CONTADOR CONTRATTO SOFFRE ANDY ONDA ANOMALA; PER LA TAPPA, GLI ULTIMI SARANNO I PRIMI
Le vent nous portera. Il vento che si alza a mezzogiorno spezza in due la prova odierna, schiaffeggiando i migliori della classifica con manate di minuti in faccia. Ne nasce una crono conclusiva in cui contrariamente alla tradizione gli specialisti puri (anche per questo anticipati dalla propria classifica fino alla partenza mattiniera) estromettono dalla top ten gli uomini di classifica. Forse le folate contrarie condizionano anche il duello tra i primi due, ben più tirato dell’immaginabile.
Foto copertina: Alberto Contador al momento della premiazione: la maglia gialla è ancora sua (foto Roberto Bettini)
“Je n’ai pas peur de la route”, non ho paura della strada, recita l’inizio della canzone “Le vent nous portera” dei Noir Desir, nati proprio a Bourdeaux. La paura oggi sarebbe stata l’avversaria vera di Alberto Contador, pressoché appaiato al rivale Andy Schleck ma chiamato a confermare – con tutto da perdere – un pronostico che lo predestinava come favorito nella sfida alle lancette.
“Infinité de destins / On en pose un et qu’est-ce qu’on en retient? / Le vent l’emportera / Pendant que la marée monte / Et que chacun refait ses comptes”. Infinità di destini: se ne perde uno e poi cosa ne rimane? Il vento lo porterà con sè, mentre la marea sale e ognuno rifà i propri conti. Già: la strada è infinità di destini, una foratura, una caduta, una ruota storta, un salto di catena. Quando si conta sui secondi la marea monta prima che si riesca a reagire, e affogare annaspando nelle proprie ansie è una questione di istanti.
Il Tour si era trascinato penosamente, anestetizzato per venti giorni, torpido e quasi insultante su e giù per i profili acuminati delle grandi montagne che non riuscivano a incidere che minime differenze nella classifica (tra i primi due, ma non solo: si pensi a un Menchov clamorosamente prossimo a rientrare in gioco, e forse perfino vincente senza le sceneggiate di Spa); ma nei 50km di una crono che pareva già scritta, la lotta si infiamma e veri brividi percorrono gli spettatori mentre uno sforzo infine davvero totalizzante sfigura i contendenti, che approdano all’arrivo stremati.
Il vento soffia dove vuole, e stavolta comincia a soffiare cattivo di petto ai ciclisti. Chi pedala lo sa bene, non esiste un nemico più crudele del vento, nemmeno un muro al venti per cento. Non c’è rapporto che tenga, c’è solo la resa: o si abbassa la velocità, o si cede – cedere decorosamente, questa è l’unica speranza contro il vento – oppure si muore.
Questo elemento renderà assai ardua ogni valutazione tecnica sulle prestazioni relative degli atleti, se non per quanto riguarda i primi dieci di tappa, partiti piuttosto presto (con l’eccezione parziale di un Wiggins, effettivamente parecchio penalizzato dal meteo come già nel prologo). Cancellara vince, ma deve strappare la vittoria per pochi secondi al giovane Tony Martin: troppo veemente l’avvio del tedesco, lo svizzero prevale più d’esperienza (nonché di tenuta, dote che matura con gli anni) proponendo un finale in bel crescendo, con un paio di km orari in più erogati nell’ultimo terzo della competizione. Poi, ma ben distanziati, una lista di discreti passisti con predilezione per il cronometro: l’ex iridato Grabsch, “maglia nera” che è ultimo, parte primo, e chiude terzo – alla faccia dei discorsi su energie e forze disponibili –, poi Konovalovas che conferma le sue qualità per la terza settimana, Zabriskie, Moerenhout (per lui imminente il ritiro), Kiryenka, forse l’unica mezza sorpresa, benché non si ignorasse certo il suo fondo, l’altro Rabobank Tjallingi (con Menchov undicesimo, una giornata di gloria per gli “olandesi” in arancione), la coppia Sky di Wiggins e Geraint Thomas. Wiggins è già a 3’30” da Cancellara e probabilmente la tara che potremmo applicare per ragionare sul confronto tra prestazioni con o senza vento si aggira intorno a questa cifra.
L’effetto vento può essere stimato in modo interessante anche in base ad un altro fattore: i corridori che correvano con le condizioni peggiori si sono trovati a crollare seccamente dopo il primo intertempo, nel quale pure si sarebbero difesi efficacemente: Wiggins era terzo, Manchov settimo, un inesausto Vinokourov (esausto però alla fine!) ancora decimo.
Queste le premesse al contorno per le sfide che davvero erano destinate ad animare questa giornata guardando alla classifica generale.
Della prima e sulla carta più interessante, è presto detto: Menchov realizza una prestazione superlativa: rifila due, tre, quattro minuti agli altri uomini di classifica, e in men che non si dica demolisce le speranze di un Samuel Sanchez, che pure nelle crono di terza settimana ha espresso in passato valori eccellenti, ma che oggi, pur essendo terzo tra gli uomini di classifica battuto solo dal russo e da Contador, regala una prova troppo “normale” per opporsi alla classe del russo. Le botte, d’altronde, non si sentono il giorno stesso, come già ci insegnò il caso di Evans, bensì nei successivi. Caduta o non caduta, comunque, con un Menchov così ci sarebbe stato poco da fare.
Molto più emozionante risulta invece il duello tra Contador e Andy Schleck: il lussemburghese parte a tutto gas, e al primo intertempo supera perfino Contador di 2”. Diciamo la verità: è pur sempre… un quarto!… del distacco che Andy dovrebbe recuperare, e una mossa che ricorda tanto quella di Di Luca al Giro 2009; ma la situazione per Contador è emotivamente molto critica. Il rivale a cui avrebbe dovuto infliggere già una ventina di secondi gli ha invece rosicchiato una parte del minimo margine. Oltre tutto Contador sembra in estrema difficoltà nel rapporto con la prova atletica: si muove molto in sella, sia ondeggiando ma sia, e soprattutto, scivolando avanti e indietro; cambia spesso lato della strada, torce il collo lateralmente. C’è chi ipotizza problemi con la taglia del mezzo, con la componentistica tecnica (il grip della sella), oppure una giornata negativa. Qualche commentatore tecnico azzarda perfino che Contador stia “correndo su Schleck”, basandosi sul tempo del rivale per andare con riserva e affondarlo nel finale; una tesi che però si scontra con la sofferenza dello spagnolo e soprattutto con l’ovvietà che per una strategia simile sarebbe stato d’uopo mettere in cascina al più presto almeno un’altra dozzina di secondi, prima di gestire.
In attesa delle interviste, immediate o posteriori, che ci consegneranno – speriamo – una spiegazione sui patimenti di Alberto, una prima plausibile risposta arriva dalla bilancia: Contador è l’atleta di gran lunga più leggero fino alla sua posizione di classifica, lo avvicinano a stento (comunque entrambi con 3kg di più) Popovych, che gli infligge 10”, e Chris Sorensen, che lo precede di meno di un minuto. In una situazione di vento molto significativo, questo dato è assai importante. Lo stile improntato al ritmo di Contador è penalizzato rispetto a quello di atleti più dediti alla potenza – si pensi al successo di Menchov – e oltre a ciò la mera inferiorità in termini di massa costituisce un bel limite in queste condizioni. Contador, tolto Menchov, è comunque il migliore tra gli uomini di classifica, il che – unito alle considerazioni precedenti – spinge a ridimensionare la portata della “debacle”, almeno rispetto alle aspettative, da parte dell’iberico. Osservando la classifica risulta abbastanza evidente un’altra conseguenza delle condizioni al contorno, siano esse la ventosità, o anche la più generale fatica di un Tour molto più caratterizzato dall’accumulo di tossine che quello 2009: la contrazione dei valori è fortissima, i distacchi sono ridotti in senso lato, tra chi fino a ieri era un protagonista; Van den Broeck, Horner o Luis Leon Sanchez restano intorno al minuto e mezzo da Contador, perfino un disastroso Gesink è a 2’, il solo peso piuma Joaquin Rodriguez va incontro a un crollo davvero verticale. Si potrebbe credere che il distacco ridotto sia dovuto solo alla prestazione in tono minore di Contador, ma che dire osservando lì intercalati atleti di ogni schiatta, da un Petacchi a un Sastre? Possibile dunque che il margine tra Contador e Schleck sia ridotto non per “sottrazione” o “addizione” di valori atletici, quanto per “compressione” delle differenze.
Ciò si sovrascrive naturalmente a un Contador che ha corso nei prodromi stagionali del Tour molto di più e molto meglio che non Schleck, il che in una fase di iperspecializzazione (si scorra la top ten e si rifletta sul tema… O magari si scorra la classifica ben più sotto per trovare i protagonisti di altre grandi corse a tappe e non) è indubbiamente un punto rilevantissimo. Pare inoltre di poter affermare che qualcosa sia mutato nella preparazione dello spagnolo, apparso più leggero, più reattivo, più esplosivo entro i 5-10’ (specie se fuori da un contesto di sforzo prolungato), ma genericamente meno potente; forse un lavoro mirato a rendere nelle classiche, dove è apparso ben più prestante che Andy, o anche pensato per reggere un Tour con molti dislivelli e incentrato sull’estenuazione.
Schleck è viceversa autore di una prestazione comunque sconvolgente, a prescindere dal fisiologico calo finale dopo una partenza allo sprint mirata a far pressione sul rivale. Anzi, si può dire che il calo sia stato, permettendoci un calembour senza malizia, “meno fisiologico” di quanto si potesse temere. Più in generale il cenno a Chris Sorensen di cui sopra ci porta a guardare la classifica per squadre, dominata da Saxo e HTC Columbia in modo devastante. In particolare la Saxo si segnala, ancor più che per il trionfo di Cancellara, per aver condotto il numero impressionante di cinque uomini nei primi trenta, ma – dato ancor più straniante – per aver tra questi cinque due scalatori come lo stesso Chris e il promettentissimo Fulgsang. Partiti, oltretutto, con vento già alto. Andy va dunque a iscrivere la propria performance in un panorama di squadra dai contorni nettissimi… anzi probabilmente la sua notevole prestazione non ha mutato proporzioni rispetto ai riferimenti interni alla squadra! A parte queste peculiarità, sarà da verificarsi se questa novità di un Andy cronoman, preannunciata ma solo come pura astrazione dal risibile titolo nazionale di specialità, troverà conferme in futuro, prefigurando così un’evoluzione atletica che a molti altri atleti amanti della salita ha portato solo disgrazie. Se però disgrazie non saranno per Andy, come gli auguriamo di cuore, lo saranno per i suoi rivali, destinati a dormire sonni meno tranquilli sui cuscini dei “minuti” affibbiabili in crono al giovane lussemburghese.
La “fine della storia” dirà di un Contador capace, a differenza di Schleck, di aumentare leggermente il livello dell’erogazione nel finale, dopo le difficoltà della fase centrale, e di guadagnare così 31” sul rivale. Visi e corpi tirati finalmente al limite dopo tanti giochetti restituiscono dignità a due duellanti che in molti – e spesso noi stessi – avrebbero voluto veder superati dalla maestà operaia di un Menchov, anche solo per punirli dei molti affronti inflitti all’epica e all’estetica del ciclismo a partire dal Ventoux 2009.
Rammarico umano per Samuel Sanchez, più conservativo del suo solito ma molto efficace e sempre particolarmente “resilient”, sovrastato solo da un Menchov come si è detto in giornata di grazia (e quanto valore assume quel Giro 2009 alla luce di una più credibile stima del peso di questo atleta). Kreuziger ancora una volta anonimo, Hejsedal che conferma come la Garmin sappia inventarsi sempre dal nulla qualcosa o qualcuno anche a fronte di raffiche di infortuni (crono mediocre, ma il crollo a picco dell’altrimenti bravissimo J. Rodriguez, scalatore purissimo vecchio stampo, lo aiuta).
Concludiamo con due note pesantemente negative, riferite a elementi più o meno estranei al dato sportivo: il primo è per la giornalista RAI addetta alle interviste, che avendo iniziato da giorni a tifare spudoratamente per il giovane Schleck cede letteralmente alle lacrime dopo la sconfitta del proprio pupillo (e fin qui, è un lato umano che si può anche benignamente tollerare), ma che – quel che sì è più grave – dedica tutte le proprie attenzioni al secondo arrivato e alle sue pene, ignorando del tutto quanto potesse riguardare emozioni, atti e imprese del (quasi) vincitore del Tour. Quando il versante umano comporta un danno professionale, forse è il caso di porvi una misura. La seconda nota, questa forse inerente anche al dato sportivo, riguarda gli organizzatori. Già in passato abbiamo avuto modo di segnalare gravi inesattezze nelle altimetrie dei finali di tappa, che potrebbero anche aver condizionato lo svolgimento di gara (o almeno talvolta così è perfino parso!). Quest’oggi viene proposta invece televisivamente – quindi a portata dei tecnici in ammiraglia, con possibili conseguenze sportive – una “misurazione” gps dei distacchi in tempo reale, proposti però come “classifica virtuale”. Non c’è bisogno di dire che il riscontro dell’occhio umano sui riferimenti stradali, ma perfino i rilevamenti ufficiali all’intertempo, hanno smentito questi dati per tutta la prima metà di gara. Una confusione davvero negativa, che tendeva – non sappiamo quanto in buona fede – a mostrare come ancor più serrata la lotta sul margine tra i due atleti. Una macchia non da poco che, non fosse stato Contador un atleta solido e ben pilotato, avrebbe potuto avere pesanti ricadute. Comunque, una scorrettezza verso il pubblico.
Gabriele Bugada