BATTI UN CINQUE – 1961, IL SECONDO TOUR DI ANQUETIL
Dopo l’exploit del 1957 bisogna attendere quattro anni per rivedere Anquetil vincere il Tour de France. Nelle stagioni precedenti è stato messo alle corde in salita ed è riuscito a vincere il Giro del 1960 per soli 28 secondi. Ma nel 1961 torna a farsi vedere il normanno che aveva dominato il suo primo Tour, complice un avversario numero uno, Charly Gaul, che non rende più in salita come prima e ha già imboccato la strada che lo porterà al ritiro dalle competizioni. Alla fine il corridore che gli giungerà più vicino sarà l’italiano Guido Carlesi, premio di consolazione per la nazionale azzurra che avrà comunque modo di gioire grazie alla vittoria di Guido De Rosso nella parallela prima edizione del Tour de l’Avenir.
Non ebbe vita facile Anquetil negli anni suiccessivi il suo exploit al Tour del 1957.
Prese le misure del loro nuovo avversario, i suoi rivali si attrezzano e riescono a batterlo, non solo in salita ma anche sul suo terreno di gara. Così al Tour del 1958 il lussemburghese Charly Gaul riesce a precederlo, anche se solo per sette secondi, nella crono di Châteaulin e poi anche nella cronoscalata del Mont Ventoux e nelle tappe di montagna: si scoprirà qualche giorno più tardi che Jacques durante quel Tour covava in corpo, senza saperlo, una congestione polmonare che ne aveva condizionato il rendimento e che lo costringerà al ritiro alla vigilia della penultima tappa, proprio quella cronometro lunga alla quale tanto puntava. Perfettamente ristabilito, nel 1959 decide di puntare alla doppietta Giro-Tour, ma finisce per “prenderle” in entrambe le corse, terminando in seconda posizione la Corsa Rosa – ancora dietro a Gaul – e in terza la Grande Boucle, dove meglio di lui fanno il connazionale Henry Anglade e lo spagnolo Federico Bahamontes, quell’anno maglia gialla. Anche nel 1960 inserisce nei programmi il Giro – è l’anno del debutto del Gavia – e lo vince a fatica riuscendo a prevalere per soli 28”. Il corridore giunto secondo è Gastone Nencini, che Jacques già aveva visto all’opera al Tour del 1957 e che sa essere iscritto al Tour che prenderà il via due settimane più tardi: così il campione francese, che teme la terza sconfitta consecutiva nella corsa di casa, il giorno della conclusione del Giro annuncia che al Tour non ci andrà e che a vincerlo sarà Nencini. Ed è proprio quello che accadrà perché il 18 luglio del 1960 i quotidiani italiani annunceranno la vittoria finale del “Leone del Mugello”, giunto a Parigi con 5 minuti di vantaggio su un altro corridore italiano, il correggionale Graziano Battistini.
Per ritrovare l’Anquetil che aveva monopolizzato il Tour del 1957 bisogna aspettare l’edizione del 1961, che scatta dalla sua Rouen, forse uno sprone voluto dagli organizzatori per accattivarne la partecipazione. E anche questo è un Tour che il francese affronta dopo aver preso parte al Giro d’Italia, dove ha vinto la lunga crono di Bari e ha nuovamente concluso la corsa in seconda posizione, preceduto di 3’45” dal romagnolo Arnaldo Pambianco, mentre Gaul stavolta non è riuscito a superarlo, anche se per soli 37 secondi. Nonostante non riesca più a vincere il Tour da quattro anni è lui il favorito numero uno per la vittoria, anche perché Gaul, pur avendo solo un paio di anni più di lui, sembra aver già imboccato la strada che lo condurrà alla fine della sua carriera due stagioni più tardi. E non si vedono altri corridori in grado di combattere ad armi quasi pari con il corridore francese, che, in effetti, si imporrà in questa edizione con distacchi importanti, anche se inferiori rispetto a quelli che aveva impresso in classifica quando si era cimentato per la prima volta con il Tour nel 1957. La nazionale azzurra – che per la prima volta dal 1950 non ha come commissario tecnico Alfredo Binda, sostituito da Antonio Covolo – schiera comunque corridori interessanti come il già citato Battistini, lo scalatore vincentino Imerio Massignan, primo uomo al comando sul Gavia, il trevigiano Vito Favero – che era giunto secondo nel Tour vinto da Gaul nel 1958 – e il toscano Guido Carlesi, che alla fine sarà il primo dei battuti, un piazzamento che riuscirà a guadagnare all’ultimo giorno di gara invertendosi per soli due secondi con Gaul.
Si inizia con il successo allo sprint del francese André Darrigade, un “habituè” della vittoria nella prima tappa del Tour, che ha conquistato per quattro volte tra il 1956 e il 1961, saltando l’appuntamento soltanto nel 1960. “Dédé” vince a Versailles precedendo in volata l’emiliano Mario Minieri in una prima frazione che già vede Anquetil protagonista, infilatosi nella fuga di 15 corridori – tra i quali c’è Carlesi – giunta al traguardo con quasi 5 minuti di vantaggio sul grosso nel gruppo, nel quale ci sono Gaul e gli altri italiani più interessanti.
“Jacquot” è già in perfetto orario, anzi in anticipo di qualche ora perché lo si aspettava in grande spolvero per il pomeriggio della stessa prima tappa, quando Jacques Goddet ha programmato una cronometro di 28 Km e mezzo. Il verdetto della prova contro il tempo è impressionante perchè Anquetil affibbia ai rivali distacchi mostruosi se paragonati alla distanza da percorrere: se nella crono di Bari del Giro, che era lunga 55 Km, aveva dato quasi tre minuti ai corridori che più gli erano arrivati vicini, al termine di un percorso lungo la metà riesce a distanziare di 2’32” il connazionale Albert Bouvet e di 2’39” l’italiano Battistini, mentre Gaul incassa subito un “diretto” di 2’55”. Per quanto riguarda gli altri azzurri, Massignan è 9° a 3’18” e Carlesi 37° a 4’55”: il predominio del francese è così netto che nessuno, da qui a Parigi, riuscirà a togliergli di dosso la maglia gialla.
Con gli avversari letteralmente annichiliti dalla prestazione di Anquetil il giorno dopo si disputa la tappa del pavè, 230 Km per viaggiare da Pontoise alla volta di Roubaix, dove anziché contare i distacchi di una tappa poco selettiva – bis di Darrigade in volata, gruppo dei migliori compatto con il solo Carlesi che riesce a precederlo di una manciata di secondi – si contano i feriti caduti sul campo. La tappa è, infatti, caratterizzata da almeno sette cadute, due delle quali mandano a terra una trentina di corridori, con sei di questi costretti al ricovero in ospedale e al conseguente ritiro dal Tour: uno dei più gravi è un italiano, il biellese Ezio Pizzoglio, che riporta fratture multiple al cranio e che per un lungo periodo faticherà a ritrovare la parola.
Si supera una prima volta il confine di stato per una tappa diretta a Charleroi attraverso il Muro di Grammont. Su quelle stesse strade quattro anni prima la nazionale francese aveva orchestrato un attacco che aveva permesso ad Anquetil di guadagnare parecchio sugli avversari e in particolare su Nencini (quasi undici minuti di ritardo). Memore di questo precedente i transalpini provano ancora far saltare il banco, ma stavolta la nazionale italiana si fa trovare pronta e, dopo aver accusato un minuto di ritardo, reagisce e si riporta sul gruppo all’attacco per poi ritrovarsi lei stessa nel ruolo di attaccante grazie ad un’offensiva scatenata da Carlesi. Dopo aver fatto sprecare tante energie ai francesi la tappa vede i migliori giungere tutti assieme al traguardo, dove s’impone il belga Emile Daems mentre tra i nostri l’unico a pagare è Favero che, fiaccato da una tappa condotta a oltre 39 Km/h, accusa più di venti minuti di ritardo.
Tanti saliscendi movimentano la tappa che riporta la corsa in Francia, ideali trampolini di lancio per una fuga da lontano. E la fuga parte quando si sono messi alle spalle i primi 30 dei 237 Km che si devono percorrere per andare a Metz e a portarsi al comando sono due francesi, Bernard Viot e Jean Forestier, che nel 1957 proprio grazie ad una fuga simile era riuscito a portarsi al comando della classifica. Guadagnano fino a 8’45” poi Anquetil fa la voce grossa con Marcel Bidot, commissario tecnico della nazionale transalpina, perché non c’è collaborazione all’inseguimento e si corre il rischio che Forestier gli porti via la maglia. Stavolta non vuole concedere nulla a nessuno e ordina così a Bidot di recarsi da Forestier e intimargli di rallentare: il compagno di squadra di Jacques obbedisce con rassegnazione, ma la fuga continua ugualmente a guadagnare e raggiunge i dieci minuti di vantaggio fin quando è la nazionale italiana a prendere in mano le redini dell’inseguimento. È poi Viot, che corre per una delle nazionali francesi regionali, a ricevere l’ordine di rallentare, nello stesso momento nel quale Forestier rompe gli indugi e scatta. Alla fine il vantaggio precipita e i due sono ripresi a 20 Km dal traguardo, mentre si susseguono altri tentativi, fino a quello decisivo del terzetto che va a giocarsi la vittoria, conquistata dal francese Anatole Novak, il corridore più alto del Tour.
Nella medesima squadra di Novak, la regionale francese del Midi-Centre, corre anche il corridore più basso di questa edizione della corsa, Louis Bergaud, la “Pulce del Cantal” che curiosamente gli succede nell’albo d’oro vincendo il giorno successivo la tappa di Strasburgo, che propone le prime salite vere del Tour 1961. Ma le inclinazioni dei Vosgi – si deve salire prima sul Col du Donon e poi sul Champ du Messin – si rivelano abbastanza tenere e nessuno tra gli avversari di Anquetil prova a metterlo in difficoltà, nemmeno quando nella fuga decisiva s’infila Jos Hoevenaars, che da qui a Parigi potrebbe rivelarsi un osso duro per il piazzamento in classifica alle spalle del francese. Il corridore belga, infatti, al Giro dell’anno prima si era piazzato quinto in classifica dopo aver vestito per dieci giorni la maglia rosa e in questa frazione è riuscito a guadagnare quasi 4 minuti, anche se è ancora lontanissimo da Anquetil e Carlesi, attualmente miglior italiano in classifica con 5’22” di ritardo dal francese.
Poco selettiva si rivela anche la successiva tappa di Belfort, più difficile della precedente perché si deve salire sul Ballon d’Alsace. Gli avversari di Anquetil provano a renderla ancor più impegnativa con una serie di pericolose fughe a ripetizione intentate nel velocissimo avvio di gara, quando la velocità supera i 50 Km/h. Il francese non si fa, però, mai prendere in castagna, almeno fin quando non gli scappano due corridori del calibro del nostro Battistini, secondo al Tour dell’anno prima, e dell’irlandese Seamus Elliott, che nonostante i “natali” corre nella nazionale britannica. Ci vuole una mezz’ora buona per andare a riprenderli, più avanti ci provano Massignan e nuovamente Battistini, ma stavolta la reazione del francese è pronta e annichilisce nuovamente gli avversari, che neanche ci provano a infastidirlo sull’atteso Ballon d’Alsace. All’arrivo i migliori sono così nuovamente tutti assieme, preceduti al traguardo di quasi cinque minuti dall’arrivo solitario del belga Joseph Planckaert, che prima che iniziassero le salite si era infilato in un tentativo di cinque corridori al quale Anquetil aveva lasciato via libera.
Affrontate senza troppi scossoni le prime montagne il Tour si dirige ora verso il centro della Francia con una tappa sulla carta di trasferimento che per la nazionale francese si rivela, invece, molto dispendiosa. Riesce, infatti, ad andare in porto una fuga da lontano che rischia di levare la maglia gialla ad Anquetil e al cui inseguimento non contribuiscono né Gaul, né la nazionale belga – i cui corridori erano stati accusati dal francese di aver tentato di farlo cadere nella precedente frazione – né quella italiana perché nel tentativo si era inserito il veronese Adriano Zamboni. Ricaduto tutto sulle spalle dei transalpini, il lavoro di ricucitura permette loro di ridurre a 6’33” il vantaggio dei corridori al comando, tra i quali ci sono anche il francese Jean Stablinski, che si impone in quel di Chalon-sur-Saône, e lo spagnolo Fernando Manzaneque (quello della scazzottata con Vito Taccone al Tour del 1964), che a un certo punto di questa frazione si era trovato a essere ad un passo dalla maglia gialla virtuale e che ora è secondo in classifica a 4’37” dal primato di Anquetil.
Alla vigilia delle Alpi si arriva a Saint-Étienne, dove sono previsti due arrivi di tappa lo stesso giorno ma di due corse differenti: il 2 luglio viene, infatti, tenuta a battesimo la prima edizione del Tour de l’Avenir, la Grande Boucle riservata ai dilettanti, la cui prima frazione è vinta dal francese Jean-Claude Lebaube. Diretta da Elio Rimedio, nella nuova corsa è in gara anche la nazionale “cadetta” che alla fine tornerà in Italia con il bottino maggiore, sei vittorie di tappa consecutive e, soprattutto, la classifica generale finale conquistata dal trevigiano Guido De Rosso con 38” di vantaggio sullo spagnolo Francisco Gabica. La parallela corsa dei professionisti si risolve anche oggi con una fuga, stavolta concessa da Anquetil che così si fa perdonare per lo “sgarbo” fatto qualche giorno prima al suo compagno di squadra Forestier, fermandolo mentre era al comando della corsa: è proprio lui a vincere, dopo esser evaso dal gruppo assieme al connazionale Stéphane Lach ed essere giunto al traguardo quattro minuti prima dei migliori.
Arriva il momento della prova del nove per Anquetil, che nelle ultime stagioni le ha sempre “prese” in salita, anche se le tre frazioni disegnate attraverso la catena alpina non sembrano particolarmente accidentate. Deve in particolare guardarsi le spalle da Gaul ed è proprio lo scalatore lussemburghese a pugnalargliele nella tappa che si conclude in discesa a Grenoble dopo aver scavalcato nel finale il tridente costituito dalle ascese ai colli del Granier, del Chucheron e di Porte. Davvero di pugnalata si può parlare perché “l’Angelo della Montagna” sceglie un momento di difficoltà dell’avversario per attaccarlo, quando Anquetil si è dovuto fermare per fare sostituire una ruota (in precedenza aveva forato e un suo compagno di squadra gli aveva ceduto la sua, che però era fornita di rapporti inadatti alle salite). Il lussemburghese arriva a guadagnare fino a 3 minuti in vetta al Cucheron, poi rischia di compromettere il lavoro fatto osando eccessivamente nella successiva discesa, lungo la quale ruzzola a causa dell’asfalto bagnato. Riparte ferito, ma riesce a stringere i denti sino al traguardo, dove giunge con un vantaggio quasi dimezzato su Anquetil, che sarebbe potuto essere maggiore se non avesse azzardato troppo in discesa. Ma il lussemburghese è stato l’unico a guadagnare sul francese, che ha terminato la prima tappa alpina assieme a Massignan, al tedesco Hans Junkermann e al secondo della classifica Manzaneque, mentre tutti gli altri si sono nuovamente piegati all’asso normanno: in particolare Carlesi ha perduto quasi due minuti, mentre Battistini è vittima di una grave crisi che lo porta ad accusare al traguardo un passivo di più di dodici minuti.
C’è particolare attesa tra gli italiani per la tappa del giorno successivo, perché si deve arrivare in Italia dopo esser saliti prima sulla Croix-de-Fer e poi sul Moncenisio. Una novantina di chilometri dopo la cima dell’ultima ascesa il traguardo è fissato presso lo Stadio Comunale di Torino, dove rimangono delusi i circa tremila tifosi accorsi, desiderosi di applaudire il successo di un nostro connazionale. La vittoria, infatti, se la giocano due corridori francesi scappati a una ventina di chilometri dalla partenza e rimasti al comando per i successivi 230 km – nell’ordine si classificano Guy Ignolin ed Emmanuel Busto – mentre il gruppo degli assi, oggi assai poco belligeranti, taglia il traguardo a quasi un quarto d’ora dai primi due, preceduto di un minuto e mezzo circa dall’arrivo solitario dell’umbro Carlo Brugnami.
Bisogna attendere il rientro del Tour in Francia per assistere al primo dei tre successi italiani, colto da Carlesi sul traguardo di Antibes, al quale si giunge al termine dell’ultima frazione alpina. Un altro azzurro protagonista della giornata è Massignan, che transita in testa su tutte e tre le salite previste – i colli di Tenda (fino al traforo), di Brouis e di Braus – consolidando il proprio primato nella classifica dei Gran Premi della Montagna, all’epoca non contraddistinta da una maglia da far indossare al titolare, assegnata per la prima volta nel 1975. È nel corso della discesa dal secondo colle che entra in scena Carlesi, che si lancia solitario all’attacco e arriva a guadagnare una trentina di secondi prima di essere ripreso a 2 Km dalla vetta del Braus. Non succede più nulla d’emozionante fino al rettilineo d’arrivo, sul quale si fionda un gruppo di una ventina di corridori nel quale non ci sono né Battistini, ritiratosi dal Tour dopo aver tamponato violentemente un’ammiraglia ferma in coda sul Brouis, né Brugnami, che si porta addosso i dolorosi segni di una caduta avvenuta il giorno prima nella discesa dal Moncenisio, quando era stato colpito da un secchio sfuggito di mano a un tifoso che voleva lanciargli dell’acqua. Le due brutte notizie vengono, però, mitigate via dalla bella vittoria di Carlesi, che sulla pista d’atletica del Fort Carré riesce a precedere il re del Tour Anquetil, che al termine della tre giorni alpina si ritrova ad avere in classifica 5’37” di vantaggio su Manzaneque, 6’33” su Gaul e 7’13” sul corridore toscano.
All’affermazione di Carlesi replica quella di Guido De Rosso, che il giorno successivo s’impone per distacco ad Aix-en-Provence nella frazione del Tour de l’Avenir che si disputa sul medesimo tracciato che lo stesso giorno affrontrano anche i professionisti, tra i quali emerge il belga Michel Van Aerde, in fuga assieme ad altri undici corridori tra i quali c’è l’italiano Renzo Accordi. Per i nostri c’è da registrare un altro ritiro perché, ventiquattrore dopo Battistini, anche Brugnami è costretto a mettere piede a terra e salire in ammiraglia.
Un’altra tappa priva di particolari sussulti è quella che arriva a Montpellier, dove Darrigade ottiene la sua terza vittoria mentre il c.t. della nazionale azzurra Covolo affligge una multa di centomila lire (corrispondenti a 1290 euro odierni) al toscano Guido Boni per punirlo dopo essersi rifiutato di aiutare Brugnami a portare a termine la frazione del giorno precedente. Lo minaccia anche di spedirlo a casa ma non sarà lui a farlo perché il destino ha riservato anche per Boni una caduta e il giorno successivo – quando è in programma il riposo – è costretto pure lui ad abbandonare la corsa e farsi ricoverare all’ospedale di Montpellier.
Se la nazionale italiana dei “grandi” sta attraversando un momentaccio, nonostante la buona posizione di Carlesi in classifica e il primato di Massignan tra gli scalatori, un clima esattamente opposto sta vivendo la squadra diretta da Rimedio che, mentre i professionisti si godono il meritato riposo a Montpellier (c’è anche chi, come Gaul, opta per trascorrerlo in una vicina località balneare), stavolta riporta la vittoria con l’alessandrino Giorgio Zancanaro.
Dopo il riposo si riparte con la più breve tra le venti frazioni in linea del Tour, 174 Km da percorrere per andare a Perpignano, dove a essere protagonisti sono ancora i corridori in fuga, sia nella tappa dell’Avveniere, sia in quella dei professionisti: la prima finisce ancora per arricchire il palmarès della pattuglia italiana grazie alla vittoria del romano Clay Santini, la seconda è conquistata dal belga Eddy Pauwels.
Alla vigilia dei Pirenei, sui quali il Tour si fermerà per due impegnative frazioni molto più toste rispetto a quelle alpine, si corre un’ennesima tappa di trasferimento che si conclude inaspettatamente con la vittoria di Carlesi. Il corridore toscano decide di festeggiare il primo compleanno del figlio dedicandogli un successo che riesce a cogliere partendo improvvisamente a 5 Km dal traguardo di Tolosa, sorprendendo il gruppo “spompato” da un precedente inseguimento e andando a riprendere i corridori che si trovavano in testa alla corsa per poi precederli allo sprint. Il tempo fisicamente guadagnato su Anquetil e Gaul è poco, soli sei secondi, ma l’aggiunta dell’abbuono di un minuto riservato al vincitore gli consente di scavalcare il lussemburghese in classifica e di portarsi al terzo posto a poco meno di sei minuti dalla maglia gialla. E ancora si festeggia in casa Italia per un successo tra i “puri” all’Avvenire, firmato in questa occasione da Gilberto Vendemiati, il ferrarese che l’anno successivo inaugurerà l’albo d’oro del Giro della Valle d’Aosta.
I Pirenei vedono quest’anno il debutto della salita di Superbagnères, che accoglie il Tour in una giornata meteorologicamente infernale a causa di un nubifragio che a tratti si trasforma in grandine ed è accompagnato da un vento fortissimo, impetuoso al punto che l’organizzazione si vede costretta a smontare lo striscione del traguardo, mentre i giornalisti presenti all’arrivo vanno a rifugiarsi dietro un muretto dal quale, di tanto in tanto, fanno capolino per controllare la situazione di corsa, sperando di non essere centrati da “oggetti volanti”. Il vento rischia anche d’ostacolare la marcia dei corridori e in particolare quella dell’italiano Massignan, che riesce a fare il vuoto ma si becca una violenta folata in senso contrario che lo lascia in “souplesse” e lo rispedisce nel gruppo. Poi ci riprova con più successo e, bruciata l’ultima curva, con la stessa violenza con la quale spirava il vento fa un giro di 180° e si pone alle spalle dello scalatore vicentino, permettendogli di arrivare quasi senza sforzo sull’inedito traguardo, che taglia precedendo di 8” Carlesi, di 14” Junkermann, di 16” Anquetil e Gaul e di 22” Manzaneque. Se per la maglia gialla i giochi di fatto non si sono mai aperti, la lotta è ancora accesissima per il podio perché oggi Carlesi è risalito al secondo posto, a 5’29” da “Jacquot”, precedendo di 14” Manzaneque e di 1’04” Gaul. Più fortuna dei professionisti hanno avuto i dilettanti, che hanno gareggiato prima che si scatenasse il maltempo e che hanno visto imporsi per la quinta volta di fila un italiano: a Superbagnères è giunto per primo De Rosso, che oltre a bissare il successo ottenuto nella quinta tappa si porta al comando della classifica, togliendo per quasi un minuto e mezzo la maglia gialla allo spagnolo Gabica.
L’ultima occasione per gli scalatori è offerta dalla Luchon – Pau, classica cavalcata di 197 Km che propone quattro storici colli concentrati nei primi 140 Km, Peyresourde, Aspin, Tourmalet e Aubisque. Ma si vedono ben pochissimi attacchi tra i corridori in lotta per il podio e alla fine i “big” giungono tutti assieme al traguardo, regolati in volata da Carlesi che però deve accontentarsi del piazzamento del sesto posto perché di questa situazione ne ha approfittato un piccolo manipolo di coraggiosi che è riuscito a precedere di quasi 4 minuti il gruppo e nel quale c’è Pauwels, il belga che a Pau bissa il successo ottenuto qualche giorno prima a Perpignano. È l’ultima tappa di montagna anche per il Tour de l’Avenir, che si disputa sulla seconda parte della frazione dei professionisti e che termina ancora con un’affermazione italiana (s’impone il trevigiano Bruno Fantinato e sarà l’ultima vittoria dei nostri), mentre De Rosso viene attaccato sull’Aubisque da Gabica, ma i trenta secondi accusati dalla maglia gialla in vetta al colle vengono totalmente annullati nel corso della successiva discesa.
Dopo la tappa di Bordeaux, vinta dal belga Martin Van Geneugden, entrambe le corse propongono un’attesa tappa a cronometro, ma in luoghi differenti. I futuri professionisti gareggiano in circuito attorno a Limoges, su di un anello di 42 Km che vede l’elvetico Erwin Jaisli viaggiare più veloce di tutti e la maglia gialla De Rosso perde 48” dal diretto rivale di classifica Gabica, conservando per 38” le insegne di un primato che non sarà più messo in discussione da qui a Parigi. Non c’è, invece, storia per l’esito della Bergerac – Périgueux dei “grandi” per quanto riguarda la vittoria di tappa, predestinata ad Anquetil che percorre 74 Km e 500 metri in 1h42’32”, alla media di 43.595 Km/h, distanziando di tre minuti Gaul. Si battaglia apertamente, invece, per il podio con il lussemburghese che riesce a far meglio di 38” (i quali aggiungerne trenta d’abbuono, previsti anche nelle cronometro) di uno sfortunato Carlesi, rallentato da ben tre forature, e si riprende per soli quattro secondi il secondo posto in classifica.
È stato l’abbuono a levare il secondo posto in classifica a Carlesi e il toscano vuol proprio sfruttare quelli in programma all’arrivo di Tours, l’indomani, per riprendersi quello che la sfortuna più che l’avversario gli ha portato via. Gli va male il colpo, però, perché sono previsti solo per il primo classificato (ben un minuto, come già detto) e il primo dei battuti (i trenta che il giorno prima si era intascato Gaul) e lui a Tours si ferma solamente al terzo posto, preceduto allo sprint da Darrigade e Viot.
A disposizione di “Coppino” rimane solo la tappa conclusiva con arrivo al velodromo del Parco dei Principi, sulla cui pista si vede in testa a tirare nientepopodimenoché Anquetil, che s’impegna nel lanciare la volata al suo compagno di squadra Robert Cazala, vittorioso nella capitale francese. Anche stavolta a Carlesi sfuggono gli abbuoni ma non l’occasione di distanziare Gaul, che riesce a staccare durante l’ultimo chilometro, nel quale il lussemburghese si trova costretto a frenare dopo che davanti gli sono cascati due gregari. Così il toscano riesce a recuperare sei secondi all’Angelo della Montagna, un’inezia ma che gli basta per riprendersi definitivamente il secondo posto per appena due secondi.
Un paio di battiti di ciglia per un sogno che si avvera, perché raggiungere e superare il normanno che vola a cronometro in quel momento è pura utopia.
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE
Nota: presenti solo le due frazioni alpine, le tre pirenaiche e la cronometro di Périgueux.