TOUR, NON SOLO LA CLASSIFICA
Il Tour de France, da sempre, deve il suo prestigio soprattutto ad un lotto partenti senza eguali, non solamente a livello di pretendenti alla maglia gialla. Andiamo a scoprire, analizzando la lista di partenza della Grande Boucle 2009, i protagonisti delle giornate apparentemente meno significative, ma che negli ultimi hanno regalato al Tour grandi personaggi e splendide pagine di ciclismo.
Non appena un nuovo Tour de France viene portato alla luce, l’occhio degli appassionati che si accalcano sul sito della Grande Boucle per visionare il percorso appena nato corre subito alle tappe di montagna, per poi cercare di capire chi potrebbe essere l’atleta più adatto al tracciato, considerando i chilometri a cronometro. Talvolta si rimane soddisfatti, piacevolmente sorpresi dell’abbondanza di salite, o della novità di alcune cime proposte. Altre, forse la maggior parte, si resta delusi, come per quasi tutti è stato quest’anno, dalla ripetitività del percorso, dalla penuria di salite, o dallo spropositato numero di chilometri a cronometro. Comunque sia, si prendono in genere in considerazione 10-12 tappe su 21.
Ma tra una crono e un tappone, tra una frazione mal disegnata perché i colli sono lontani dal traguardo e un arrivo in salita, ci sono giornate in cui non si corre per la classifica generale, ma solamente per poter cogliere un successo parziale, che per la maggior parte dei corridori, quando si parla di Tour, è più che sufficiente per ritenere positiva l’avventura francese. È di queste giornate che ci vogliamo occupare, passando in rassegna quei corridori che magari finiranno ad un’ora dal vincitore in classifica generale, ma che lasceranno la loro impronta sul Tour de France 2009, e che in certi casi, per il numero o l’epicità delle loro affermazioni, possono finire per essere ricordati non meno di chi sale sul podio.
Parlando di corridori che puntano ai traguardi parziali, è impossibile non cominciare dai velocisti, e segnatamente dal velocista principe del panorama internazionale: Mark Cavendish. Il folletto dell’isola di Man è stato sino a questo momento il dominatore della stagione, per quel che concerne gli sprint, grazie al successo alla Milano – Sanremo, alle tre tappe del Giro d’Italia e ad altre nove volate vincenti distribuite tra Giro del Qatar, Giro della California, Tre Giorni di La Panne, Giro di Romandia e Giro di Svizzera. Lo scorso anno, al Tour fece poker; quest’anno ci sono le premesse perché il britannico possa ripetersi, se non migliorarsi, vista la facilità con cui ha battuto in due occasioni avversari quali Bennati, Hushovd e Freire in terra elvetica il mese scorso. Tanto più che dalla sua avrà un treno composto da Renshaw e Eisel, anche quest’ultimo peraltro in grado di vincere una volata, per quanto atipica, al Tour de Suisse, treno che potrebbe all’occorrenza essere lanciato da locomotive quali Hincapie e Grabsch.
Sulla carta, il principale rivale del velocisti della Columbia – Highroad dovrebbe essere Daniele Bennati, che non ha però affatto convinto al Giro di Svizzera, non riuscendo neppure a disputare la volata nei due traguardi per velocisti puri che hanno visto i due trionfi di Cavendish. Daniele non ha poi neppure preso parte ai Campionati Italiani, in virtù di un percorso che si temeva fosse troppo duro per le sue caratteristiche, e che invece, a nostro giudizio, il velocista Liquigas avrebbe potuto reggere benissimo (splendida la scusa di Scirea, suo DS: “Eh, ma tutti dicevano che era durissimo”; un po’ come Bordonali che si indignava perché il traguardo volante di Frosinone della tappa di Anagni dello scorso Giro d’Italia era in salita). Insomma, le indicazioni sulle sue condizioni di forma non sono molte, e le poche che abbiamo non sono particolarmente confortanti; è tuttavia lecito sperare in una netta crescita di condizione rispetto alla settimana del Tour de Suisse.
Non saranno invece al via altri tre corridori che sulla carta avrebbero potuto dire la loro nelle volate di gruppo: Alessandro Petacchi, per cui si parlava di un possibile approdo alla Silence – Lotto giusto in tempo per la Grande Boucle, che rimarrà invece alla LPR, Tom Boonen, escluso dalla sentenza di Nanterre, e Robbie McEwen, causa infortunio. Resta tuttavia folto il gruppo di outsider degli sprint, ammesso che tale titolo possa essere attribuito, ad esempio, ad un tre volte iridato come Oscar Freire. Come sempre, lo spagnolo sarà chiamato a fare tutto da solo, dal momento che la Rabobank ha scelto di puntare, fatta eccezione proprio per l’atleta di Torrelavega, su una squadra composta unicamente da gregari, dediti alla causa di Denis Menchov, in caccia della doppietta Giro – Tour.
Desta grande interesse l’accoppiata Cervélo composta da Hushovd e Haussler, grandi protagonisti delle classiche di inizio stagione, che proprio alla Sanremo sono stati sul punto di piazzare il colpo grosso con il tedesco, prima che una strepitosa rimonta di Cavendish gli strozzasse in gola l’urlo di gioia. Per la verità, i precedenti del Tour de Suisse non inducono a pensare che il duo possa rappresentare una minaccia particolarmente seria per il folletto della Columbia, ma la possibilità di giocare due carte potrebbe permettere agli uomini in nero di portarsi a casa almeno un traguardo di tappa.
E sempre in tema di corridori che in questa stagione hanno dato qualche grattacapo a Cavendish, non si può non citare Tyler Farrar, l’americano della Garmin – Slipstream che al Giro aveva ormai appreso a memoria i minimi particolari della ruota posteriore del britannico, a furia di stargli sempre a ruota e di non riuscire mai ad uscirne. Per la verità, infatti, lo scorso maggio Farrar non è mai andato neppure vicino a battere Cavendish, ma c’era riuscito a marzo, alla Tirreno – Adriatico, quando riuscì a mettere la sua ruota davanti a quella del britannico sul traguardo di Santa Croce sull’Arno. Non è molto, ma se si pensa che quel Cavendish pochi giorni dopo sarebbe andato a prendersi la Sanremo, e che la sua condizione all’epoca era dunque eccellente, Farrar merita certamente un qualche credito.
Non altrettanto confortanti sono invece i risultati di questa stagione di Greg Van Avermaet, quattro successi a stagione negli ultimi due anni, ma ancora a secco in questa stagione. Vale poi anche per lui il discorso fatto per Freire: essendo compagno di squadra di Cadel Evans, in caccia della maglia gialla, Van Avermaet dovrà probabilmente cavarsela da solo nella giungla degli sprint. Non molto dissimile è la situazione di Gerald Ciolek, non ancora 23enne velocista della Milram, che quest’anno si è imposto solamente nel Trofeo Calvià, corsa ondulata inserita nel Challenge di Mallorca.
Ha invece vinto, ma solamente a gennaio, Allan Davis, che in stagione ha ottenuto tre vittorie, ma tutte al Tour Down Under. L’australiano avrà però dalla sua piloti d’eccezione come Matteo Tosatto e Steven De Jongh, quest’ultimo molto migliorato rispetto al corridore che solo un paio di stagioni fa era solito rovinare gli sprint di Tom Boonen lanciandolo con tempismo quanto meno discutibile.
Con un po’ di sano patriottismo, scegliamo di segnalare, ultimi ma non ultimi, due ruote veloci nostrane, Danilo Napolitano e Angelo Furlan. Il siciliano ha già all’attivo quattro affermazioni in questa stagione, l’ultima delle quali al Giro del Lussemburgo. Senza la concorrenza di Steegmans, l’azzurro potrà godere del supporto dell’intera Katusha, in particolar modo di autentiche locomotive quali Mikhail Ignatiev e il neo-campione italiano Pippo Pozzato. Tutt’altro che male il cast di supporto di Angelo Furlan, 32enne veneto capace di battere Tom Boonen sul traguardo di Digione all’ultimo Giro del Delfinato. È vero che la concorrenza, fatta eccezione per il belga, non era esattamente feroce, dal momento che quasi tutti i big dello sprint avevano optato per il Giro di Svizzera come corsa di preparazione al Tour, ma è altrettanto vero che mettere la propria ruota davanti a quella di Tornado Tom non è cosa da tutti (anche se, forse, una piccola ombra sulla forma del tre volte vincitore della Roubaix in occasione del Delfinato la potrebbe gettare il fatto che ci sia riuscito anche Markus Zberg).
Da un aspetto del ciclismo come lo sprint, che rispetto ai tempi delle volate con la scimitarra tra i denti di Abdujaparov, per non andare troppo indietro nel tempo, è cambiato enormemente negli ultimi anni, ad un altro che invece ha saputo rimanere uguale a se stesso come forse nessun altro: la fuga. Elemento imprescindibile di qualsiasi corsa ciclistica, ma più che mai del Tour de France, unica corsa al mondo nella quale un’azione di 200 km in una tappa di trasferimento può essere ricordata a distanza di anni, come merita; perché è solo al Tour che la fuga acquisisce un sapore particolare, speciale.
Pochissimi ricordano azioni pur non meno notevoli compiute al Giro o alla Vuelta in frazioni pianeggianti e sulla carta di scarso significato. Quasi tutti ricordano invece Thierry Marie che percorre in solitudine 238 dei 259 km della Arras – Le Havre del 1991, o l’imponente fuga dell’8a tappa dell’edizione 2001, che giunge a Pontarlier con 35’ sul gruppo, o ancora la Jajamania che invase la Francia nello stesso anno, quando due lunghe fughe fruttarono a Laurent Jalabert altrettanti successi di tappa.
Talvolta, una fuga ha generato anche sorprese in classifica, con corridori che hanno approfittato dello scarso credito di cui godevano alla vigilia per entrare in classifica, per non uscirne più. Sempre rimanendo nel passato recente della Grande Boucle, è il caso di Claudio Chiappucci, che nel 1990, nella prima tappa in linea, guadagnò oltre 10’ sui favoriti, margine che fu colmato, a fatica, dal solo Greg Lemond. Undici anni più tardi fu Andrei Kivilev, con già citata fuga bidone di Pontarlier, a infilarsi nella top 5, chiudendo 4°, ad appena 48’’ da Beloki, 3°. Nel 2005, grazie alla meravigliosa fuga solitaria nella tappa alsaziana di Mulhouse, fu Michael Rasmussen ad occupare a lungo un posto sul podio, prima di crollare, complice la sfortuna, nella crono finale a Saint-Etienne. Ma il caso più eclatante è ovviamente quello di tre anni fa, quando Oscar Pereiro guadagnò mezzora a Montélimar, e conquistò la maglia gialla, che perse a cronometro e riconquistò in tribunale. Nel 2006, peraltro, addirittura due dei primi dieci della classifica finale ottennero tale risultato grazie ad un’azione a lunga gittata, dal momento che Dessel chiuse 7° grazie ad una fuga nella tappa di Pau. Escludiamo da questo elenco, solo perché non si parla di uomini di classifica, l’azione forse più bella e coraggiosa degli ultimi vent’anni di Tour, i 200 km di cavalcata alpina di Chiappucci verso Sestriere nel 1992.
Chiuso l’excursus storico, nell’insieme dei cacciatori di tappe di questo Tour de France vanno inserite in blocco formazioni quali la AG2R del nostro Nocentini, la Agritubel (fatta eccezione, forse, per Moreau, che potrebbe ancora conservare qualche velleità di classifica), la Bouygues Télécom, in cui spiccano i nomi di Voeckler e Trofimov, la Française-de-Jeux (crediamo che Casar abbia abbandonato il sogno di fare classifica alla Grande Boucle), la Cofidis e la Skil-Shimano, squadra il cui invito continua a non trovare ragioni soddisfacenti. Viceversa, è possibile che squadre come la Astana di Contador, Armstrong, Kloden e Leipheimer e la Silence – Lotto di Evans siano poco più che comparse nei tentativi di fuga da lontano, se, come si presume, resteranno compatte attorno ai rispettivi capitani per ventuno giorni su ventuno (la Astana avrebbe poi anche il problema di avere più gregari che capitani).
Pur puntando forte alla classifica generale, rispettivamente con Menchov e i fratelli Schleck, dovrebbero invece essere molto attive anche in ottica successi parziali la Rabobank, specialmente con Flecha, perennemente all’attacco ai tempi della Banesto, ora spesso limitato dal lavoro di gregariato, e la Saxo Bank, che ha in O’Grady, Arvesen e soprattutto nel duo di locomotive Cancellara – Voigt quattro atleti abituati alle lunghe fughe, che potrebbero dire la loro in tappe intermedie come Barcellona, Colmar o Aubenas. E visto che si parla si successi parziali, la formazione di Bjarne Riis rischia seriamente di fare incetta di cronometro: Cancellara sarà il grande favorito tanto del prologo di Monaco quanto dei 40 km contro il tempo di Annecy, e una squadra che schiera lo stesso Cancellara, Voigt, Arvesen e Larsson non può che essere considerata, assieme alla Astana, la logica favorita della cronosquadre di Montpellier.
Un’altra squadra con diversi atleti che potrebbero all’occorrenza inseguire traguardi parziali li schiera la Columbia, che schiera un corridore come Hincapie, esperto di lunghe galoppate, anche in montagna (Pla d’Adet 2005), e specialisti di percorsi nervosi e vallonati come Monfort, Martin e Kirchen. È tuttavia più che probabile che, almeno in un primo momento, la formazione americana, che schiera anche Michael Rogers, punti alla generale, e che quindi l’eventuale caccia ai successi di tappa venga rimandata, in caso di necessità, alla seconda parte del Tour.
Chi vivrà invece certamente un Tour all’attacco è la Euskaltel, che ha sì in Astarloza un corridore da top 10 o quasi, ma che dispone di una batteria di scalatori impressionante, se non qualitativamente, quanto meno quantitativamente. Tra i baschi spiccano i nomi di Egoi Martinez, già alla corte di Armstrong e Igor Anton, che potrebbero recitare la parte dei protagonisti con attacchi da lontano in frazioni di alta montagna, ma in cui i big difficilmente si muoveranno, quali quelle di Saint-Gaudens, Tarbes e Bourg-Saint-Maurice.
Negli ultimi anni, i tifosi francesi hanno spesso trovato un corridore da eleggere a loro nuovo beniamino, perlomeno durante le tre settimane del Tour. È toccato a Jalabert nel 2001, a Voeckler nel 2004, a Dessel nel 2006. Il corridore che pare più accreditato a vestire i panni dell’idolo delle folle in questa Grande Boucle è Sylvain Chavanel, lo scorso anno di gran lunga il corridore più attivo e coraggioso del Tour, all’attacco ogni qual volta le sue gambe avevano recuperato abbastanza dal precedente tentativo, prima di riuscire finalmente ad imporsi a Montluçon. Quest’anno, passato alla Quick Step, Chavanel sembra avere acquisito uno status superiore a quello di cui godeva un anno fa, grazie ad eccellenti prestazioni nella campagna del Nord, con una corsa da protagonista al Fiandre e un 8° posto alla Roubaix. La spalla o l’alternativa a Chavanel, in casa Quick Step, potrebbe essere rappresentata da Jerome Pineau, malgrado l’ultima affermazione dell’ex promessa francese risalga al 2004.
Scorrendo la lista dei partecipanti, pare molto adatta a recitare un ruolo importante, sempre in ottica cacciatori di tappe, la Milram, che propone uomini adatti ad ogni terreno: oltre al già citato Ciolek, Terpstra potrebbe essere l’uomo giusto per andare in caccia di successi con azioni da lontano (come accaduto nella tappa di Saint-Etienne al recente Delfinato), mentre Wegmann e Gerdemann, quest’ultimo ovviamente a patto di uscire di classifica, potrebbero puntare a traguardi non dissimili da quelli cui si è accennato poco fa, parlando di Anton e Martinez, e da quello di Le Grand-Bornand di due anni fa, che vide un Gerdemann allora in maglia T-Mobile prendersi tappa e maglia.
Non si può non fare un cenno ad Alessandro Ballan, doppiamente motivato dalla maglia di campione del mondo e dalla stagione deludente disputata sin qui, causa problemi fisici, ma sulle cui condizioni permangono alcuni dubbi. In conclusione, balza all’occhio la straordinaria batteria di potenziali vincitori di tappa a disposizione della Katusha, con un Pozzato adatto a vincere tanto in volate ristrette quanto con azioni nel finale (viene in mente la tappa di Barcellona), un corridore da percorsi vallonati e la propensione all’attacco come Ivanov, e uno atleta che fa della fuga una ragione di vita come Ignatiev.
Non mancano, dunque, i nomi di spicco, anche al di là del discorso generale. A nostro avviso, è proprio lo straordinario numero di atleti di livello che vanno al Tour de France solamente in caccia di successi di tappa a rendere un qualcosa di unico la Grande Boucle, e forse anche a dare alle azioni da lontano che nascono al Tour un qualcosa in più rispetto alle fughe che vediamo nel resto della stagione. Perché una bella azione è una bella azione a prescindere da chi la compie, ma per darne un giudizio tecnico e sportivo non si può prescindere dal nome del vincitore e, soprattutto, da quello dei battuti. È giustissimo che Giro e Vuelta, per cercare di ridurre, data l’impossibilità di colmarlo, il gap con il Tour de France, cerchino di garantirsi la partecipazione di stelle straniere quali Menchov, Sastre e via discorrendo. Ma quello che rende il Tour un qualcosa di speciale è solo la partecipazione al via tutti gli uomini “da grande giro” al top della forma, ma anche, se non soprattutto, quella di fuoriclasse disposti a dannarsi l’anima per sei ore, piegati sul manubrio, solo per poter apporre il loro nome, per la prima volta o una volta di più, nella leggenda del Tour.
Matteo Novarini