OLE’-JET… E L’ITALIA TROVA IL PRIMO HURRA’
Nel giorno in cui si è corso, per ora, il rischio più concreto che la fuga del mattino potesse arrivare, ci pensa Alessandro Petacchi a scrivere un nuovo capitolo della storia degli sprint. Lo spezzino batte, come già successo al Tour, Mark Cavendish e regala il primo successo tricolore in questa Vuelta. Primo per l’Italia, ventesimo per lui. Può essere più che soddisfatto.
Foto copertina: I velocisti impegnati nei metri finali dello sprint di Orihuela (foto Roberto Bettini)
La doppietta l’ha centrata anche lui. Dopo Farrar (Giro-Vuelta) e Hushovd (Tour-Vuelta), anche Alessandro Petacchi porta il suo dorsale e la maglia della Lampre-Farnese sul podio più alto di due distinte corse a tappe. Adesso, all’appello, manca soltanto uno dei big: è inglese ed il suo cognome inizia per C.
Per quest’ultimo, l’occasione buona poteva essere quella di Orihuela, visto che non c’erano strappetti nel finale, pazzi scriteriati pronti ad entrare nella mischia ed un Gilbert che difficilmente avrebbe provato a far saltare il banco.
Ed, invece, Cavendish non aveva fatto i conti con un super Petacchi che, pilotato alla perfezione da Danilo Hondo (questa volta si, non come successo due giorni fa), si è trovato in testa ai 200 metri ed ha deciso che aveva voglia di un’altra volata lunga, come quella fatta al Tour dove ebbe la meglio proprio sul capitano dell’HTC. Ed anche ad Orihuela il risultato è stato lo stesso, con Ale-Jet tranquillo e beato in testa al gruppo e l’inglese che non riesce nemmeno ad impensierirlo a capo di un gruppo di vinti che potrebbe rappresentare un bel cambiamento in vista degli anni futuri.
Per Petacchi, adesso, alla Vuelta fanno venti. C’è di che accontentarsi, ma se rimarrà fino alla fine, almeno a ventuno vuol provare ad arrivarci.
Ma torniamo all’inizio, visto che il 20° sigillio dell’uomo Lampre ha rischiato seriamente di non concretizzarsi a causa della coriacea fuga di giornata. Pronti, via ed ecco i soliti quattro temerari, sembra: Montenegro, Pedersen, Roels ed Isaichev. Loro non scherzano, mentre in gruppo vanno a fare una scampagnata e così in soli 25km guadagnano qualcosa come 10’25”. Abbastanza presto rispetto ai piani della vigilia, la tappa è lunga 181 chilometri, Lampre (per Peta), Garmin (per Tyler) e HTC (per Cave) sono costrette a mettersi in testa ed iniziare da subito a limare il margine.
I quattro ci provano in tutti i modi (anche una foratura di Roels ci si mette di mezzo, ma rientra subito sulla testa della gara) e sembrano quasi quasi riuscirci fino a che il gruppo non se li mangia di nuovo a quattro chilometri e mezzo dalla fine. Ed allora che volata sia.
Ed allora all’ultimo chilometro ecco che nasce un treno, quello blu-fucsia degli uomini di Saronni che assomiglia molto a quei treni che una volta avevano i colori rossi (Saeco) o bianco-blu (Fassa Bortolo). I meccanismi sono oliati ben bene e altri treni, quelli di Quick Step e HTC, fin da subito rischiano il deragliamento, ma non quello Lampre. E, così, i calcoli tornano alla meraviglia visto che Hondo prende in testa l’ultima chicane, rilancia l’andatura e la pista è tutta pronta per Ale-Jet. Gioco, partita, incontro.
Alle sue spalle Cavendish, poi Haedo, Stauff (Quick-Step, una rivelazione), Farrar, Galimzyanov (Katusha), Forster, Hinault, Bennati (troppo chiuso e con un passo indietro dopo il 2° posto dietro Hushovd) e Weylandt.
Adesso le ruote veloci si faranno un po’ da parte, ad iniziare dall’ottava tappa: Villena-Xorret del Cati, 190 chilometri. Frazione movimentata con 5 Gpm: uno di terza all’inizio, tre di seconda ed uno di prima, l’Alto di Xorret del Cati a quota 1.100 metri di altezza piazzato a tre chilometri dall’arrivo di tappa. Tocca ad un altro azzurro mettersi in evidenza, a questo giro. Non ha i colori blu-fucsia, ma verdi. Il suo nome è Vincenzo Nibali.
Saverio Melegari