BATTI UN CINQUE – 1970, IL SECONDO TOUR DI MERCKX

luglio 8, 2020
Categoria: News

Il 1970 è l’anno della prima delle tre doppiette Giro-Tour per Eddy Merckx. In quell’edizione della Grande Boucle praticamente si lottò solo per il secondo posto e, se non ci fossero stati i sei giorni in giallo di Italo Zilioli, il “cannibale” avrebbe vestito le insegne del primato dalla prima all’ultima tappa di un Tour che mise in evidenza anche una serie d’interessanti giovani.

Inevitabile.

Se, dopo Fausto Coppi e Jacques Anquetil, all’inizio degli anni ’70 c’era un corridore che poteva conseguire la storica doppietta Giro-Tour, quel corridore non poteva che essere Eddy Merckx. L’aveva già messa in cantiere nel 1969 ma l’espulsione dalla Corsa Rosa aveva rinviato il progetto di dodici mesi, alla sesta stagione da professionista del corridore belga, che prima di Giro e Tour aveva vinto la Gand-Wevelgem, la Parigi-Roubaix, la Freccia Vallone, due tappe al Giro di Sardegna, tre tappe e la classifica finale alla Parigi-Nizza, due tappe e la classifica del suo Giro del Belgio. Poi si era schierato ai nastri di partenza del Giro e lo aveva vinto conquistando tre tappe (Saint-Vincent, Brentonico e la cronometro di Treviso) e imponendosi con un vantaggio di 3’14” su Felice Gimondi. L’inarrestabile marcia del belga passa poi per il campionato nazionale, che vince una settimana prima della partenza del Tour da Limoges, al via del quale è già palese che si lotterà quasi certamente solo per il secondo posto. È un Tour che, oltre al “cannibale”, vede al via una serie d’interessanti giovani come l’olandese “Joop” Zoetemelk (vincitore del Tour de l’Avenir l’anno precedente), lo svedese Gösta Pettersson, il belga Lucien Van Impe, lo spagnolo Luis Ocaña e il francese Bernard Thévenet. Non sembrano, invece, offrire grosse garanzie i “grandi vecchi” del ciclismo transalpino, il trentenne Roger Pingeon e il trentatreenne Raymond Poulidor, che non si è ancora del tutto ripreso da un recente attacco di “fuoco di Sant’Antonio”. Difficilmente, infine, i corridori italiani potranno lottare anche solo per un piazzamento sul podio perché i più valorosi sono rimasti a casa (Gimondi, Vittorio Adorni, Gianni Motta) e l’unico nome interessante è quello di Italo Zilioli, che però è un compagno di squadra di Merckx e deve quindi sottostare a obblighi di scuderia. Il torinese riuscirà comunque a vestire per quasi una settimana la maglia gialla, togliendola al proprio capitano nella tappa di Angers per poi riconsegnargliela al termine della frazione di Valenciennes, periodo nel quale Merckx scenderà dal primo al secondo posto della classifica: se non ci fosse stato Zilioli il Tour del 1970 sarebbe stato un assolo di Merckx, maglia gialla dal primo all’ultimo giorno.

Infatti, è Merckx a imporsi nel cronoprologo di poco più di 7 Km che apre la corsa transalpina precedendo di 4” il francese Charly Grosskost, con il vincitore del Tour 1968 Jan Janssen terzo a 8”. Sono così già costretti a inseguire Ocaña (6° a 15”), Zoetemelk (9° a 20”), Pettersson (10° a 23”), Poulidor (10° a 23”), Pingeon (26° a 34”), Thévenet (40° a 38”) e Van Impe (50° a 43”). Il primo italiano è Giancarlo Polidori, 21° a 31”, mentre Zilioli è 29° a 35”.

La prima tappa in linea, 224 Km da Limoges a La Rochelle, è prima caratterizzata da un breve tentativo di fuga nel quale s’inseriscono anche il capoclassifica e Van Impe, poi dall’errore in cui incappano tre corridori – l’italiano Marino Basso e i belgi Walter Godefroot ed Eric Leman – che scambiano il primo passaggio dal traguardo per l’arrivo vero e proprio e s’impegnano in un’inutile volata. Quella vera, pochi chilometri più avanti, è appannaggio del francese Cyrille Guimard, futuro direttore sportivo di Bernard Hinault e Laurent Fignon, che allo sprint regola Janssen e Merckx, che così s’intasca anche i cinque secondi d’abbuoni spettanti al terzo piazzato.

Arriva quindi il giorno della maglia gialla di Zilioli, che la veste ad Angers dopo esser andato in fuga con altri sei corridori per quasi 160 Km e aver raggiunto lungo la strada un vantaggio massimo di quasi sei minuti, poi ridotto a soli 24 secondi dalla veemente reazione del gruppo.

Tra il torinese e il belga in classifica ci sono 4 secondi, un gap destinato a rimanere intatto il mattino successivo quando la formazione dei due corridori, la Faema-Faemino, s’impone nella breve cronosquadre di 11 Km disegnata sulle stesse strade di Angers. Per Merckx è un’altra nutrita infornata di secondi (come al solito in quei tempi valevano soltanto gli abbuoni e non i tempi reali) prima di rimettersi in sella per la pomeridiana semitappa verso Rennes, dove la festa italiana viene prolungata dal successo allo sprint di Basso, che si riscatta della figuraccia di due giorni prima prevalendo allo sprint proprio su un altro protagonista di quell’episodio, Godefroot.

Anche quest’ultimo trova la maniera di “riabilitarsi” conquistando la tappa che si conclude a Lisiuex, movimentata sia da un attacco di Merckx (tra i nomi più attesi Zoetemelk e Ocaña perdono 11 secondi, mentre Pingeon, Van Impe e Thévenet lasciano per strada più di un minuto), sia da diversi incidenti, in uno dei quali sono coinvolti gli italiani Luciano Armani, Arturo Pecchielan e Pietro Tamiazzo, tutti e tre costretti al ritiro (in particolare Tamiazzo, che rimedia una frattuta alla colonna vertebrale).

Alla vigilia del pavè si disputa un’altra frazione suddivisa in due semitappe, la prima delle quali viene condotta ad altissima velocità dal gruppo (media finale di oltre 45.348 Km/h) in seguito ad una girandola di attacchi e contrattacchi che vedono impegnata in prima persona la squadra di Merckx nel tentativo di riprenderli, soprattutto quando a muoversi è Herman Van Springel, il corridore belga che potrebbe costituire un avversario pericoloso per il “cannibale” avendo perduto per soli 38 secondi il Tour nel 1968. Registrato il bis di Godefroot in quel di Rouen, non meno “lenta” (44.440 Km/h) si rivela anche la semitappa diretta ad Amiens, dove a cogliere la vittoria è il belga Jozef Spruyt.

Capitan Merckx avrà gradito lo “scippo” della maglia gialla da parte del suo luogotenente? Il dubbio che serpeggia in carovana sin dalla tappa di Amiens trova una risposta sulle strade della Roubaix e quella risposta è un secco no perché quando Zilioli fora a 32 Km dall’arrivo nessuno dei suoi lo aiuta a rientrare. D’ora in avanti in casa Faema si corre solo per il belga, anch’esso colpito dalla sorte avversa con la rottura di una ruota nel finale, incidente dopo il quale riesce a rientrare sulla testa della corsa quando manca un chilometro al traguardo di Valenciennes, dove a imporsi è Roger de Vlaeminck. Senza alcun aiuto Zilioli riesce comunque a contenere il distacco in un minuto e ventuno secondi, ma è costretto a riconsegnare il “maltolto” al suo capitano, che torna in giallo con 5” su Godefroot al termine di una tappa nella quale il belga ha guadagnato anche sugli altri rivali: paritempo con Eddy hanno concluso solo Poulidor e Zoetemelk, mentre Ocaña ha perduto cinquanta secondi, Petterson un minuto, Van Impe due minuti, Pingeon quasi tre minuti e Thévenet quattro minuti.

E così, come accaduto l’anno prima, Merckx si presenta sulle strade di casa con la maglia gialla, destinata a diventare ancora più “raggiante” sul traguardo di Forest, al quale il belga si presenta in solitaria con venti secondi di vantaggio sul connazionale Van Impe e quaranta secondi prima della volata del gruppo nel quale ci sono tutti gli altri big. Il colpo riuscitogli al mattino gli sfugge, invece, al pomeriggio in quella che doveva essere la tappa più congeniale ai suoi mezzi, una breve crono di 7 Km nella quale viene relegato in seconda posizione per soli tre secondi dal sorprendente spagnolo José Antonio González, mentre tutti gli altri accusano distacchi abbastanza contenuti proprio per la limitatezza del chilometraggio.

Si sconfina anche in Germania (la tappa di Felsberg è vinta dal francese Alain Vasseur, padre di quel Cédric che vestirà per 5 giorni la maglia gialla al Tour del 1997) prima di rientrare in Francia con la prima frazione di montagna, che è anche la più lunga di questa edizione. Superando le cime dei colli della Schlucht, del Grand Ballon e di Silberloch si devono percorre quasi 270 Km per andare a Mulhouse, traguardo dove si assiste a una volata tra due corridori della Frimatic, con il portoghese Agostinho che taglia per primo la linea d’arrivo ma viene poi retrocesso dalla giuria al secondo posto per essersi aggrappato alla maglia del danese Mogens Frey, il suo compagno di squadra che sarà poi decretato vincitore. Tre secondi dopo questo contestato epilogo giunge sul traguardo un gruppo foltissimo, forte di ben 80 corridori nonostante la lunghezza della frazione e la sua altimetria perché quasi nessuno oggi ha provato un attacco ai danni di Merckx, che si è limitato a inseguire un tentativo di Zoetemelk provocando un temporaneo cedimento di Poulidor e Ocaña.

Approfittando del disinteresse generale Merckx s’inventa il giorno dopo un’altra impresa alla “Mourenx”, come quella messa in scena l’anno prima nel tappone pirenaico. È un attacco a sorpresa quello del belga, anche perché la tappa che termina a Divonne-les-Bains è una poco appetitosa frazione di media montagna, sul cui terreno lo stesso a guadagnare parecchio sugli svogliati avversari. Stavolta non è da solo perché al traguardo si presenta in compagnia dell’italiano Guerrino Tosello e del connazionale Georges Pintens, mentre 25 secondi più tardi taglia la linea d’arrivo Zoetemelk, che aveva preso parte al tentativo messo in opera dal “cannibale”. I distacchi degli altri favoriti non sono clamorosi come quelli dell’anno prima ma fanno comunque sensazione, perché Petterson paga quasi 3 minuti mentre bisogna attendere 5 minuti e mezzo per vedere al traguardo la sagoma di Poulidor e oltre 12 minuti per l’arrivo di Ocaña.

Poche ore più tardi ha nuovamente l’occasione di allungare in classifica perché a Divonne si disputa un’altra breve cronometro, che era stata inserita anche nel percorso del Tour del 1969. Sono poco meno di 9 Km nei quali il belga bissa il successo ottenuto l’anno precedente respingendo indietro l’incubo del corridore che l’aveva battuto pochi giorni prima, lo spagnolo González, che si deve accontentare del secondo posto con 9” secondi di ritardo. Il giorno stesso si corre una frazione di circa 140 Km che si conclude su un traguardo in quel periodo benevolo per i corridori italiani, quello di Thonon-les-Bains dove l’anno prima si era imposto Michele Dancelli, al quale succede Basso, vincitore allo sprint su Janssen e Godefroot. Intanto, dopo Tamiazzo un altro corridore italiano è costretto a lasciare il Tour per un grave infortunio: è il pesarese Enrico Paolini, che viene ricoverato in rianimazione dopo aver riportato la frattura del cranio.

E così quando ancora devono cominciare le grandi tappe di montagna il primato in classifica di Merckx sembra già inaffondabile perché alle porte delle Alpi il belga si presenta con un vantaggio di tre minuti spaccati su Zoetemelk, di 4’24” su Pintens, di quasi otto minuti su Petterson e di quasi nove su Poulidor. La musica non cambierà nemmeno al traguardo di Grenoble, dove è ancora il belga a transitare in prima posizione e in quest’occasione senza corridori al suo fianco perché ha fatto tutto da solo. È partito sul penultimo dei cinque colli in programma, il Cucheron, ha raggiunto e superato in discesa il corridore che si trovava in testa alla corsa, lo spagnolo Andrés Gandarias, e senza alcuna compagnia ha coperto l’ultima trentina di chilometri, presentandosi sulla pista del velodromo di Grenoble con 1’35” di vantaggio su un altro iberico, Luis Zubero, e con 2’07” sull’italiano Silvano Schiavon, lo stesso distacco dello svedese Petterson. Janssen, Van Impe, Zoetemelk e Poulidor terminano nel gruppetto di una dozzina di corridori che completa la tappa con tre minuti di ritardo dal “cannibale”, mentre Ocaña cede ancora e perde altri 18 minuti.

La seconda frazione alpina pare più una tappa di trasferimento verso il Mont Ventoux in programma il giorno successivo perché si devono affrontare salite dalle pendenze gradevoli come l’inedito Col du Noyer e il Col de la Sentinelle, posto a ridosso del traguardo di Gap. È un’ottima occasione per i cacciatori di tappe e ne approffitta l’italiano Primo Mori (padre dei fratelli, pure corridori, Manuele e Massimiliano), che consegue la sua prima vittoria da professionista precedendo di 1’17” l’olandese Marinus Wagtmans e di 2’30” un gruppetto di quattro corridori nel quale, manco a dirlo, c’è ancora Merckx, che anche oggi è riuscito a distanziare i rivali (escluso Van Impe), giunti al traguardo con una quarantina di secondi di ritardo, eccettuato Ocaña che pure oggi ha incassato un pesante passivo di quasi 25 minuti. La gioia per il tempo guadagnato lascia, però, subito lo spazio al dolore perché immediatamente dopo aver tagliato il traguardo gli viene comunicata la notizia della scomparsa di Vincenzo Giacotto, il manager della sua squadra al quale Merckx era legatissimo: i fotografi presenti sulla linea d’arrivo lo immortalano piegato in due mentre piange accanto alla sua bicicletta, meditando di dedicargli l’indomani la vittoria sul Ventoux.

Sul “Gigante della Provenza” il belga (e non solo lui) corre un bel rischio, forse strafacendo con la doppia intenzione di onorare la memoria di Giacotto e di ampliare ancora di più il suo predominio. Arriva sfinito al traguardo con poco più di un minuto di vantaggio sul connazionale Martin Van Den Bossche, che subito dopo crolla svenuto. Lo stesso capita a Merckx quando, durante un’intervista del dopotappa, avverte il giornalista di sentirsi mancare l’aria, si accascia ed è necessario l’intervento di un medico con la bombola dell’ossigeno per farlo riprendere. Sono due episodi che scatenano il malumore in un gruppo nel quale è ancora vivo il ricordo della tragica morte di Tom Simpson sul Ventoux al Tour di 5 anni prima e si chiede che la salita non venga mai più inserita nel tracciato della corsa, perché lassù “si rischia la vita” (parole di Merckx) e perché, come lamenta Poulidor, anche se i corridori sono pagati per correre determinati rischi, a tutto c’è un limite. Sarà anche per questo motivo che nel 1972 gli organizzatori proporranno la scalata al monte dal versante opposto, molto meno impegnativo e quasi tutto al “verde”. La cronica mancanza d’ossigeno in vetta al “Monte Calvo” non ha impedito, però, al campionissimo belga di “banchettare” dei rivali, giunti staccatissimi ai piedi dell’osservatorio: Thévenet paga 1’25”, “Poupou” 1’31”, Petterson 1’39”, Zoetemelk 2’44”, Ocaña a 8’19” e, al di là di tutte le Alpi, Merckx si ritrova ad avere un vantaggio di 9’26” su Zoetemelk e di 11’21” su Petterson.

Per arrivare ai piedi dei Pirenei bisogna affrontare tre facili tappe di trasferimento, la prima delle quali termina a Montpellier con uno sprint falsato dalle pessime condizioni della pista d’atletica in terra battuta sulla quale gli organizzatori hanno collocato il traguardo. Pochi minuti prima dell’arrivo si pensa di bagnarla con un getto d’acqua per renderla più compatta, operazione che si rivela una toppa peggiore del buco perché i corridori si ritrovano a sprintare su una specie di poltiglia che prima causa la caduta di Janssen, poi quella di Godefroot e infine la frenata di Basso, che in questo modo evita di ruzzolare anch’esso ma si gioca la possibilità di vincere la tappa, venendo preceduto in volata da Wagtmans.

La tappa di Tolosa termina con la vittoria del belga Albert Van Vlierberghe, andato in fuga con l’italiano Attilio Benfatto. La frazione è tranquilla per tutti gli altri uomini di classifica che viaggiano con la mente già proiettata alle prossime giornate di montagna, ma non per Merckx al quale capita un piccolo infortunio quando mancano 5 Km dall’arrivo. Improvvisamente un piccolo grido rompe la calma del gruppo e si vede il belga fermarsi e coprirsi un occhio con le mani, dopo esser stato colpito proprio in quel punto da un sasso, proiettato dalla strada al suo volto dopo che sopra ci era passata la ruota di un corridore. Eddy è costretto a fermarsi un attimo ma poi, valutata la situazione e notato che non c’erano state conseguenze, rimonta in sella e, con l’aiuto dei compagni di squadra e favorito dalla velocità non troppo elevata, nel giro di un chilometro riesce a rientrare in un gruppo che neanche si è accorto dell’incidente occorso alla maglia gialla.

Annunciato alla partenza come uno dei giovani più promettenti e uno dei pochi che avrebbe potuto mettere in difficoltà Merckx (e il Tour dell’anno confermerà queste previsioni), lo spagnolo Ocaña trova l’opportunità di riscattare una corsa per lui fallimentare azzeccando la fuga a 40 Km dal traguardo di Saint-Gaudens, dove giunge in perfetta solitudine con il beneplacito della squadra della maglia gialla – anche perché a questo punto ha un ritardo che supera abbondantemente l’ora – e con poco meno di tre minuti di vantaggio su di un gruppo che anche oggi ha viaggiato al piccolo trotto per risparmiare energie in vista delle ultime tappe di montagna.

Per l’indomani il Tour strombazza sull’altimetria il nome del Tourmalet, anche se in realtà si affrontano solo i primi 12 Km della mitica ascesa, fino alla località di La Mongie dove si conclude una tappa di 135 Km che propone anche le salite ai colli di Menté, del Peyresourde e dell’Aspin. La frazione si rivela molto deludente perché quasi nessuno approfitta – per mancanza di forze, di volontà o di coraggio – di un altro problema fisico di Merckx che, dopo il malore sul Ventoux e il sassolino nell’occhio a Tolosa – oggi soffre di mal di stomaco e, nonostante questo handicap, riesce comunque a far meglio dei rivali, tra i quali gli unici a riuscire a far leva sulle piccole crepe del belga sono il francese Thévenet, che s’impone per la gioia dei francesi nel giorno dell’anniversario della presa della Bastiglia, il belga futuro compagno di squadra Van Den Bossche e l’altro connazionale Van Impe. Gli altri, invece, perdono anche contro un Merckx a mezzo servizio, con Zoetemelk che gli “concede” altri 31 secondi, Petterson che finisce a un minuto dal belga, Ocaña che risorge dopo la vittoria del giorno prima e termina a 1’13” e Poulidor che conclude la tappa quasi 4 minuti dopo l’arrivo di Eddy.

L’ultima tappa di montagna è stata pensata dagli organizzatori come un omaggio a Merckx perché s’è stabilito di riproporre la frazione di Mourenx dove l’anno prima fu autore di una fantastica impresa, rendendola però più “complicata” per il belga accorciandola di 30 Km e depennando le prime due salite, che già erano state affrontate il giorno prima (Peyresourde e Aspin). La partenza viene così spostata da Luchon a Bagnères-de-Bigorre – scalando in partenza il Tourmalet dallo stesso versante della tappa di La Mongie e poi l’Aubisque – e viene allungato il tratto privo di difficoltà successivo all’ultimo colle portandolo a 90 Km. La tappa così modificata si rivela, però, tutt’altro che selettiva, anche se a un certo punto Merckx era riuscito a ridurre il gruppo dei migliori a soli nove corridori accelerando nella discesa dal Tourmalet, affrontata sotto la pioggia. I quasi cento chilometri di “nulla” dopo l’ultimo colle permettono al gruppo di tornare a ricompattarsi sino a risultare composto di 45 corridori al traguardo di Mourenx, dove viene preceduto di due minuti e mezzo dal francese Christian Raymond. E per Merckx è un’altra tappa portata a termine dopo aver dovuto ancora fare i conti con un incidente di percorso sfuggito agli avversari, una capocciata presa sulla fiancata della sua ammiraglia in seguito ad una sbandata, avvenuta mentre un meccanico gli stava oliando la catena.

Passati senza squilli i Pirenei, ora il “cannibale” può rompere la sua dieta e tornare a guadagnare perché il giorno successivo – dopo una semitappa vinta allo sprint dal tedesco Rolf Wolfshohl, che precede al fotofinish l’italiano Franco Mori, inizialmente proclamato vincitore e fatto salire sul podio delle premiazioni, dove ha fatto a tempo anche a ricevere il rituale bacio della miss – è prevista la quinta “minicrono” di questo Tour dopo quelle disputate a Limoges, Angers, Forest e Divonne. Le ha quasi tutte vinte il belga – quella di Angers in compagnia, essendo la cronosquadre conquistata dalla Faema, mentre a Forest era stato sorpreso dallo spagnolo González – e anche quella disegnata sul circuito del lago artificiale di Bordeaux va ad arricchire il carniere del cannibale, che in 8 Km e 200 metri respinge di 12” lo svedese Tomas Petterson (fratello minore di Gösta) e di 13” Ocaña, galvanizzato dal fatto di correre su strade amiche perché, pur essendo spagnolo di nascita, dall’infanzia si è trasferito con i genitori in Francia, stabilendosi a Mont-de-Marsan.

C’è un’altra cronometro da disputare, collocata all’ultimo giorno di gara e decisamente più “extralarge” nel chilometraggio, ma per arrivarci ci si deve prima sciroppare altre due lunghe tappe di trasferimento che si rivelano essere di ordinaria amministrazione per Merckx, anche se il belga nella prima delle due frazioni – che termina a Tours con il terzo successo di Basso – si è fatto vedere in testa al gruppo per un breve tratto, mettendosi a tirare ad altissima velocità, e poi si è imposto nella volata di un inutile Gran Premio della Montagna di quarta categoria.

Da Versailles, dove il giorno prima la penultima tappa era terminata con l’affermazione allo sprint del francese Jean-Pierre Danguillaume, il 19 luglio scatta l’atto conclusivo del Tour 1970, una prova contro il tempo di 54 Km che non può che terminare con un’ennesima affermazione di Merckx, l’ottava per la precisione. Sulla pista della Cipale il responso dei cronometri è ancora tutto a favore del belga e stavolta i distacchi non sono quelli ridotti delle microtappe inserite a profusione in questo Tour: il primo dei “terrestri” è Ocaña, che ha messo alle spalle i problemi di salute che ne hanno condizionato il rendimento nei tapponi alpini e ha terminato la tappa con 1’47” di ritardo dal marziano in maglia Faema. Terzo a 2’15” è Petterson, quarto a 2’37” Zoetemelk, settimo a 3’08” Poulidor: sono le ultime briciole di un Tour dove Merckx s’è fatto un’altra bella scorpacciata e ha portato a casa la classifica degli scalatori, quella della combattività e quella combinata, oltre ad essere salito sul podio parigino con 12’41” su Zoetemelk e 15’54” su Petterson. E avrebbe fatto sua anche quella a punti se Godefroot non l’avesse sopravanzato di 5 miseri punticini.

E la doppietta è servita.

Mauro Facoltosi

LE ALTIMETRIE

Nota: presenti solo le tre tappe alpine (12a – 13a – 14a tappa), le due pirenaiche (18a – 19a tappa), la prima semitappa della 20a tappa, la 21a e la 22a tappa

Merckx stravolto al traguardo del Ventoux, subito prima del collasso che renderà necessario lintervento di un medico con una bombola dossigeno per rianimarlo

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