrivano sostanzialmente assieme. Selezione inesistente. Gesti tecnici inesistenti.
A chi giova tutto questo? A chi vincerà il Giro, forse. Anzi, a chi crede che così vincerà il Giro – e noi speriamo che si sbagli di grosso. Ma non giova al Giro. E non giova al ciclismo. Senza Giro e senza ciclismo, non saprei dire che cosa resterà della tutta eventuale vittoria di chi la persegue con questi mezzi. Senza Giro e senza ciclismo, non so che cosa resterà delle altre corse, che magari sulle disgrazie del Giro e del ciclismo italiano gongolano vedendovi dei concorrenti. Un corpo con arti o organi molto malati non suole aver vita facile. La debolezza del sistema italiano del ciclismo rischia di essere fatale per il ciclismo tutto, dacché pur con tanta globalizzazione parliamo pur sempre di uno sport che conta molto, moltissimo, sulle sue nazioni storiche per garantire una minima massa critica di tenuta e solidità nel tempo. Il Giro va tutelato per tutelare il ciclismo in Italia, e il ciclismo in Italia va tutelato per tutelare il ciclismo tutto. Invece, purtroppo, sembra che un’architettura traballante sia lo spazio ideale per sperimentare il reciproco forzarsi la mano da parte di altre istanze, nuovi equilibri di potere, nuovi modelli e dinamiche. Il che sarebbe anche naturale, se non fosse che, dietro tutto ciò, ci sono spesso frenesie speculative e bolle di incerta durata, pronte a mettere in crisi, per i propri interessi, quel capitale culturale che rende il ciclismo uno sport vitale da oltre un secolo. E se pensiate che sia un’esagerazione, percorrete quelle strade, quei paesini, quelle scuole, a cui il Giro oggi ha negato il proprio tanto atteso passaggio in nome di un protocollo fantasma e di un sindacato i cui toni rischiano di avvicinarsi a un qui poco lusinghiero colore giallo.

Gabriele Bugada

La vittoria di Rubio nel tappino di Crans Montana (AFP / Getty Images)

La vittoria di Rubio nel "tappino" di Crans Montana (AFP / Getty Images)

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