BIG IN CONTROLLO TRA LE NEVI DEL GRAN SASSO, VIA LIBERA ALLA FUGA

maggio 12, 2023
Categoria: News

Una fuga composta da quattro corridori, poi rimasti in tre, durata oltre 200 chilometri è andata all’arrivo senza particolari problemi per gentile concessione del gruppo. Infatti, nonostante il terreno per attaccare, quantomeno nel finale, ci fosse, i “big” hanno deciso di concedersi una giornata di riposo. La squadra della maglia rosa ha badato solo a tutelare il simbolo del primato.

La cronaca della tappa di oggi può constare davvero di poche righe.
In effetti vi è stata una fuga animata da Davide Bais (Eolo-Kometa), Karel Vacek (Corratec-Selle Italia), Simone Petilli (Intermarché-Circus-Wanty) e Henok Mulubhran (Green Project-Bardiani Csf-Faizané). partita nelle primissime fasi della frazione e alla quale il gruppo ha concesso il via libera. Il ritmo durante tutta la gara è sempre stato piuttosto blando, tanto che i tre avventurieri di giornata, pur visibilmente esausti nel finale, non hanno avuto problemi a mantenere un vantaggio rassicurante e andare a giocarsi la tappa.
Il vantaggio massimo è stato, infatti, di 12 minuti per poi ridursi progressivamente e veleggiare a lungo intorno ai 6 minuti. Lungo l’ascesa finale il gruppo ha recuperato sino a giungere al traguardo con circa 3 minuti di ritardo.
I fuggitivi rimangono in tre lungo la salita verso Roccaraso, che vede Mulubhran alzare bandiera bianca. Nel finale non ci sono grandi tentativi se non brevi accenni di allungo e negli ultimi 200 metri Davide Bais dimostra di averne di più e riesce a tagliare il traguardo in testa, distanziando gli altri due di qualche secondo.
Il gruppo dietro è stato guidato quasi sempre dalla squadra della maglia rosa che, nella propria ottica, ha giustamente solo pensato ad evitare che il vantaggio all’arrivo fosse superiore ai 7 minuti, la “distanza” che in classifica separava Petilli da Andreas Leknessund (Team DSM). Quello che, invece, ha sorpreso è stato l’atteggiamento delle squadre degli uomini di classifica, che non hanno provato ad alzare il ritmo per chiudere sulla fuga e lanciare i capitani alla ricerca di un attacco o, perlomeno, di un abbuono. Corridori esplosivi e forti allo sprint e che devono recuperare terreno come Primoz Roglic (Jumbo-Visma) avrebbero dovuto almeno tentare di rosicchiare qualche secondo in classifica, soprattutto in vista della lunga e piatta frazione contro il tempo prevista per domenica e favorevole al campione del mondo.
Parimenti, ha sorpreso il fatto che, arrivati gli ultimi 4 chilometri, con pendenze spesso in doppia cifra, nessuno abbia provato un allungo, anche solo per vedere la reazione degli avversari o comunque verificare le condizioni di Remco Evenepoel (Soudal – Quick Step) dopo la doppia caduta nella tappa di Salerno.
A guardare l’atteggiamento del gruppo negli ultimi chilometri sembra quasi ci sia stato un tacito patto di non belligeranza, cosa abbastanza inspiegabile proprio in vista di una cronometro ad esito della quale l’iridato potrebbe trovarsi in testa alla classifica con un enorme vantaggio, un po’ come accadeva nei primi anni ‘90 con Miguel Indurain che incamerava vantaggi enormi prima delle montagne, sulle quali si limitava a gestire senza troppi patemi.
La verità è che sia la tappa con arrivo a Lago Laceno, sia quella odierna avevano proprio lo scopo di promuovere le prime schermaglie tra i big per muovere un po’ la classifica dopo la cronometro di apertura che, nelle intenzioni degli organizzatori, non avrebbe dovuto creare distacchi così netti.
Quanto andato in scena oggi manda a ramengo anche gli assurdi appunti mossi durante il Processo alla Tappa ai chilometraggi delle frazioni. E’ stato detto che le tappe di trasferimento dovrebbero essere più corte, adattate ai tempi televisivi perché altrimenti lo spettatore si annoia.
La tappa di oggi, che non era affatto di trasferimento e nella quale c’era terreno nella seconda parte per fare corsa dura, ha avuto lo stesso copione, ovvero una fuga partita nei primi chilometri con il gruppo in controllo. Ciò dimostra che non è il chilometraggio a determinare lo spettacolo, né i percorsi, bensì il modo in cui i corridori affrontano la gara. Certamente il percorso deve essere costruito in modo da offrire ai corridori la possibilità di inventarsi qualcosa, poi sta agli atleti il compito di tradurre in pratica le possibilità offerte dal tracciato, cosa che oggi gli atleti – vuoi per paura, vuoi per il freddo, vuoi per il timore di spendere energie o di trovarsi in difficoltà – non hanno voluto fare.
In questa ottica è assurdo che ci sia chi chiede di adattare le corse ai tempi televisivi per il fatto che ci sono le dirette integrali delle tappe. Nel momento in cui la televisione prende la decisione di trasmettere le tappe integralmente, sa perfettamente come è fatto il ciclismo, quali sono i chilometraggi e quelli che possono essere gli sviluppi di una tappa. Non si può pretendere che per una scelta della TV di trasmettere le tappe integrali lo sport si debba adeguare, perché in questo modo si riduce lo sport ad un prodotto sottoposto alle regole economiche del mercato e della domanda e questo è l’esatto contrario di ciò che è lo sport. Il ciclismo è anche attesa, contemplazione e, sì , è anche noia, è anche tappe di trasferimento con copioni già scritti, così è sempre stato e così sempre sarà e non può certo stravolgersi per esigenze televisive.
Sono semmai le televisioni che, se vogliono trasmettere lo sport, debbono adattarsi alle regole e ai tempi di quello sport. Se la diretta integrale si rivela poco appetibile è sempre possibile tornare a trasmettere integralmente solo i tapponi di montagna e riservare alle altre frazioni un paio di ore di trasmissione in diretta.
Le emozioni offerte dalle tappe di montagna sono comunque anche determinate dai percorsi affrontati in precedenza. In una corsa come la Sanremo una salita come il Poggio, sulla quale normalmente non si staccherebbero neppure i velocisti puri, fa selezione proprio perché arriva dopo 300 Km di corsa.
Per fortuna Mauro Vegni, interpellato sull’argomento, ha manifestato il proprio disappunto per queste proposte assurde, condite con spunti ancor peggiori come l’idea di correre in circuito quando il fascino del ciclismo sta proprio nel continuo cambio di paesaggio.
Lo stesso concetto di giro di un paese è del tutto antitetico all’idea di correre in circuito.
Le azioni poste in essere al Tour de France da Pogacar, al Giro del 2018 da Froome e nella Corsa Rosa 2019 da Carapaz (e in generale le varie imprese) dimostrano che la questione sta nella voglia dei corridori di darsi battaglia e anche di rischiare, dando fondo alle energie che gli stessi riescono a mettere in campo. La famosa minitappa del Tour de France di 65 Km con la partenza in griglia stile formula uno per stimolare la battaglia da subito si è rivelata un clamoroso flop e non è stata più riproposta.
Nella tappa di oggi abbiamo avuto indicazioni di un Roglic che probabilmente ha paura della condizione attuale di Evenepoel e si sente battuto anche in volata; cerca di limitare i danni, sperando in un calo del campione del mondo nella terza settimana, visto che il belga è giovane e meno esperto dello sloveno e sembra avere una squadra non all’altezza.
In questo senso è stata una occasione persa la tappa di Lago Laceno, dove un pizzico di forcing in più da parte della Ineos, che punta certamente con i suoi fondisti alla terza settimana, avrebbe lasciato Evenepoel in rosa e il peso di condurre la corsa sulle spalle della sua squadra.
La tappa di domani propone insidie sulle quali si spera di vedere almeno qualche schermaglia. Già il Monte delle Cesane presenta un tratto al 18% e i due chilometri finali al dieci, ma lo strappo dei Cappuccini, che pure ha una punta del 19% ed un chilometro all’undici, è posto a soli 6 Km dalla conclusione e potrebbe rappresentare il giusto trampolino per provare almeno a dare un segnale alla vigilia della cronometro.
Non resta che aspettare e sperare in un salto di qualità.

Benedetto Ciccarone

Larrivo dei big al traguardo del Gran Sasso (foto Stuart Franklin/Getty Images)

L'arrivo dei big al traguardo del Gran Sasso (foto Stuart Franklin/Getty Images)

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