POZZATO E IL TRICOLORE:PER ESSERE BANDIERA AL TOUR

luglio 2, 2009
Categoria: News

Stavolta i piazzati sono gli altri. Pozzato resiste alle undici tornate dell’impegnativo circuito dei Tre Monti e ai tremila metri di dislivello odierni per presentarsi come ruota più veloce in una sfida ristretta a venticinque atleti dentro il circuito di Imola. La Liquigas cerca di accendere la corsa con i propri plurimi capitani, la Lampre controlla e serra le fila – finirà con due corridori nei primi quattro! –, gli atleti delle squadre minori guizzano e scoppiettano in cerca di un giorno da protagonisti, ma la coppia zeta-zeta (Mazzanti e Pozzato, unici atleti in gara per la Katusha) stringe i denti e consegna a Filippo un motivo in più per fare bene al Tour.

nella foto Bettini, Pozzato in tricolore

nella foto Bettini, Pozzato in tricolore

I tre gradini colorati del tricolore ospitano tre corridori di pregio, ma soprattutto tre “abitudini”, inveterate o lì lì per essere acquisite: tre abitudini che potrebbero diventare il marchio di carriere che svoltano lungo la curva della Rivazza, o che si inchiodano in un rettilineo di ossessioni e numeri ricorrenti.

Il bronzo rosseggiante di Paolini è il sigillo di una carriera così, tutta sussunta nel fatidico numero tre: una sfilza di terzi posti pesantissimi, due Sanremo, un Fiandre, un Mondiale… E se talvolta il terzo posto è quello migliore, a parte la vittoria, perché libero da rimpianti e recriminazioni (come nel Mondiale veronese “salvato” dal suo bronzo), se altre volte ancora è un insperato premio per un gregariato altrimenti oscuro (pensiamo alla Sanremo consegnata a Bettini), inevitabilmente il suo ricorrere, senza vittorie di pari spessore, assume i contorni minacciosi della maledizione. Che penserà Paolini lì sulla pedana rossa, intonata ai colori sociali di una Acqua & Sapone che ha ben lavorato per portarlo lì e far perdonare l’assenza di Garzelli? Occasione persa? Ormai, crediamo, ci farà su un sorriso.

Il verde d’invidia si riflette nella medaglia argentea di Cunego, corridore in un momento psicologico difficilissimo, arrivato a una transizione di carriera che non gli sta offrendo remunerazioni immediate, perché l’altissimo livello della sua campagna ardennese pure non sblocca l’agenda delle vittorie ferma alla Coppi & Bartali.
Le strade romagnole potevano marcare un rilancio soprattutto emotivo sullo slancio del quale proiettarsi verso il Mondiale, invece vanno a ribadire una preoccupante familiarità col numero due, cioè col piazzamento in assoluto più amaro. Un cattivo presagio era apparsa già in quel di Sassuolo (terra di F1) la sua sconfitta in volata ad opera di Evans, un corridore tra i più fermi allo sprint; ma lì c’erano la sazietà di Damiano, la fame di Cadel, a fare da alibi; niente più che un presagio, ripetiamo. Quando però la fame del veronese è aumentata, e sotto i denti ha iniziato a masticare secondi o terzi posti (due podi in Svizzera, e prima – se verrà squalificato Rebellin – alla Freccia) l’eco del Mondiale varesino ha iniziato a rimbombare pesantissimo. Questi piazzamenti sono il preludio “in sordina” di una vera, imminente esplosione come corridore maturo da Classiche, o invece di un’implosione nel ruolo – tutto di testa – del piazzato? Quanti pugni sul manubrio dovrà tirare chi prima vinceva così facile, quante volte la De Stefano commenterà “Damiano si allontana in fretta arrabbiatissimo”? Speriamo poche, speriamo davvero che questa sia stata la goccia che faccia traboccare il vaso e che la rabbia – sempre tacitata – del veronese si convogli in determinazione agonistica.

Oro abbagliante sul bianco gradino centrale di Pozzato, e tricolore indossato come una bandiera. Un tricolore inseguito a lungo, con podi e piazzamenti in abbondanza (meritatissimi, in senso positivo… quanto negativo). C’è da sperare che la curva della Rivazza di Pozzato si apra qui, verso una diritta infilata di trionfi in tutte le altre gare a cui altrettanto a lungo – e con esiti affini – ha dato la caccia. Cominciando a sventolare al Tour questo tricolore, alla faccia di un’ostilità reciproca tra FCI e ASO che sta danneggiando gravemente – da anni – il movimento italiano nella corsa più importante al mondo. Volata facile, senza avversari veramente veloci quanto lui: ma tutt’altro che facile arrivarci, a questa volata. Una prova di carattere e cattiveria che ci auguriamo di rivedere replicata su tanti altri terreni.

Ma com’è andata la corsa? La gara è stata condotta fin dalle prime battute da una fuga senza nomi di grande peso e senza gli squadroni, che però testimoniava la volontà anche di alcune squadre “minori” (la Flaminia per Caruso, la Diquigiovanni per Bertagnolli) di rendere dura la prova, così come il nobile desiderio di mettersi in luce da parte di corridori penalizzati dai calendari a invito: Angeloni e Riccio (Flaminia), Celli (Diquigiovanni), Palandri (Miche), Loria (Centri Calzatura) e De Maria (Individuale).
Il primo scopo è senz’altro raggiunto con una media ben superiore ai 40km/h in una prima fase che ancor prima del circuito dei Tre Monti già vedeva asperità sul tracciato.
Dietro lavorano, senza dannarsi l’anima, Lampre – numerosissima nel parco iscritti – e ISD, poi tradita da un Visconti nemmeno oggi in giornata.
Ai 50 o poco più dall’arrivo, ormai ripresi da una decina di km gli attaccanti della prima ora, il quart’ultimo passaggio sui tre Monti propone un nuovo importante frazionamento, che avvantaggia diciotto uomini, tra i quali si fa notare (prima di cedere alla successiva selezione) il campione del mondo Ballan.
Lampre e Liquigas sono sempre rappresentate, ma il giro seguente riserva faville, attacchi e contrattacchi, lasciando in avanscoperta – con un vantaggio sempre intorno al mezzo minuto – i soli Marzano (Lampre), Santaromita (Liquigas), Proni (Isd), Stortoni (Csf), Bertolini (Diquigiovanni), Masciarelli Andrea (Acqua & Sapone), Tizza (Carmioro) e Torosantucci (Centri Calzatura).
La collaborazione non è eccelsa, perché mentre Bertolini si profonde in trenate impressionanti, gli atleti che hanno dietro capitani più titolati cercano di approfittare della situazione. Tuttavia dietro manca la determinazione, e solo un’impressionante giro dell’autodromo di Piemontesi della Fuji mantiene il distacco entro i margini, mentre subito dopo sarà Sabatini a incaricarsi di controllare.
Al penultimo passaggio sulla salita il vantaggio regge, e Nibali decide di tentare di sfruttare la fuga come ponte, lanciandosi all’attacco in prossimità della conclusione di un settore impegnativo. La scelta di tempo non è felicissima, fallisce il riaggancio e anche l’evasione.
Davanti l’armonia è definitivamente rotta, si susseguono le azioni personali, ma così il destino della fuga è segnato, e nell’autodromo il peloton è ricompattato sotto l’impulso di una Lampre veemente nelle mani di Bruseghin.
Tutto si deciderà all’ultimo transito per i Tre Monti.
È di nuovo Nibali a provare l’attacco all’arma bianca, ma qui è ben più arduo fare selezione che non sulla Bocchetta. Ripreso il siciliano, si lancia al contrattacco Pellizotti… un buon esempio di strategia “a tenaglia”, ma Nibali non sembra gradire molto, visto che appena ripreso fiato collaborerà con Bertolini e Cunego (con Pozzato lì dietro, al gancio ma appeso) per rientrare.
Solo Bertagnolli è riuscito a tenere in prima battuta la ruota del delfino di Bibione, mentre chi aveva reagito allo scatto di Nibali (i nomi succitati) paga dazio, tant’è che a bagnomaria tra la coppia in fuga e gli inseguitori c’è un quartetto composto da Reda, Canuti, Caruso e Callegarin, con Caruso a fare buona andatura in salita. Sulla vetta, infatti, il quattro-più-due è vicinissimo a farsi sei, e la discesa completa l’opera.
La ventina di secondi di vantaggio potrebbe anche bastare a vedere l’arrivo, se non che dietro si mette in testa al gruppo un impressionante Mazzanti, già espostosi nella precedente discesa in una via di mezzo tra la tentata fuga e l’innalzamento di ritmo; il lavoro del bolognese è semplicemente devastante, e agli alfieri Lampre che gli subentrano nel finale non resta che da completare l’opera (c’è anche uno scatto “del morto” di Ballan…).
La volata tra i venticinque superstiti è concitata, promossa da un ottimo Mori che già si era fatto vedere a ricucire sull’ultima tornata di salita. Il problema, plateale, è che tale volata sembra predisposta per Gavazzi, alla cui ruota non c’è Cunego. Il veronese dichiarerà poi che il giovane compagno di squadra era “il suo ultimo uomo”: non sapremo mai se trattasi di pezza retorica, se proprio Cunego è riuscito a perdere completamente il proprio treno, o se Gavazzi abbia voluto provare la mossa della vita.
Fatto sta che – benché probabilmente il risultato non sarebbe cambiato a fronte della superiorità fisica di Pozzato – la volata Lampre è parsa molto disorganizzata e deludente, specie a fronte del fatto che di uomini disponibili ce n’erano parecchi e che in virtù dell’impegno di Mazzanti una parte di sforzo è stato loro risparmiata. Qualcosa bolle nella pentola blu-fucsia?
L’ordine d’arrivo vede, dietro al podio sopra descritto, proprio Gavazzi, poi un inesauribile Bertolini, il già promettente Marcato quest’anno un po’ appannato dalla collocazione in Vacansoleil (scelta peraltro azzeccata per poter fare le classiche del Nord che gli si addicono), Bosisio – sempre isolato e in ombra, orfano dei capitani, ma bravo ad essere qui –, Gentili per la Flaminia, Scognamiglio (un altro talento di cui si sono perse le tracce) e Callegarin, attivo nel finale a coronare una giornata di grande impegno per la Centri della Calzatura. Indichiamo solo, appena fuori dai dieci, due giovani di belle speranze, Capecchi e soprattutto Zen.
La latitanza di vere ruote veloci, a parte Paolini, non deve però sminuire la netta affermazione di Pozzato, quanto avvalorare la sua capacità di resistere e proporsi efficacemente su un tracciato che si è mostrato in tutte le gare disputate piuttosto selettivo, anche se sulla linea si è presentata un’accolita non proprio sparuta.

Gabriele Bugada

Commenta la notizia