IL VALZER DELLE COPPIE: GRAN BOTTI AL GRAND BORNAND

luglio 22, 2009
Categoria: News

La tappa dei dominii, e la tappa del domino: da un lato i rispettivi possessori delle diverse maglie (gialle, verde, a pois) sanciscono in un giorno solo il proprio pressoché infrangibile primato, dall’altro le tessere di questo bizzarro gioco da tavolo cadono una dietro l’altra, in una geometria di appoggi e spintarelle.

Sale subito la strada, e subito prende il largo una fuga robusta, senza esitazioni, per eseguire con la dovuta maestria lo spartito roboante che si impone in un tappone alpino (l’unico in questo Tour, e oltretutto in tono minore per l’esigua lunghezza e il mancato arrivo in vetta. Nondimeno, il numero e la durezza dei colli gli vale l’appellativo). Va nominato Pellizotti, che nonostante le fatiche di ieri è attentissimo e non farsi sfuggire l’arrembaggio vincente – a differenza di Egoi Martinez, destinato a un disperato quanto vano rientro –. Va nominato Menchov, per il suo tentativo di riscatto affondato da una doppia (!) caduta. E poi tanti altri, fino alla ventina di corridori anche di pregio, come un Gerdemann con tanti bei ricordi in zona, un promettentissimo Uran (il più giovane in gara), uno Zabriskie saggiamente avvantaggiato, Rolland e Monfort in cerca di conferme dopo i propri esordi ruggenti degli scorsi anni, il caparbio Van den Broeck ormai libero da obblighi verso Evans (l’australiano denuncia ma non dichiara problemi fisici “personali” con ricadute sportive), vecchie volpi come Brueghin e Hincapie ansiosi di riscoprirsi grimpeur come negli anni migliori, e la solita pletora di francesi o di Euskaltel, con gli arancioni votati all’attacco per mezza squadra.
Diciamo subito che Pellizotti è quanto mai autorevole, e fa razzia di punti a pois nonostante il tentativo del rientrato Martinez di limitare i danni: a meno che lo spagnolo non vinca ogni singolo Gpm rimanente (in particolare il Mont Ventoux), e che a sua volta Franco non si astenga dal fare altri punti, la maglia è conquistata. Si tratta ora di arrivare a Parigi.

Se il delfino non guizza su ogni singola onda che increspa l’altimetria, il motivo risiede nella vera e propria piccola impresa odierna, quella operata da un Thor Hushovd da riverenza! È proprio il norvegese a transitare in testa sul secondo e terzo Gpm di giornata, dopo aver riagganciato il gruppo dei fuggitivi in discesa (dimostrerà più oltre le proprie doti di equilibrista, restando in sella sul bagnato pur avendo sbagliato del tutto una curva, con tanto di fuoristrada). Dal ricongiungimento alla fuga solitaria il passo è stato brevissimo, senz’altro con l’intenzione di accantonare un minutino per non farsi sganciare sul Saisies. Ma Thor ci dà dentro, mentre dietro si va, saggiamente, di conserva, e così più che perdere il dio del tuono prende il largo, ed è tutto solo mentre, compiaciuto, saccheggia i traguardi volanti. Un vero vichingo! Qui qualche (piccola) chance in più per un borseggio da parte di un Cavendish in versione Oliver Twist ci sarebbe anche, ma dopo l’esibizione odierna c’è da dire che un Hushovd verde a Parigi sarebbe il risultato sportivamente più consono.

Dietro succede poco, ma va registrato l’accampamento stabile dei Saxo in testa al gruppo, a scandire finalmente un ritmo foriero di acido lattico, un po’ come si eran visti fare i Liquigas verso Verbier. Chi dice che lavorino per Contador non sa quanto avrà ragione a fine tappa, pur nel torto marcio di questa affermazione! Perché se chiunque ben capisce come questo sia il modo migliore per sgretolare l’Astana, a sicuro vantaggio proprio (dei Saxo), e possibile anche se non certo svantaggio dello spagnolo, va pur detto che in questo Tour l’Astana è già in sé sgretolata e pertanto le logiche tattiche abituali sono da riscrivere su carta bianca.

L’altra tappa, quella per la generale, comincia sul penultimo colle, il durissimo Romme. La fuga è già a gittata, ed è ormai chiaro che essa non abbia alcuna speranza. Sastre accende per primo la miccia, ma come già avvenutogli sul Blockhaus (qui però le condizioni gli erano sulla carta più propizie) non riesce a prendere il largo, e anzi sconta un duro dazio all’avventatezza una volta tanto dimostrata. Degli uomini davanti citiamo solo Van den Broeck e Uran, per la loro capacità, una volta ripresi, di rimanere accodati per un bel tratto ai mostri che faranno infuriare la tempesta. E poi, certo, c’è Zabriskie, che – come diremo – giocherà un ruolo chiave per il risultato di tappa.

È Andy Schleck a infiammare le polveri, con una progressione venata di accelerazioni al limite dello scatto. Non azzanna, Andy, probabilmente per non mettere in difficoltà il fratello, di cui controlla e controllerà spessissimo per tutta la tappa il posizionamento: non azzanna, ma ruggisce, e il ruggito già sgomenta e sparpaglia il gregge.
Resistono i magnifici sei (o sette, o sette?) che andranno a caratterizzare come unici attori sul palco il seguito di questa tappa. Sei, o sette, personaggi in cerca di autore, autorità o autorevolezza, nemmeno sicuri del proprio numero.
Quelli con una certezza nel cuore ne verranno premiati dal risultato finale, di giornata e in generale: la coppia, da libro Cuore appunto, dei fratelli Schleck. L’unico dubbio, per loro, è chi debba aiutare chi, l’unico tentennamento è nel timore – di Andy – di perdere per strada l’amato fratellone. Per il resto non si pensa alla maglia gialla di Contador, ma solo ad andare, andare, andare, tirare alternandosi tirare sempre comunque duplici e insistenti.
Poi c’è chi la certezza ce l’ha nelle gambe, Contador. Sempre e comunque il più forte. Mai in difficoltà.
C’è Kloeden, che ha le certezze dell’esperienza, che sembra in buona giornata ed è sempre più deciso a confermare la propria mania di collezionista di podi.
Poi cominciano i dubbi: quelli di Armstrong, che non sa se e come e quanto deve e vuole e può andare. Ma sono dubbi piccoli, e che già si affievoliscono nel sogno di una nuova e specifica formazione americana, americanissima, con Bruyneel ma senza ingerenze kazake o spagnole.
Poi aumenta il tenore dei dubbi: c’è Wiggins, che non sa se potrà essere lui l’uomo da GT per il nuovo team Sky, che sogna un campione di classifica inglese (non abbiamo più le squadre nazionali, ma il nazionalismo in salsa di grandi capitali la fa sempre da padrone).
C’è Vande Valde, dubbio fatto corridore. E che fa parte dei magnifici di oggi solo per una salita, il Romme.
Due Saxo, due Garmin, tre Astana. A quanto pare è finita l’epoca dei duelli tra capitani, quando si era proprio fortunati nella rara eccezione di avere un gregario al fianco quando la lotta entrava nel vivo.
Ma i magnifici, a onor di frase fatta, resteranno a lungo sette, perché VdV è destinato a soccombere alla Colombière, ma al parterre dei re si aggrega già sul Romme un robusto Nibali.
Vincenzo Nibali, che dichiarerà di aver sofferto questa tappa fino al nocciolo della propria anima, emerge dalla giornata odierna con una patente di maturità delle più esimie: rientrare dopo essere andati in difficoltà è la stigmata dei grandi, a prescindere dai risultati che si è destinati ad ottenere.
Il siciliano innesta il rapporto agile e perde le ruote dei migliori già nella fase inaugurale dello Sturm und Schleck scatenatosi sulle Alpi Occidentali, ma a 4km dalla vetta del Romme, in una delle fratture decisive che indirizzeranno la conclusione della corsa, riesce a rientrare su quello che si configura come un quartetto di inseguitori (tra cui infatti Wiggins, inseguitore per eccellenza!).

Quel che è accaduto a metà della penultima ascesa di giornata è che una più brusca trenata di Andy abbia selezionato un trio composto da lui stesso con Contador e Kloeden, al quale – e la svolta è cruciale – si aggiunge Frank, arretratosi in un primo momento, con uno scatto simile a quello provato senza fortuna a Verbier. Armstrong fatica molto, anzi arranca e annaspa, alla ruota di Wiggins, il quale però riesce a gestire la situazione grazie alla collaborazione di Zabriskie e di Vande Velde decisamente votati al gregariato. Proprio ora rinviene Nibali, dando così vita a quello che per qualche chilometro appare come un doppio quartetto, poiché Zabriskie regge davvero poco. La regia francese (sempre buona nell’inquadratura, oscena nel montaggio) censura questa fase, ma l’impressione è che i due Garmin “di appoggio” siano rivenuti opportunamente su Armstrong e Wiggins in difficoltà, e che Vincenzo facesse parte di questa azione in recupero.

La discesa non regala emozioni, perché Nibali allunga ma senza eccessi. Gli ultimi verdetti spettano allora alla Colombiére, e anche qui arrivano poco prima e poco dopo della metà dell’ascesa. Dietro si perde Vande Velde (ma arriverà comunque a un paio di minuti), davanti – ai 3km dalla vetta – nell’ininterrotto monologo-a-due dei fratelli Schleck decide di piazzare il proprio acuto Contador. L’unica vittima sarà Kloeden! Vedendo infatti che i fratelli non desistono, pur avendo subito un distacco immediato sullo stacco, ma che Kloeden invece ha perso le ruote, Alberto decide di fermarsi e tornare al seguito dei rivali. Praticamente da qui in poi sembrerà quasi che i Saxo facciano da gregari per la maglia gialla… contro i compagni di quest’ultima.
Contador – per le telecamere o sinceramente? Non lo sapremo mai – si volta a ripetizione, cerca con lo sguardo il tedesco: ma è lampante che una volta persa la scia di una coppia così affiatata sia pressoché impossibile rinvenire. In 3km se ne vanno cinquanta irrecuperabili secondi. Fatale l’effetto psicologico del buco: Kloeden era apparso sempre in controllo, ma una volta solo la salita diventa uno scivolo assieme viscido e viscoso, che respinge e incatrama il povero Andreas.

Fatto sta che il podio di tappa (e per oggi anche del Tour, sebbene in diverso ordine) è ormai determinato. Contador lascia agli Schleck decidere chi vinca la tappa, lui non disputerà la volata né tenterà ulteriori attacchi. Un comportamento fondamentalmente corretto, visto che il lavoro odierno l’hanno svolto integralmente i due lussemburghesi: a parte l’eliminazione di Kloeden, sia chiaro; ma a quella ha provveduto personalmente Alberto… Alla fine sul traguardo passerrano, nell’ordine, Frank, Alberto, Andy. In generale: Alberto, Andy, Frank.

La maglia gialla stretta nella tenaglia dei fratelli Schleck (foto AFP)

La maglia gialla stretta nella tenaglia dei fratelli Schleck (foto AFP)

Dietro invece le carte sono destinate a rimescolarsi, perché Armstrong ripropone quella che pare essere ancora una sua mano vincente, pur nel formare una “scala minore” rispetto ai bei tempi: la fiondata all’ultimo km del Gpm, con la quale semina Nibali e Wiggins. L’ultimo irreparabilmente, tanto che il buco vale 40”, mantenutisi poi fino all’arrivo sui propri passati compagni di ascesa. Nibali invece non cede, non molla, serra le proprie triplici file di denti squaleschi, e in discesa ben disegna le curve fino a riprendere Lance. C’è probabilmente accordo, tra i due, un accordo che varrà il lasciapassare a Vincenzo sull’arrivo: perché Lance vuole proprio ridurre lo scarto, anzi si direbbe che voglia ripigliare Kloeden… A quanto pare non è solo Contador a sentirsi “senza gregari”, e Lance ne ha bisogno più che Alberto! I fronti interni sulla linea kazaka si moltiplicano.

Sia come sia, il ricongiungimento avviene in prossimità dell’arrivo, con tanto di sorpasso – e distacco di 9”! – sullo stremato tedesco. Nibali è dunque ottimo quarto (chissà non abbia trovato un amico che conta, oltre tutto) a 2’18”, stesso tempo di Lance, poi appunto Kloeden sesto, a distanza tutt’altro che abissale Wiggins (40” come detto che valgono 3’07” da Schleck).
Il resto è silenzio, o almeno meglio che sia tale quando occhieggiano in cima al gruppo facce ormai stantie come quella di Vande Velde o di Moreau. Meglio consolarsi con il gruppo a 6’, con la tenacia di Rinaldo, o le promesse di Kreuziger, Monfort, Van den Broeck. Il popolino dei comuni, coraggiosi, mortali.

I titani che cozzeranno sul Ventoux per disputarsi questo Tour, il cerchio superiore nei cieli della corsa transalpina, si sono riservati i primi sette magnifici posti.

Gabriele Bugada

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