DIAMANTI OLANDESI, POTENZA JUMBO MA IL MEGLIO È STATO IL VIA
Da Diamante a Potenza numeri da tappa regina, quasi 200 km con quattromila metri di dislivello abbondanti. Disegno accattivante, foriero di attacchi, ma dopo l’ora e mezza o due di furia e frenesia prima che si formi una fuga, la lotta si ridurrà a quei magnifici sette che hanno spiccato il volo.
Al Tour de France, fin troppo spesso, c’era dalle parti di Pau una tipica tappa pirenaica il cui profilo lasciava perplessi gli appassionati: “bellissimo tracciato, se fosse stato disegnato alla rovescia, partendo dall’arrivo e arrivando alla città di partenza!”. Niente di simile da ridire, sulla carta, a proposito dello splendido percorso calabro-lucano che il Giro propone nel cuore della prima settimana: ma in questo caso è a proposito dell’atteggiamento del gruppo che ci viene da pensare che sarebbe stato più proficuo scatenare i fuochi d’artificio di una generale febbre offensiva negli ultimi 70 km, e riservare all’incipit le schermaglie fra un ristretto numero di fuggitivi. Comunque sia, accontentiamoci dello spettacolo globale goduto per quasi due ore, fino alle prime rampe del Sirino, anzi ben grati per la diretta integrale quest’anno autentica che ci ha permesso di fruire “live” di queste parti della corsa, in altre stagioni destinate a costituire due scarne righe in cronaca.
Un batti e ribatti continuo, una raffica di allunghi, un elastico che si allunga e sembra spezzarsi infinite volte per poi ricomporsi. De Gendt ad aprire le danze, quasi simbolicamente, così come pare un cameo quello di De Marchi: i due, un tempo veri cecchini nel cogliere la fuga, vengono soverchiati da una girandola di nuovi tentativi. Tra i più attivi, van der Poel, uomo spettacolo se mai ve ne furono, e ci viene da dire fin troppo generoso nel cercare una tappa che comunque sarebbe al limite dei suoi mezzi, sperperando con magnanimità energie che sarebbero preziose l’indomani a Napoli, su un tracciato ben più consono. Ci provano gli UAE, con il promettentissimo Covi, e gli scafati Ulissi o Formolo, ci provano gli EF, per loro un’occasione chiave, con Cort, Camargo e Caicedo e Kudus, ci provano ovviamente i Drone Hopper con l’attesissimo Tesfatsion e il teenager ucraino Ponomar, il giovane compagno in Lotto di De Gendt, Moniquet, tenta a ripetizione, e a ripetizione di ripetizione ci prova Wout Poels per i Bahrain. Un altro virgulto di classe, lo svizzero Schmid, già trionfatore nella tappa degli sterrati allo scorso Giro e ora accasatosi in Quickstep ci prova pure lui. E si lancia all’attacco mezza Ag2R, pure l’Astana con Felline e Dombrowski… e non possiamo che scusarci con una buona fetta degli attaccanti che ancora non abbiamo nominato, prima di dover procedere oltre, a scanso di trasformare la cronaca in una riproduzione punto per punto della gara, di pari durata!
Il tutto reso ancora più frenetico da improvvide forature e cadute, come quella che costa la corsa rosa a Samitier, Doull e Zoccarato. Si trovano pure all’attacco i leader, quelli che capeggiano la generale attuale e uno che la capeggia in pectore: Kämna prova a più riprese, con Juanpe López sempre attento in marcatura, anche quando si tratta di sganciarsi dal gruppo. E sulla scia di un assalto a sciabolate di van der Poel scendendo dal passo Colla, si trova con lui Carapaz scortato dal compagno Narváez: lungi dall’attendere, la mossa si prolunga fino a prendere contatto con l’embrione di fuga incipiente attivo in quel momento. La Trek spegne l’incendio e nella stessa fuga la collaborazione era svanita al comparire figure così ingombranti, ma l’episodio è rivelatore del clima che si è respirato per quasi due ore dal via. Duemila metri di dislivello macinati via a quaranta e passa di media.
Poi, sulle prime rampe rognose del Sirino, forza Formolo, Arcas prova a tenerlo ma scivola giù, sale invece a bordo Villella, un’altra roccia come “il Roccia “ per antonomasia. Dietro c’è ebollizione arancione: arriva Poels, che già si era fatto tutto il passo Colla in avanscoperta solitaria, accompagnato dall’altro olandese Bouwman, abile gregario scalatore; Camargo allunga affaticato e Dumoulin lo marca per proteggere gli interessi Jumbo. Per completare il quadro fiammingo-neerlandese, Bauke Mollema ce la mette tutta e rientra pure lui.
La fuga è fatta. Da qui in poi, la dinamica resterà stabile nonostante un profilo altimetrico da elettrocardiogramma impazzito. Dietro, pipì, sportine col pranzo, squadre che comandano o con uomini in fuga a chiudere tutto il fronte strada, ritmo modesto, fino a un piccolo forcing finale made in INEOS per ridimensionare i distacchi. Davanti, un’Italia-Olanda 2-4, rocce contro diamanti, con Camargo ospite non troppo scomodo, spesso in affanno. Il fenomeno giovanile in Colombia è molto attivo nelle fughe di questo Giro ma sembra per ora pagare la grande fatica. Più avanti, nel Giro o negli anni, potrebbe pareggiare i bilanci, da un lato con la stanchezza altrui, dall’altro maturando lui stesso, se non si brucia con eccessi di resistenza in cagnesco. Bouwman sprinta come un pazzo su tutti i Gpm, Poels cerca di tenergli dietro ma l’età si fa notare e alle prime rampe della Montagna Grande di Viggiano, pezzo forte di giornata (come durezza, non come punti, per assurdo!), grippa il suo motore già avanti negli anni. Villella è protagonista di un ruzzolone in discesa, poi salta fuori, nel bel mezzo dei muri sopra Viggiano, che ha danneggiato il collarino della sella (o così pare) e deve aggiustare la bici. Rietrerà indomito in discesa, per poi staccarsi nuovamente, ma, doppiamente indomito, resisterà per qualche manciata di secondi al ritorno veemente del gruppo sulla linea d’arrivo.
Formolo è propenso a martellare per scrollarsi di dosso gli avversari, ma Dumoulin fa buona guardia. Sull’ultimo Gpm gli affondi di Formolo e Mollema pigliano scoperto Bouwman, che resta attardato, ma l’illustre capitano Tom si mette al servizio del poco appariscente gregario, marcando, cucendo, minacciando (sempre in termini rigorosamente sportivi!), tanto che Bouwman rientra giusto in tempo per razziare fino all’ultima occasione il massimo punteggio Gpm disponibile. Sta strafacendo? Evidentemente dev’essere semmai in giornata di grazia assoluta: nell’insidioso e tecnicamente affascinante circuito potentino, Koen copre ogni offensiva di Formolo e Mollema, sempre più rassegnati, mentre Dumo, staccatosi sui cambi di ritmo, finisce per rientrare e addirittura tirare la volata al compagno, che la vince come di dovere. A Bouwman oggi scappava la gamba, ma il MVP è stato questo Dumoulin in versione chioccia, coach, regista, uomo assist.
Insomma, avvio di gara memorabile, e forse le tante tossine avvertite dai più hanno indotto a soverchia prudenze. Fra i selezionatissimi sette, qualità epica, come non sempre accade al Giro: vincitori di GT, di Monumento, di grandi tappe… alla fine prevale il nome meno blasonato, anche se non certo ignoto agli appassionati per le sue indubbie doti di camoscio, esaltate dal terreno odierno. Belle storie di caparbietà e colpi di scena. A sette, però. E gli altri? Forse è anche giusto non chiedere altro a chi si vede già favorito, avendo dimostrato forma straripante come Yates o squadra dominante come Carapaz: dopodomani c’è un Blockhaus su cui menare colpi secchi. Ma prima del Blockhaus c’è la tappa sì insidiosa eppure non colossale di Napoli in cui correre di conserva, se proprio. E allora perché non cogliere oggi stesso la palla al balzo, scuotendo un po’ l’alberello? I Bahrain, con davanti un Poels chiaramente fuori dai giochi, non avrebbero potuto riciclarlo come appoggio provando un’azione anche solo di sondaggio con una delle loro due (due!) punte, Bilbao e Landa, uomini entrambi avvezzi al gesto da lontano? O un azzardo col giovane Buitrago? Idem dicasi per Guillaume Martin, attardato più del dovuto sull’Etna, Cofidis come Villella là davanti, con quest’ultimo escluso per sfortuna da ogni gioco di vittoria, ma, come dimostrato sulla strada, ancor più che in condizione di reggere ritmi sostenuti, foss’anche da solo, meglio ancora se in tandem col proprio capitano. Queste due le opzioni più telefonate e dove l’accidia è quasi scandalosa. Ma perché non tastare il terreno con Almeida in casa UAE? Il mastino portoghese dà il meglio di sé in queste condizioni: prima settimana, mezza montagna, salite dure ma brevi. Suvvia, lancia mezza progressione, e se ti stoppano pace, però se per caso prendi il largo, hai Formolo davanti, non l’ultimo arrivato. Bene lasciare campo libero al compagno italiano, ma con cinque minuti e passa di differenza un test senza impegno si poteva lanciare, valutando poi ogni pro e contro sul campo. Un provarci per provarci sarebbe stato doveroso anche in casa Bora, con ben tre (3!) capitani fra cui scegliere, mentre l’unico che almeno all’inizio attacca è il marcatissimo Kämna, poi il nulla. E Sosa fra i Movistar? Arriva al Giro con la forma brillante vista in Asturia, combina l’atteso disastro a crono, in salita va… perché sprecare la Montagna Grande? Hugh Carthy con Camargo in avanscoperta (d’accordo ormai spompato)? Non ci spingiamo oltre, ma ce ne sarebbe modo. Ecco, se non si cercano spazi quando i padroni della corsa lasciano dei margini, è difficile che si possano ricavare appena la competizione diventerà davvero tirata, mentre in giornate come questa si possono pescare rendite preziose per pareggiare altri handicap atletici o di team. È la storia di tanti tapponi appenninici meravigliosamente disegnati; e fa parte del gioco, d’accordo, la paralisi che blocca fra speranze di far meglio domani e timori di cedere oggi. Ma allora che quella odierna sia anche occasione per ricordare quel Nibali alla vigilia del suo primo trionfo rosa e come corse le tappe mosse della prima settimana 2013. Non guadagnò chissà che tempo, anzi, ma pose le basi della propria vittoria finale cominciando a creare un clima di gara e un corso degli eventi. Le tappe van disegnate bene a prescindere, così come era ben disegnata la tappa di oggi, poi è dato di natura che non tutti gli anni nascano i campioni capaci di renderle non solo gradevoli ma memorabili – e utili a trionfare
Gabriele Bugada