BATTI UN CINQUE – 1971, IL TERZO TOUR DI MERCKX (e un po’ di Ocaña)
Sembrava essere l’anno buono per Ocaña, lanciatissimo verso il successo al Tour de France dopo aver acquisito un vantaggio favoloso sulle Alpi. Invece, la sfortuna si scaglierà contro lo scalatore spagnolo estromettendolo dalla corsa alla prima frazione pirenaica e spianando così la strada al terzo successo di Merckx alla Grande Boucle, nel 1971 apparso decisamente inferiore al corridore extraterrestre che aveva dominato le due edizioni precedenti.
Non poteva vincerlo quel Tour.
Per come si erano messe le cose all’uscita dalle frazioni alpine, Eddy Merckx poteva considerare il suo Tour definitivamente perduto. Il belga si era ritrovato sul groppone un passivo di quasi nove minuti da Luis Ocaña che sarebbe stato quasi impossibile da colmare, sia perché quell’anno il Tour era stato disegnato con mano non troppo pesante, sia perché lo spagnolo era, seppur inferiore a lui, uno che se la cavava bene sia in montagna, sia a cronometro. Solo se l’avversario si fosse trovato a fare i conti con la sfortuna avrebbe potuto pensare di vincere quel Tour ed è proprio quel che accadde sui Pirenei, con lo spagnolo estromesso dalla corsa per via di una caduta che, tra l’altro, al momento fu giudicata peggiore di quello che in realtà era. Doppia scalogna per il corridore iberico, quindi, mentre Merckx riuscì a imporsi in un Tour che lo vide meno extraterrestre del solito, pur riuscendo a presentarsi in giallo a Parigi con distacchi importanti sui corridori che lo seguivano in classifica.
Quelli di Merckx e Ocaña non sono gli unici grandi nomi al via della 58a edizione del Tour, che schiera ai nastri di partenza innanzitutto lo svedese Gösta Pettersson, che quell’anno era riuscito ad approfittare dell’assenza del “cannibale” al Giro per imporsi nella Corsa Rosa, magistralmente diretto dal futuro commissario tecnico della nazionale italiana Alfredo Martini. C’è il giovane olandese Joop Zoetemelk, che l’anno precedente era stato il primo dei “terrestri” in classifica e concederà il bis anche in questo Tour. Ci sono anche il belga Lucien Van Impe e, assente per la prima volta dal 1962 Raymond Poulidor, il francese Bernard Thévenet, che al momento sembra essere l’unico corridore transalpino in grado, in futuro, di conquistare la classifica finale (ci riuscirà una prima volta nel 1975, proprio l’edizione dell’abdicazione di Merckx, e poi ancora nel 1977). La Spagna presenta al via un altro interessante scalatore, José Manuel Fuente, mentre il corridore di punta della presenza italiana è Gianni Motta, quell’anno vincitore del Giro di Romandia.
La sede di partenza è Mulhouse dove è previsto un cronoprologo atipico, da disputare a squadre ma non valido per la classifica generale per quanto riguarda i tempi, mentre varranno gli abbuoni assegnati ai corridori delle prime tre formazioni classificate, che saranno conteggiati il giorno successivo al momento di stilare la prima classifica. Nonostante la sua “inutilità” la Molteni – la squadra nella quale quell’anno è passato Merckx dopo aver lasciato al Faema – ci si mette d’impegno e riesce a confezionare una piccola impresa, staccando in 11 Km di quasi due minuti la Ferretti di Pettersson e la Flandria di Zoetemelk.
La prima frazione è un circuito di 224 Km con partenza e arrivo fissate ancora a Mulhouse e sconfinamenti in Svizzera e Germania, nelle quali sono previsti un traguardo a testa, suddividendola così in tre semitappe. La prima, iniziata con un protesta dei corridori che si lamentano per la riduzione del montepremi (lagnanza accolta dal direttore della corsa Goddet, che raddoppierà i premi di giornata nonostante il parere contrario del suo vice Félix Lévitan, che si occupa principalmente della gestione economica della corsa) termina nell’elvetica Basilea con un volatone che vede spuntarla il belga Eric Leman mentre, stilata la prima classifica effettiva tenendo conto dei piazzamenti e degli abbuoni della cronosquadre, la maglia gialla passa dalle spalle di Merckx a quelle del suo compagno di squadra olandese Marinus Wagtmans. La leadership torna poi in possesso di Eddy dopo la semitappa tedesca di Fribourg-en-Brisgau, vinta dal “tulipano” Gerben Karstens, e rimane in suo possesso anche dopo la frazione serale che riporta la corsa a Mulhouse, dove s’impone il belga Albert Van Vlierberghe.
La seconda tappa è all’apparenza innocua perché l’unica difficoltà altimetrica prevista lungo i 144 Km che conducono a Strasburgo è il Col de Firstplan, pedalabile salita di seconda categoria che si deve affrontare a 41 Km dalla partenza e a più di 100 Km da un traguardo che fa gola ai velocisti. Nessuno s’immagina che sul Firstplan possa scatenarsi la bagarre tra gli uomini di classifica, promossa da Zoetemelk, Van Impe e Fuente, con il primo che scollina 10” prima dello spagnolo e con 15” sul belga, mentre Merckx transita qualche secondo più tardi. La selezione vera avviene nella successiva discesa, nella quale il “cannibale” si scatena con il compagno di squadra Herman Van Springel e porta via un gruppetto di sedici corridori, con dentro tutti i favoriti, il cui vantaggio sale progressivamente fino a raggiungere il tetto massimo di 9’27” al traguardo di Strasburgo, dove a imporsi è proprio Merckx. Tra i corridori che hanno terminato nella prima parte del gruppo c’è Motta, che cede qualcosa nel finale e perde 44 secondi, mentre tra i “caduti” c’è da segnalare il nome di Fuente, che era stato protagonista sul Firstplan ma non era stato poi in grado di accodarsi al plotoncino all’attacco e ha addirittura concluso la tappa in ultima posizione, undici minuti e mezzo dopo l’arrivo dei primi.
Per com’è iniziato il Tour Eddy sembra già proiettato verso la vittoria finale nel suo terzo Tour de France e intanto fa anche il “regista” in corsa, lasciando il giorno successivo andare la fuga solo perché tra i dieci corridori all’attacco c’è un suo compagno di squadra. Ed è proprio quel corridore, quel Wagtmans che due giorni prima aveva temporaneamente “scippato” la maglia gialla al suo capitano, a cogliere il successo a Nancy precedendo in volata il britannico Barry Hoban e lo spagnolo Nemesio Jiménez. Da segnalare che anche in questa tappa era previsto un colle lontano dall’arrivo, il Donon, sul quale Zoetemelk aveva nuovamente dato fuoco alle polveri, ma stavolta Merckx non aveva replicato all’azione dell’olandese.
Dopo Svizzera e Germania il Tour visita il Belgio, dov’è a Marche-en-Femenne è previsto l’arrivo al termine di una frazione vallonata ma non eccessivamente movimentata, nella quale Merckx potrebbe anche dire la sua in volata, davanti ai suoi tifosi. Preferisce, invece, ritagliarsi ancora i panni del direttore di corsa, lasciando andar via il tentativo, nato a 45 Km dall’arrivo, del francese Jean-Pierre Genet e dallo spagnolo José Gómez Lucas, che guadagnano fino a 1′40″ per poi conservare appena 5 secondi al traguardo, dove la vittoria finisce nel palmarès del corridore transalpino, già vincitore al Tour nel 1968 sul traguardo di Saint-Étienne.
Il rientro in Francia avviene con una tappa insidiosa, che si snoda tra Dinant e Roubaix proponendo il muro di Grammont e qualche tratto di pavè, non dei più celebri perché si corre quasi interamente in territorio belga e la frontiera tra i due stati viene superata a soli 6 Km dal traguardo. L’arrivo come al solito è collocato sulla pista del mitico velodromo, che in quest’occasione accoglie l’arrivo a braccia levate di un corridore italiano, il veronese Pietro Guerra, che batte allo sprint un gregario del campionissimo belga, Julien Stevens. Poco più di un minuto più tardi ecco il sopraggiungere del gruppo, regolato in volata da De Vlaeminck, nel quale le strade belghe non hanno provocato selezione.
La sesta tappa prevedere di percorrere ben 260 Km ma in due soluzioni, entrambe destinate ai velocisti, che in questa edizione del Tour finora sono riusciti a imporsi solamente nelle tre semitappe transfrontaliere del secondo giorno. Il mattino ad Amiens Guerra tenta di agguantare uno strepitoso bis uscendo dal gruppo a 800 metri dal traguardo, ma viene ripreso proprio sul rettilineo d’arrivo, in fondo al quale è il belga Leman a incassare il bis dopo essersi in posto a Basilea. Il pomeriggio nella località balneare di Le Touquet-Paris-Plage va in porto la fuga e per la seconda volta in questo Tour è un italiano a tagliare vittorioso la linea d’arrivo, il livornese Mauro Simonetti, mentre Motta avanza leggermente in classifica grazie ai secondi d’abbuono conquistati a un traguardo volante e si porta al quinto posto a 43” da Merckx.
Dopo una giornata di riposo, alla vigilia della prima tappa di montagna si riparte da Rungis, cittadina situata una quindicina di chilometri a sud di Parigi, per raggiungere Nevers a capo della frazione più lunga di questa edizione. I 257 Km che si devono percorrere presentano solo un paio di modesti Gran Premi della Montagna di quarta categoria che poco pepe danno alla gara. Quest’ultimo viene, invece, viene offerto da uno spartitraffico collocato nel bel mezzo del rettilineo d’arrivo, al quale i corridori devono obbligatoriamente imboccare il viale di destra, essendo l’altro precluso da un nastro; ma c’è chi va nella direzione opposta facendo inutilmente sbracciare l’addetto dell’organizzazione preposto a tale delicato punto, il quale si sporge troppo e finisce per essere investito dalla moto della televisione francese. Intanto Leman vola a prendersi il tris e Motta si avvicina ancora di più al vertice della classifica dopo essersi intascato un altro piccolo abbuono “intermedio”.
Arriva finalmente la prima vera salita del Tour 1971 e per la prima volta sul Puy-de-Dôme si vede un Merckx traballante, anche se al momento sembra solo un passaggio a vuoto dell’imbattibile belga, che butta sul piatto un sacco di energie nel tentativo di staccare Petterson, Motta e Zoetemelk e poi si ritrova con l’affanno al momento dell’attacco di Ocaña. Alla fine è lo spagnolo a guadagnare, anche se i 15 secondi patiti dal belga – che al traguardo viene anticipato di 8 secondi dall’olandese che cercava di mettere in difficoltà – non suonano certo come un campanello d’allarme, anche perché al momento si guarda con positività al tempo che si è riusciti a far perdere agli altri due avversari (34 secondi per lo svedese e quasi in minuto e mezzo per l’italiano). E Merckx può ancora gongolarsi orgoglioso in maglia gialla con 36” su Zoetemelk, 37” su Ocaña, 1’16” su Pettersson, 1’58” su Thévenet, 2’02” su Motta e 2’51” su Van Impe.
Si viaggia ora alla volta delle Alpi, anticipate da una breve frazione di media montagna che si conclude a Saint-Étienne dove l’Italia sfiora la terza vittoria di tappa con il toscano Wilmo Francioni, che viene preceduto allo sprint dal belga Walter Godefroot, giunti al traguardo assieme a tre dei nove corridori con i quali erano andati in fuga.
La prima tappa alpina dimostra che il Merckx che sta affrontando il Tour non è lo stesso visto negli anni precedenti. L’arrivo è a Grenoble e il finale ricalca quello della frazione che dodici mesi prima aveva visto il cannibale guadagnare sui rivali andando in fuga solitaria sul Cucheron, lo stesso colle che stavolta è carnefice del belga, colpendolo con una foratura nella successiva discesa. Ocaña si accorge dell’incidente che ha temporaneamente fermato il capo della classifica e dà il via a un feroce attacco, trascinando nel tentativo gli altri avversari del belga, tra i quali non c’è Motta, che da parecchi chilometri sta correndo con il polso fratturato in una precedente caduta e che a fine tappa annuncerà il suo ritiro dalla corsa francese. Sul successivo Col de Porte Ocaña accelera ancora di più per far lievitare il distacco di Merckx che al traguardo, dove s’impone Thévenet, è poco superiore al minuto e mezzo, bastante per togliergli per un minuto esatto la maglia gialla, che finisce sulle spalle di Zoetemelk: la classifica rivoluzionata vede ora l’olandese in testa con appena un secondo di vantaggio su Ocaña, mentre Pettersson è 3° a 40”. Quarto è Merckx e l’unico dei quattro attaccanti di giornata a non esser riuscito a superarlo è Thévenet, 5° a 1’22”.
La frazione successiva è la più impegnativa della fase alpina, anche se non presenta un percorso particolarmente difficile perché, come abbiamo già detto, quest’anno gli organizzatori hanno confezionato un percorso abbastanza morbido, forse nel tentativo di contenere lo strapotere merckxiano. Si devono percorrere 134 Km affrontando in partenza la salita più difficile, la Côte de Laffrey, quindi il pedalabile Col du Noyer e la salita finale verso Orcières-Merlette, che debutta come arrivo di tappa. Si tratterà di un battesimo di fuoco per la piccola stazione di sport invernali per il clamoroso successo di Ocaña, ottenuto in una giornata che ha visto Merckx in difficoltà fin da subito. In cima alla Côte de Laffrey il belga ha già quasi due minuti di ritardo su Zoetemelk, Ocaña e Van Impe, usciti dal gruppo per rispondere ad un attacco del portoghese Joaquim Agostinho. Il loro vantaggio aumenta rapidamente e quando questo comincia leggermente a scemare Ocaña capisce che è il momento di tentare l’affondo: sul Col de Noyer si sbarazza dei compagni d’avventura, con Van Impe che riesce a rimanere a bagnomaria tra lo spagnolo e il gruppo di Merckx, nel quale viene riassorbito Zoetemelk. I minuti tornano rapidamente a salire e al traguardo Ocaña si presenta con 5’52” su Van Impe e 8’42” sul “cannibale”, che si consola anticipando sul rettilineo d’arrivo Zoetemelk, Pettersson e Thévenet. Lo spagnolo ci ha “dato dentro” così tanto che ha fatto finire fuori tempo massimo ben settanta corridori (su 109), anche se alla fine la giuria grazierà quasi tutti, “obbligando” al ritiro solo Godefroot e gli italiani Attilio Benfatto e Virginio Levati, giunti al traguardo quasi 40 minuti dopo la vittoria di Ocaña.
I più pensano che, stando così le cose, il Tour di Merckx siano irrimediabilmente compromesso perché non sarà semplice recuperare i quasi 10 minuti di ritardo che il belga ha ora in classifica dallo spagnolo, preceduto in graduatoria da Zoetemelk (2° a 8’43”), Van Impe (3° a 9’20”) e Pettersson (4° a 9’26”). Ma Merckx non è un corridore che si rassegna facilmente e, anche se ai giornalisti ha detto che oramai il Tour è perduto, in cuor suo sta già meditando altre leggendarie imprese per accorciare le distanze da Ocaña. Siccome sa che anche lui che il rivale ha ottime doti in salita e a cronometro (l’anno prima a Parigi, sulla distanza di 54 Km, era riuscito a distanziarlo “solo” di 1’47”), decide per un attacco a sorpresa nella tappa in programma dopo il giorno di riposo, che sulla carta è la meno adatta per un’azione del genere. I 251 Km che si devono percorrere per andare a Marsiglia hanno l’aspetto di una noiosa frazione di trasferimento, completamente pianeggiante se si escludono un microscopico GPM di 4a categoria piazzato poco dopo metà tappa e il tratto iniziale in discesa, perché in partenza si deve ricalcare al contrario il finale della tappa di Orcières-Merlette. È proprio quella discesa in apertura di tappa a ispirare Merckx che prima della partenza concorda la strategia dell’attacco assieme ai suoi compagni di squadra. Così appena viene abbassata la bandierina del via Wagtmans si lancia all’attacco e dietro gli vanno immediatamente altri nove corridori tra i quali ci sono il “cannibale” e gli italiani Enrico Paolini e Luciano Armani. Questo drappello viaggia a quasi 50 Km/h nelle prime due ore di corsa, mentre il vantaggio oscilla per molti chilometri attorno al minuto e mezzo, salvo toccare una punta di poco più di due minuti in occasione di una foratura di Ocaña e scendere di poco al traguardo di Marsiglia, dove Armani si prende il lusso di anticipare allo sprint il belga, felice d’aver recuperato 1’56” allo spagnolo e di essere risalito al secondo posto della classifica, dove ora ha un passivo di 7′34″. E anche in questa tappa in diversi corridori hanno superato la soglia del tempo massimo – in tredici per la precisione, tra i quali lo spagnolo Fuente – ma anche in questo caso la giuria interviene e riammette tutti in corsa.
Il mattino successivo si sale tutti sull’aereo per volare ad Albi, dove nel pomeriggio si disputa un’altra frazione utile alla causa di Merckx, una cronometro individuale che comunque è troppo corta per consentire al belga di guadagnare un vantaggio rassicurante. Il belga vince come da copione ma in 16 km riesce a far meglio di Ocaña solo per undici secondi mentre, tra gli altri rivali di classifica, Thévenet ne accusa 42, Zoetemelk e Van Impe superano di poco il minuto di ritardo e poco più perde Petterson.
Ed è già ora di affrontare i Pirenei, introdotti da una frazione di 214 Km che propone il classico arrivo in discesa a Luchon dopo esser saliti sul Portet d’Aspet, sul Menté e sul Portillon, al quale si giunge dopo un breve sconfinamento in Spagna. Ma sulle strade del suo paese natale Ocaña non ci giunge, né in maglia gialla, né fisicamente. Mentre in testa alla corsa c’è il suo connazionale Fuente, in fuga da più di 100 Km con quasi 5 minuti di vantaggio, sotto un incessante diluvio il capoclassifica cade nell’affrontare un tornante della discesa dal Menté. L’incidente non ha conseguenze e lo spagnolo tenta di rialzarsi senza riuscirci, perché ha i piedi ancora legati ai pedali dai cinturini che si usavano all’epoca; così è ancora a terra quando viene centrato in pieno da Zoetemelk e stavolta l’impatto è di quelli che fanno male. Le immagini lo mostrano mentre si contorce a terra, con urla e il volto deformato dal dolore che impressionano i presenti e anche i primi soccorritori, che ci mettono un secondo a capire che è successo qualcosa di grave e lo caricano sull’ambulanza per un inutile viaggio verso il più vicino ospedale. Inutile perché le lastre riveleranno che non c’erano né fratture, né altre lesioni e, attendendo un attimo, forse il corridore spagnolo sarebbe riuscito a risalire in sella e a completare la tappa. Ma probabilmente la botta era stata così forte e il dolore così alle stelle che nemmeno lo stesso Ocaña ci avrebbe creduto. Intanto la tappa continua e vede il connazionale portare a termine vittoriosamente la fuga intrapresa molti chilometri prima, mentre tutti gli altri avversari di Ocaña terminano la tappa assieme oltre sei minuti dopo l’arrivo di Fuente, con Merckx che taglia il traguardo in seconda posizione ritrovandosi con la maglia gialla sulle spalle.
Il belga, che è sì cannibale ma è anche gentiluomo, l’indomani mattina rifiuta di vestire le insegne del primato per rispetto verso il collega e affronta con la divisa arancione della Molteni la più breve tappa in linea della storia del Tour. Può essere scambiata per una cronoscalata, ma non lo sono i 19 Km e 600 metri della frazione che da Luchon sale alla soprastante Superbagnères dove Fuente bissa il successo ottenuto poche ore prima e Merckx offre una conferma delle sue condizioni non ottimali. Se fosse stato ancora in corsa Ocaña avrebbe certamente guadagnato su Eddy anche in questa tappa, dove il belga si vede sopravanzare di una trentina di secondi da Van Impe e Thévenet, mentre Zoetemelk conclude con il suo medesimo tempo.
Il vantaggio del belga in classifica è comunque rassicurante, perché circa 2’20” lo separano da Van Impe e Zoetemelk, rispetto ai quali sarebbe in giallo anche senza il tempo recuperato con la fuga verso Marsiglia. Ma il suo connazionale che lo segue immediatamente in graduatoria vuole ancora sfruttare il difficile periodo che sta attraversando il “cannibale” e lo attacca anche nell’ultima frazione pirenaica, una cavalcata di 145 Km che ripropone il tratto iniziale della leggendaria tappa di Mourenx, con il traguardo fissato a Gourette, poco meno di 5 Km dopo la cima dell’Aubisque. Van Impe, però, sbaglia, clamorosamente i tempi e, anziché attendere l’ultimo colle, parte sul Tourmalet quando all’arrivo mancano una settantina di chilometri. Riesce a guadagnare fino a 1’45”, ma poi si spegne lentamente alla distanza e viene riassorbito da Merckx e Zoetemelk, con i quali arriva “spicciolata” al traguardo di Gourette. Un minuto e mezzo dopo la vittoria del francese Bernard Labourdette – per la gioia dei suoi connazionali nel giorno della festa nazionale – Merckx taglia il traguardo con due secondi di vantaggio su Van Impe, uno in più su Zoetemelk e a questo punto può dire di avere il Tour in tasca: se ha perso il suo smalto in salita, la tappa di Albi ha mostrato come ancora riesce a esprimersi a cronometro e tra qualche giorno se ne dovrà affrontare una di 54 Km.
In attesa di questa tappa si susseguono una serie di frazioni di trasferimento, la prima delle quali si disputa il giorno stesso del tappone pirenaico. Nel tardo pomeriggio sono in programma 72 Km alla volta di Pau, che vengono ridotti di 15 Km tagliando la discesa iniziale da Gourette a Laruns per evitare eccessivi pericoli ai corridori, essendosi scatenato proprio al momento della partenza un violento temporale, simile a quello avvenuto al momento della caduta di Ocaña due giorni prima. C’è un corridore che, però, crede ancora di poter mettere in difficoltà Merckx ed è sempre Van Impe, che decide di sfruttare una piccola ma ripida “côte” collocata a 16 Km dal traguardo, riuscendo soltanto a sfoltire il gruppo, dal quale a 10 Km dall’arrivo escono i belgi Van Springel e Willy Van Neste, che insistono e riescono a giungere al traguardo – dove a imporsi è il primo – con 24” di vantaggio su di un gruppetto di undici corridori tra i quali ci sono la maglia gialla, Van Impe e Zoetemelk.
Merckx potrebbe accontentarsi, anche perché non ci sono più altre occasioni nelle quali il connazionale potrebbe insidiarlo, ma forse non ci sta a passare per uno che ha vinto il Tour soltanto sfruttando le “disgrazie” altrui. Così, dopo aver fatto visita a casa di Ocaña (la tappa parte proprio da Mont-de-Marsan, dove risiede lo sfortunato corridore), rispondendo a un tentativo di un gregario di Van Impe si lancia all’attacco verso Bordeaux, in una tappa che più piatta non si può. S’inventa così un’altra impresa, come quella di Mourenx di due anni prima e quella di Divonne del precedente Tour, portandosi dietro altri quattro corridori, che poi precede allo sprint, mentre dietro i più diretti avversari di classifica si affannano ma non riescono a colmare un gap che supera di poco i tre minuti al traguardo.
E così il belga ha dato un bello schiaffone a tutti, ha fatto ancora capire che il più forte è lui. Nessun altro ci proverà a rompergli le scatole nelle due rimanenti frazioni in linea, che entrambe vedono andare via la fuga (a Poitiers s’impone il francese Jean-Pierre Danguillaume, a Versailles è il turno dell’olandese Jan Krekels), poi si fionda con il solito piglio sulle strade parigine per un epilogo a cronometro che è una nuova apoteosi per il belga. Il distacco che patirà il portoghese Agostinho al traguardo, due minuti e trentasei secondi, è un suo record personale perché è il più elevato che Merckx riuscirà a dare al secondo classificato di una cronometro di un grande giro in tutta la sua carriera. Poi c’è un abisso verso gli altri corridori che speravano di farlo tribolare: Zoetemelk ha perduto più di quattro minuti, Zoetemelk ha fatto poco peggio dell’olandese, mentre Van Impe ha lasciato sulle strade della capitale francese più di cinque minuti e mezzo.
La classifica vede il belga prevalere con 9’51” su Zoetemelk, 11’06” su Van Impe e 14’50” su Thévenet.
Tremate, tremate, il cannibale è tornato!
O forse non se n’era mai andato.
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE
Nota: manca il prologo