POKER PIÙ TRIS PER REY ROGLIČ: E LA VUELTA SI FA GRANDE

settembre 6, 2021
Categoria: News

Roglič si porta a casa la terza Vuelta di fila, una più bella dell’altra. Cresce la qualità del percorso e anche quella dei rivali, garantendo spettacolo e non solo muri fino a tutta l’ultima settimana.

L’ultima crono corona con coerenza un percorso davvero di spessore, e in linea con lo stesso stile a cui va improntandosi la corsa iberica: meno strilli e più sostanza, coniugando tradizione e grandi novità. Si recupera in gran parte il tracciato del 1993 su cui duellarono gli svizzeri Zülle e Rominger, in quella che fu la seconda vittoria su tre consecutive del fenomenale Tony, un primato condiviso con Heras (che ne ha una quarta “separata”) e ora eguagliato dal tris di Roglič con gran retrogusto di corsi e ricorsi storici, tanto più che in questa edizione la bandiera svizzera torna a sventolare grazie alle prodezze del giovanissimo Gino Mäder, maglia bianca finale superando a sorpresa (non certo grazie a questa crono!) un mostro sacro come Bernal.
Quest’ultima tappa era a uno sguardo superficiale la tipica “crono leggera” di tante Vuelte recenti, senza asperità troppo evidenti, ma in realtà si svolgeva su un tracciato estenuante che obbliga gli atleti a tre quarti d’ora almeno di intensità brutale, specialmente dopo una terza settimana finalmente degna di un Grande Giro, ovverosia durissima. Roglič non regala niente a nessuno, e chiude il circolo aperto fin dalla prima tappa, da una cattedrale storica all’altra, da Burgos a Santiago de Compostela. Quadripletta, perché alle due crono si aggiungono due arrivi che per la Vuelta sono leggenda quali il muro di Valdepeñas de Jaén e l’ascesa ai Lagos de Covadonga, in questo caso con fuga da lontano. Continuità e polivalenza, attacchi a lungo raggio: insomma il Roglič migliore che avevamo cominciato a scordare in tempi di scattini finali e imbarazzi nella terza settimana.
La cronaca del giorno rileva una iniziale curiosità, con la maglia nera Josef Černý, ultimo in generale e dunque primo a partire, che segna subito un tempone, tanto da restare fisso sulla “hot seat” di chi gode del crono migliore mentre sfilano una metà buona degli atleti in gara: e alla fine sarà ottimo quarto. Dopodiché resta da annotare abbastanza poco: il bel balzo in generale di David de la Cruz, che così si conferma settimo per la terza volta in carriera (numero magico!); l’assalto fallito di Yates al podio dacché, dopo aver rosicchiato secondi a Haig nei primi parziali, l’inglese crolla nel finale; le notevolissime prestazioni di Mas o Bernal, in top ten di tappa, pur a un paio di minuti da Rogla e comunque senza che ciò smuova la classifica finale.
Ma più di tutto, sostanzialmente, la già anticipata razzia dello sloveno nello strappare in extremis il trionfo al danese Magnus Cort, gran cacciatore di tappe polivalente che a diverse edizioni della gara spagnola deve un terzo delle sue vittorie totali in carriera: quest’anno Cort – che se ne va comunque con una tripletta – voleva proprio fare il numero alla Wout Van Aert, avendo già vinto sul primo arrivo in salita, in cima a uno strappo breve ma durissimo, poi di nuovo la seconda settimana, stavolta allo sprint, e infine con una gran fuga durante la terzultima tappa; una per settimana, appunto, ma gli mancava giusto la cronometro, per l’appunto sfiorata per una dozzina di secondi. In aggiunta, e con merito, arriva il riconoscimento di corridore più combattivo di tutto il GT.
Tanta qualità e forma clamorosa, a rappresentare un tratto caratterizzante di questa Vuelta, ovvero la strabordante superiorità di alcuni corridori che, per le ragioni che siano, hanno trovato un livello prestazionale clamoroso, che solo il futuro definirà poi come un salto di qualità al vertice assoluto del ciclismo oppure un contingente momento di grazia.
È il caso delle maglie secondarie, vinte entrambe da plurivincitori di tappa, giovani, già noti per essere promettenti, e con davanti tutta una carriera per confermarsi: Fabio Jakobsen, che rallegra tutti con il suo ritorno ad alto livello dopo lo spaventoso incidente del Giro di Polonia dell’anno scorso, conquista tre tappe e la maglia verde, dapprima piegando la resistenza del solido Philipsen (già appoggiato alla morte dalla sua Alpecin-Fenix in quel del Tour, dove però collezionò solo una sfilza di podi), e poi, nella seconda metà della Vuelta, sopravvivendo a un percorso ostile come pochi alle ruote veloci.
Per quanto invece concerne i pois blu della classifica Gpm, se la porta a casa assieme a due tappe l’australiano Storer, autore di impressionanti raid solitari: come anche altri atleti in quest’edizione, pensiamo alle imprese spettacolari di Caruso e Majka, ma nel caso dell’australiano – meno rodato dei suddetti campioni – con la supplementare capacità di ripetere le proprie gesta come un autentico coniglietto Duracell. Rimane il mistero dell’ultima tappa in linea, in cui due compagni di team, cioè lo stesso Storer e Bardet, si trovano in fuga a competere per la maglia a pois blu finale, pressoché appaiati nel punteggio. Tuttavia Bardet, pure lui vincitore di un tappone indimenticabile, rinuncia platealmente alla sfida: tutto fa allora pensare a un ordine di squadra, per cui si sia patteggiata in ammiraglia una strategia entro la quale Storer raccoglie i punti dei Gpm e poi aiuta Bardet a vincere la frazione. Ma in corsa così non è: il regalo di Bardet non trova riscontri nell’atteggiamento di Storer, che fa la propria gara con invididualismo totale, tant’è che la vittoria finirà poi altrove, premiando la tenacia e l’azzardo di Champoussin. Giusto comunque che la classifica finale dei Gpm premi l’avventuroso baby australiano, inconfondibile per la carnagione lattea e il viso paffuto.
Discorso simile per il podio di Jack Haig, primo australiano a centrare l’obiettivo dai tempi di Cadel Evans. Se ne conoscevano le doti, spesso sfruttate in operazioni di gregariato, sarà da capire se farà testo questa Vuelta in cui tutto il Team Bahrain, come accaduto lungo l’intera stagione, è investito da un’ondata di forma collettiva impressionante, che pare risparmiare il solo Mikel Landa, giunto a corto di condizione per incidenti pregressi e ritiratosi esausto a metà gara. Enormi complimenti, ad ogni modo, per aver tenuto duro dopo un inizio difficile, in una Vuelta che stavolta premia il fondo ed è – finalmente! – capace di alterare almeno in parte i valori espressi dal primo arrivo in salita. Spettacolare la tattica aggressiva dei Bahrain nell’ultima tappa in linea, un capolavoro di tracciato che incorporava lo spirito delle grandi classiche più selettive, a mezzo cammino fra Ardenne e Lombardia. Ne fa la spese fino al ritiro Superman López, in crisi di nervi e in polemica col team: per una volta l’ammiraglia Movistar ci aveva visto giusto raccomandandogli di non tirare – in chiave bluff, naturalmente – ma i precedenti trattamenti tattici riservati dallo squadrone spagnolo ad atleti latinoamericani hanno generato un’incomprensione di fondo sfociata nel conflitto aperto. Una delle storie di questa Vuelta già pronta per la godibilissima serie Netflix che segue anno dopo anno la squadra iberica.
Proprio López, che è ad oggi l’unico atleta dimostratosi su strada capace di battere frontalmente i fenomeni sloveni in un faccia a faccia su salite lunghe e dure (qui l’inedito e fantastico Gamoniteiru), era stato uno degli avversari che avevano potentemente qualificato la prestazione peraltro dominante di Roglič. Con lui un sempre più maturo Mas, reduce da un Tour combattuto con dignità fino all’ultimo giorno e fino a un tutt’altro che spregevole sesto posto in GC finale: qui immune a crisi di forma o di nervi, il maiorchino merita rispetto crescente essendo uno dei pochissimi la cui precocità si va traducendo in continua crescita sportiva. Questo secondo posto vale veramente oro, stante l’intoccabilità di Rogla, che non ha avuto nemmeno le sue tipiche flessioni nella terza settimana, anzi! Venire dal Tour non è cosa da poco, e quindi giù il cappello anche per l’unico altro protagonista che il Tour quest’anno l’aveva già finito in bellezza, Guillaume Martin, che esce dall’etichetta folkloristica di “ciclista filosofo” per confermarsi atleta magari non da titoloni ma di valore indiscutibile, con una doppia top ten nei due GT consecutivi conquistata a suon di fughe tutt’altro che bidone. Se nel testa a testa finale non fa sgorgare i fiumi di watt dei contendenti di punta, trova comunque il modo di ritagliare e soprattutto difendere una classifica generale di pregio assoluto.
Chi però vanta il merito di aver trasformato con il proprio tocco questa Vuelta e la vittoria di Roglič in oro puro è il grande sconfitto, Egan Bernal. Espulso come Superman López dalla lotta per il podio nel corso della “piccola Liegi” di sabato, vittima della normale rotazione di scatti e controscatti per cui la mossa che segue il tuo assalto ti lascia steso, Egan ha inghiottito amaro e incassato minutini qui e là per mezza Vuelta, a corto di brillantezza e cambio di ritmo. Poi, come detto, la musica è cambiata perché per una volta (e speriamo che per molte altre volte in futuro) la Vuelta si ricorda di essere un GT, e come tale gara per uomini di fondo. Col passare delle tappe Bernal trova la gamba e con essa una aggressività crescente, l’attitudine di chi ha già un palmarés per il quale conta solo vincere: si susseguono i tentativi, gli attacchi, e non cesseranno fino appunto a quelli un po’ kamikaze della penultima frazione. Il gioiello è però la tappa di Covadonga: finale mitico, durissimo, preceduto da un circuito con la meno mitica (perché inedita) ma tremenda Collada Llomena, la cui funzione sembrava essere indurire le gambe, in quanto troppo separata dalla salita finale, con 40 km di pianura di mezzo. Ma Bernal ci prova lo stesso, e a fondo, a oltre 60 km dalla linea di meta. Non ce n’è per nessuno, gruppo a pezzi. O meglio, per qualcuno ce n’è: Roglič è l’unico con le gambe e il coraggio per lanciarsi nel folle volo con Bernal, dapprima col privilegio tattico di stare solo a ruota, ma poi, in pianura, collaborando attivamente all’impresa. Due campioni in fuga, il peloton sparpagliato. Una meraviglia. Roglič corona con il successo di giornata, mantenendo intatto il vantaggio pregresso dopo l’enorme sforzo, Bernal si stacca ma arriva comunque con i migliori inseguitori. Ciclismo allo stato puro, e in una tappa vera, di 180 km, come oltre 200 misurava pure la classica dell’ultimo sabato. Alla faccia delle tappette tapas.
Qualità dei contendenti, qualità del tracciato, una corsa che vive qualche momento di stanca solo nella seconda settimana, dove gli splendidi percorsi di media montagna vengono lasciati in pasto a peraltro nobili fughe. Ma spettacolo e tensione rimangono sempre altissimi tanto in una prima settimana equilibrata epperò già veemente quanto in una settimana conclusiva all’altezza come non mai. L’ultima volta in cui la Vuelta era stata oltre ogni ragionevole dubbio il miglior GT dell’anno era stato nel 2012, con candidatura ragionevole ma meno netta anche per il 2014. Da quando la corre Roglič di nuovo la Vuelta alza la cresta, e quest’anno decidere quale sia stato il GT migliore è davvero arduo. Ma almeno su questo non c’è dubbio alcuno: una gran Vuelta incorona Roglič e un gran Roglič incorona la Vuelta.

Gabriele Bugada

Il podio della Vuelta 2021 (foto Bettini)

Il podio della Vuelta 2021 (foto Bettini)

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