IL SIGNORE IN GIALLO

luglio 20, 2009
Categoria: Approfondimenti

QUEL TOUR DI 15 ANNI FA……
Torniamo indietro nel tempo per riassaporare un’altra pagina del Tour del 1994. Tre giorni dopo l’episodio di Armentières, la Grande Boucle sbarca nella terra d’Albione con una classifica generale rivisitata dalla cronosquadre di Calais, che ha lanciato nei piani alti i corridori della GB-MG. Museeuw è maglia gialla e, tra gli uomini di Ferretti, c’è anche, ben posizionato, l’italiano Flavio Vanzella. Sarà lui il protagonista principe della due giorni britannica: mandato in avanscoperta per difendere il capitano, finirà per disarcionarlo dalla testa della classifica, conquistando un’insperata maglia gialla. Un’azione che premia un lavoratore del pedale, un uomo costretto dalle circostanze a stazionare sempre dietro le quinte delle corse, ma che crea anche una spaccatura in seno alla squadra. Museeuw non gradisce e non ne fa mistero: quando la maglia del trevigiano sarà messa in pericolo, non muoverà un dito per salvarlo. E così, al rientro in Francia, se la vedrà sfilare da Yates, tra l’altro con gran scorno degli inglesi che avrebbero preferito un connazionale in giallo sulle strade di casa.

Indossare anche solo per un giorno la maglia gialla è sempre stato motivo di enorme soddisfazione per tutti quei corridori che, nella lunga storia del Tour de France, si sono trovati in vetta alla classifica della più importante corsa a tappe del pianeta.
E non solo per i campioni, candidati alla vittoria finale, ma soprattutto per quei ciclisti i quali – con un palmares scarno o addirittura inesistente – hanno avuto l’onore di vestire il simbolo del primato.
Spesso, anzi, l’essere stati maglia gialla ha costituito il momento più alto di una carriera fatta di sacrifici al servizio dei capitani, un vero e proprio lampo di gloria che, da solo, ripaga di tutte le fatiche del prezioso ma oscuro lavoro di coequipier.
E’ sempre stato così: si ricorda il giallo di Andrea Carrea, al Tour del 52 e quello di Guido De Prà, negli anni 60, cosi come si rammenteranno i giorni in giallo di Nocentini.

Alla vigilia della partenza del Tour del ‘94 Flavio Vanzella non avrebbe mai immaginato che gli sarebbe toccato tale privilegio.
Non perché l’atleta non ne avesse i numeri: tutti gli appassionati si ricordavano della medaglia d’oro ottenuta nella cento chilometri a squadre ai mondiali dell’87, un successo che lasciava presagire ottime cose nel mondo dei professionisti.
Quanto, piuttosto, perchè da quando – era l’89 – aveva fatto il salto di categoria, si era adattato ad un ruolo di gregario che non gli consentiva troppa libertà di movimento.
In più ci si era messa anche la sfortuna: una spalla rotta nel ‘92 e un’operazione all’ernia del disco nell’ottobre dell’anno successivo non gli avevano facilitato certamente le cose.
Se si considera, infine, che correva nello squadrone della GB – MG, accanto a gente come Museeuw , Richard e Sorensen, è evidente che non era lecito aspettarsi grandi cose.

Correre in una grande squadra, tuttavia, ha i suoi vantaggi.
La terza tappa del Tour di quell’anno, la cronosquadre Calais-Eurotunnel, aveva visto il successo della GB-MG. Museeuw aveva indossato la maglia gialla e Vanzella si era ritrovato al quarto posto nella generale, a ventidue secondi dal suo capitano.
Nella prova contro il tempo era stato tra i trascinatori della sua compagine e la posizione in classifica – davanti al campione del mondo Lance Armstrong – costituiva, per il trentenne corridore veneto, un riconoscimento delle sue capacità.
Il giorno successivo il Tour sarebbe sbarcato nel regno di sua maestà britannica con una tappa di 204 chilometri, da Dover a Brighton.
Grande entusiasmo e partecipazione da parte degli inglesi, che per un giorno avevano abbandonato la loro tradizionale flemma lasciandosi coinvolgere dal clima festoso della Grande Boucle.

La tappa è caratterizzata dalla lunga fuga dello spagnolo Cabello che, reduce da una squalifica per doping, vuole dimostrare di essersi lasciato definitivamente alle spalle la recente disavventura.
Al corridore iberico si accoda il francese Magnien e la loro galoppata verso il traguardo di Brighton pare non essere intralciata da altri.
La consegna di Vanzella è chiara. Da buon gregario deve a proteggere la maglia gialla di Museeuw , un ruolo che il veneto non si sogna di mettere in discussione.
Quando dal gruppo scattano De Clercq e Harmeling, Vanzella, incitato da Alberto Elli, si accoda ai due.
E’ chiara la tattica del d.s. Ferretti: un uomo della GB-MG deve entrare nella fuga per controllare gli attaccanti di giornata e attendere il prevedibile rientro del gruppo. E se questo non dovesse accadere la maglia gialla resterebbe comunque in casa, considerato il quarto posto in classifica di Vanzella.

All’inizio Flavio resta giustamente a ruota poi, approfittando di alcuni strappi, stacca i suoi compagni di avventura e si getta all’inseguimento della coppia di testa.
È un inseguimento che pare essere coronato dal successo ma, a quindici chilometri dal traguardo, Vanzella fora e Cabello – lontano appena quaranta secondi – diventa irraggiungibile.
Il portacolori della GB- MG procede in compagnia di Magnien e, a questo punto, la maglia gialla diventa un affare interno alla squadra italo-belga.
Museeuw non ama perdere il simbolo del primato per colpa di un gregario e mette i suoi fedelissimi a tirare.
Ci sono di mezzo anche gli abbuoni e il primo posto in classifica è una questione di secondi.
Cabello vince in solitudine e Magnien precede Vanzella sul traguardo, a venti secondi dallo spagnolo. Il gruppo è subito dietro, a trentatrè secondi.
La rimonta di Museeuw non è riuscita e i cronometristi fanno i conti: per quattro miseri secondi Vanzella è maglia gialla!

Vanzella1
Quasi non ci crede, il veneto, ma la notizia crea maretta in casa GB-MG, un vero è proprio “affaire” interno alla squadra.
Di sicuro Museeuw non ha gradito e tiene il broncio: neppure degna di un saluto il veneto, colpevole di lesa maestà.
Anche il ruolo di Ferretti non appare limpidissimo. Vanzella ha parole di apprezzamento per il “sergente di ferro” il quale, prima della partenza della tappa, gli avrebbe detto di tenersi pronto a entrare nelle fughe. Nelle fughe, infatti, purchè (ma quello Ferretti non glielo deve aver detto) la maglia gialla restasse sulle spalle di Museeuw .
Dalle dichiarazioni del dopo corsa, infatti, il d.s. pare infastidito da quello che giudica un incidente di percorso e non lesina critiche al suo corridore, colpevole di non avere rispettato le regole di scuderia. “Una sciocchezza”, secondo lui, quello che ha combinato.
Ma che doveva fare, Vanzella? Rialzarsi e attendere il gruppo? Secondo Ferretti – che sembra aver dimenticato di essere stato anch’egli un gregario – parrebbe proprio di sì.
Forse alla vicenda non sono neppure estranei Cassani e Vona i quali si complimentano con il loro compagno di squadra: nel latente conflitto italo-belga stavolta l’hanno spuntata i corridori nostrani.

Il sogno in giallo dell’atleta veneto proseguirà anche il giorno successivo, nella seconda frazione britannica vinta da Minali.
Poi, al ritorno sul continente, perderà la maglia in Bretagna, nella tappa di Rennes. Un’inezia, sei secondi appena, ma il simbolo del primato finirà sulle spalle di Sean Yates.
E’ la vendetta di Museeuw che, stavolta, non ha messo alla frusta i suoi per raggiungere il gruppetto dei fuggitivi e che – soprattutto – non ha dimenticato lo sgarbo di due giorni prima.
Rientra nei ranghi, Vanzella, ma una soddisfazione se la toglie comunque: nella lunga crono di Bergerac precede il suo capitano di un secondo, giusto per ricordargli che non è un signor Nessuno e che se anni prima aveva vestito la maglia iridata nella cento chilometri a squadre non era stato per caso.

La carriera di Vanzella sarebbe proseguita sino al 1998, impreziosita dal successo nel Giro del Veneto del 1995 e, nello stesso anno, da una tappa nel Giro della Svizzera.
Però quei due giorni in giallo gli sarebbero rimasti nel cuore: le interviste, le foto, i baci delle miss, che momenti!
Oggi Vanzella è un apprezzato produttore di vini e se apre una bottiglia di Prosecco si ricorda di quando, sul palco della premiazione, stappava quella riservata al primo in classifica.
Preferisce il suo vino, s’intende, ma il sapore di quello champagne sorseggiato in terra britannica lo riconoscerebbe ancora oggi, a distanza di tanti anni: è il sapore della maillot jaune, il sapore del Tour.

Mario Silvano

Commenta la notizia