BATTI UN CINQUE – 1985, IL QUINTO TOUR DI HINAULT
Spira il vento del cambiamento al Tour de France del 1985, segnato dall’inizio del passaggio di consegne tra il vecchio Hinault e il nuovo che avanza, il promettente americano Greg Lemond. Disputano il Tour nella medesima formazione, il primo con il ruolo del capitano alla caccia del suo quinto Tour e di un’altra doppietta con il Giro, il secondo a fargli da gregario prima che ci si scambi i compiti nell’edizione successiva.
Arriva il momento del passaggio delle consegne.
Il 1985 è un anno chiave per la Vie Claire, la formazione creata dal nulla dodici mesi prima dall’imprenditore Bernard Tapie. L’uomo d’affari aveva messo subito sotto contratto il suo omonimo Hinault, reduce da un 1983 fallimentare che l’aveva visto prima vincere Freccia Vallone e Vuelta e poi costretto a rinunciare al Tour per il riacutizzarsi dei soliti problemi al ginocchio. Ma anche il suo primo Tour con la nuova casacca non aveva avuto gli esiti spirati dal “Tasso”, che a Parigi si era dovuto accontentare del secondo posto a più di dieci minuti dal giovane Laurent Fignon, che era rimasto a correre nella formazione nella quale militava Hinault fino all’anno precedente. Per il 1985 i due Bernard hanno grandi progetti, prima il Giro, poi il Tour e nel contempo assicurarsi in squadra un giovane promettente che faccia da gregario a Hinault in questa stagione per poi scambiarsi i ruoli nel 1986. Quel giovane è l’americano Greg Lemond, che viene strappato proprio alla formazione di Fignon con un contratto milionario, il primo della storia del ciclismo: ha 24 anni e s’è già fatto notare vincendo il Delfinato e il campionato del mondo nel 1983, mentre in Italia era conosciuto per aver vinto la tappa di Monte San Pietrangeli alla Tirreno-Adriatico del 1982, successo grazie al quale avevo vestito per un giorno la maglia di leader della “Corsa dei due mari”, che poi terminerà in terza posizione con 27” di ritardo da Giuseppe Saronni.
Conquistato il Giro con poco più di un minuto di vantaggio su Moser, il trentenne Hinault si schiera il 28 giugno al via di un’edizione del Tour che vede ancora ai nastri di partenza una vecchia conoscenza del bretone, l’inossidabile olandese Joop Zoetemelk, ancora sulla cresta dell’onda nonostante viaggi spedito verso i 40 anni, che compirà l’anno successivo (a settembre s’imporrà nel campionato del mondo in Italia, sul Montello, conquistando il record di maglia iridata più anziana della storia, tuttora imbattuto). Tra vecchie glorie e nuovo che avanza ci sono anche il 27enne australiano Phil Anderson e il 38enne belga Lucien Van Impe (passato quell’anno alla Santini-Selle Italia, la formazione che poi diventerà l’odierna Bardiani), il neoprofessionista colombiano “Lucho” Herrera e il trentaseienne olandese Hennie Kuiper, gli irlandesi Stephen Roche e Sean Kelly, il belga campione del mondo in carica Claude Criquielion, lo spagnolo Pedro Delgado, lo scozzese Robert Millar e Roberto Visentini, unica speranza per i corridori italiani di far bene in classifica.
Il Tour inizia subito in giallo per Hinault, motivato anche dal fatto di disputare il cronoprologo d’apertura sulle strade della sua Bretagna: al termine dell’impegnativo circuito di Plumelec è suo il tempo migliore con 4” sul belga Eric Vanderaerden, 14” su Roche, 19” su Anderson, 21” su Lemond (frenato da un salto di catena), 31” su Zoetemelk e Millar, 32” su Herrera, 37” su Criquielion, 41” su Delgado e 44” su Visentini.
Il secondo giorno è prevista una tappa “imponente” per chilometraggio poiché si devono percorrere ben 256 Km tra il raduno di partenza di Vannes e il traguardo di Lanester, dove Vanderaerden festeggia la conquista della maglia gialla grazie agli abbuoni – ora Hinault è secondo a 32” – mitigando l’amarezza per il secondo posto, battuto allo sprint dal connazionale Rudy Matthijs. Quest’ultimo fa il bis il giorno successivo a Vitré, anche stavolta battendo Vanderaerden, in quest’occasione terzo poiché preceduto anche da Kelly.
Arriva il momento della cronosquadre nella quale, trascinata dalla coppia Hinault-Lemond, la Vie Claire non ha rivali anche perché da un paio di stagioni ha lasciato il ciclismo la TI-Raleigh, la fortissima compagine olandese che aveva costantemente dominato queste prove negli anni precedenti. Percorsi 73 Km a una media di 48. 585 Km/h, sul traguardo di Fougères la formazione costruita da Tapie si impone con un minuto netto sulla Kwantum di Zoetemelk, 1’03” sulla Panasonic di Anderson e Vanderaerden (erede della “defunta” TI-Raleigh), 1’20” sulla Peugeot di Millar, 1’22” sulla Carrera di Visentini, 1’24” sulla Redoute di Roche, 2’10” sulla Splendor di Criquielion, 2’52” sulla Skill di Kelly e sulla Verandalux di Kuiper, 3’40” sulla Reynolds (nella quale corre colui che succederà a Hinault nello speciale albo d’oro dei plurivincitori del Tour, Miguel indurain), 5’52” sulla Santini-Selle Italia di Van Impe, 6′32” sulla Varta di Herrera e 7’19” sull’Orbea di Delgado. Per la classifica, però, ancora una volta non contano i tempi reali ma solo i distacchi attribuiti dagli abbuoni e così Vanderaerden riesce a tenersi addosso la maglia gialla per altre ventiquattrore con immutato il distacco di 32” che aveva alla partenza da Hinault, mentre Lemond è 4° a 53”, Anderson 10° a 1’21”, Zoetemelk 11° a 1’23”, Millar 18° a 1’43”, Roche 28° a 1’56”, Visentini 34° a 2’06” e Kelly 38° a 2’12”.
Il giorno dopo sui saliscendi che caratterizzano la lunga tappa di Pont-Audemer va via un tentativo di fuga promosso da uno dei fautori del successo della squadra di Hinault nella cronosquadre, il danese Kim Andersen. L’attuale direttore sportivo della Trek-Segrafredo si porta dietro sei corridori che riescono ad andare fino al traguardo e tra questi c’è l’italiano Bruno Leali che, per la terza volta in carriera, si piazza secondo in una volata del Tour: nel 1982 a Châteaulin era stato il belga Frank Hoste a precederlo, nel 1984 l’aveva battuto l’olandese Jan Raas a Bordeaux e stavolta a superarlo in dirittura d’arrivo è un altro “tulipano”, Gerrit Solleveld.
Con una nuova maglia gialla, finita sulle spalle di Andersen grazie alla fuga del giorno prima, si disputa la temuta tappa del pavè, quest’anno più “leggera” rispetto a quelle viste negli anni precedenti perché nel finale della Neufchâtel-en-Bray – Roubaix sono previsti solo 11 Km di acciottolato, suddivisi in nove settori. Più che temere grandi danni in classifica, si teme che i pochi tratti da percorrere sulle pietre provochino poca selezione e così accade perché, 11 secondi dopo il vittorioso arrivo dell’olandese Henri Manders, i migliori si presentano tutti assieme sulla linea del traguardo – escluso Kuiper, che perde quasi 10 minuti – con Kelly che va a prendersi il secondo posto davanti al capoclassifica Andersen.
L’indomani l’Italia sportiva fa festa a Reims perché, nell’attesa che termini la tappa degli uomini, si disputa la quarta frazione del parallelo Tour de France femminile, una cronometro di 18 Km nella quale Maria Canins a sorpresa batte la favoritissima francese Jeannie Longo per appena 20 centesimi di secondo. Sul medesimo traguardo, poche ore più tardi, Vanderaerden riesce finalmente ad andare a segno e anche a riprendersi quella maglia gialla che Andersen gli aveva portato via, ma poi interviene la giuria a riportare ordine e a retrocedere il belga per reiterate scorrettezze con Kelly, assegnando così la vittoria al francese Francis Castaing. Intanto, grazie al passaggio dal terzo al secondo posto dell’ordine d’arrivo, Lemond riesce a conquistare l’abbuono che gli consente di portarsi sul gradino più basso del momentaneo podio del Tour, 3° a 1’05” da Andersen.
La permanenza del danese al vertice della classifica ha le ore contate perché dopo la tappa di Nancy (vinta dal belga Ludwig Wijnants) è in programma una lunga crono individuale nella quale è prevedibile che debba lasciare nuovamente la maglia gialla al suo capitano. E così sarà perché Hinault dimostra di aver ancora la forma dei vecchi tempi dominando i 75 Km della Sarrebourg – Strasburgo, che vince a 47.410 Km/h distaccando di 2’20” il corridore giunto al secondo posto, l’irlandese Roche. Il “delfino” di Hinault, Lemond, consegue la quarta piazza a 2’34” poi i ritardi si fanno più pesanti: 2’52” per Kelly, 4’15” per Criquielion, 4’17” per Visentini, 4′24” per Van Impe, e 4’32” per Zoetemelk. Alla vigilia delle prime montagne la classifica strizza fortemente l’occhio al transalpino, che si riprende le insegne del comando con 2’32” su Lemond, 2’54” su Kelly e poi, scendendo lungo la classifica a cercare gli altri grandi nomi, 3’45” su Roche, 5’23” su Zoetemelk e 5’51” su Visentini.
La prima salita di una certa consistenza, anche se priva di grandi pendenze, è quella del Champ de Feu, la cui cima viene conquista da Herrera, il forte scalatore colombiano che si era fatto conoscere al Tour dell’anno prima imponendosi nella tappa dell’Alpe d’Huez. Ma poi ci sono ancora 120 km da percorrere per arrivare a Épinal, con difficoltà decrescenti man mano che ci si avvicina al traguardo, al quale il gruppo dei migliori si presenta senza distacchi un paio di minuti dopo l’arrivo vittorioso dell’olandese Maarten Ducrot.
Il primo arrivo in salita è in programma sul massiccio del Giura, in vetta alla poco impegnativa Côte de Larmont, sopra la cittadina di Pontarlier, dove la Carrera festeggia il successo del danese Jǿrgen Vagn Pedersen a parziale consolazione per la débâcle di Visentini, che accusa un malore dopo aver bevuto una bevanda ghiacciata che gli provoca anche capogiri e lo porta a tagliare il traguardo con 12 minuti di ritardo. Intanto tra gli avversari di Hinault l’unico a riuscire a sfuggire al controllo della Vie Claire è lo spagnolo Delgado, che parte a 3 Km dall’arrivo ma riesce a guadagnare appena 15 secondi sul francese, che poi allungherà ancor di più il giorno successivo.
Il traguardo della prima frazione alpina è fissato ai 1820 metri di Avoriaz, luogo caro a Hinault perché lassù aveva ottenuto una decisiva vittoria al Tour del 1979. In quell’occasione l’arrivo era al termine di una lunga e difficile cronoscalata, stavolta l’approdo è quello di una frazione in linea di quasi 200 Km che ha in programma le ascese al Pas de Morgins e al Col du Corbier prima dell’arrampicata finale. Nonostante a quel punto manchino ancora più di 60 Km all’arrivo un Hinault in grande spolvero va all’attacco fin dal Morgins e a resistergli è il solo Herrera, al quale poi concede la vittoria, mentre dietro si registra un altro effluvio di minuti: 1’23” per Delgado, 1’41” per Lemond, 2’05” per Roche, 2’39” per Millar, 3’02” per Anderson e Zoetemelk, 3’26” per Kelly e Van Impe, quasi 6 minuti per un Visentini in lieve ripresa rispetto al momentaccio vissuto poche ore prima. È comunque una giornata lieta per il ciclismo italiano perché nel primo pomeriggio sugli ultimi 54 Km della tappa degli uomini si era disputata la prima frazione di montagna del Tour femminile e anche stavolta era la Canins a superare la Longo, ma con un vantaggio decisamente più sensibile rispetto a quello risicatissimo della cronometro, che permetteva alla ciclista altoatesina di issarsi al vertice della classifica con 1’52” sulla francese.
Il giorno dopo è in programma un vero e proprio tappone, definibile come tale più per il chilometraggio (269 Km) che per la difficoltà del tracciato, che prevede il non troppo duro arrivo in salita a Lans-en-Vercors preceduto da sei ascese, la più interessante delle quali è quella di Saint-Nizier-du-Moucherotte, piazzata proprio a ridosso di quella finale. I big, però, preferiscono risparmiarsi in vista della tappa a cronometro prevista l’indomani e così c’è ancora spazio per i colombiani, per la goia dei “caciaroni” telecronisti loro connazionali, le cui cronache sono così esagitate e rumorose che l’organizzazione sarà costretta ad allestire una postazione tutta per loro, lontano dalla tribuna stampa destinati ai giornalisti delle altre televisioni al seguito. Stavolta sono due gli “escarabajos” protagonisti del finale di gara, con Fabio Parra (fratello maggiore di quell’Iván Parra che vincerà due tappe al Giro d’Italia del 2005) che scatta ai meno 5 e con Herrera che lo raggiunge un paio di chilometri più avanti, riuscendo poi a giungere assieme al traguardo, dove “Lucho” rallenta per lasciare la vittoria al connazionale. Nel frattempo si dilata il vantaggio della Canins nella contemporanea corsa femminile perché l’italiana vince anche a Lans-en-Vercors mentre la Longo conserva il secondo posto in classifica, nonostante una grave crisi che la porta a tagliare il traguardo con 12 minuti di ritardo.
La terza sfida contro il tempo si disputa nella vicina Villard-de-Lans, sede di partenza e arrivo di un circuito che si snoda sull’altopiano del Vercors, tra i 1000 metri sul livello del mare di Villard e i circa 1200 metri del Col de la Croix-Perrin. Quando devono scendere in gara i primi della classifica si scatena un impetuoso vento e a pagar maggior dazio è proprio Hinault, che se lo trova spesso contrario e non riesce a lanciare le sue cilindrate come il solito. A vincere è, infatti, un corridore che aveva preso il via quando Eolo non si era ancora scatenato, il belga Vanderaerden, che riesce a far meglio di 1’07” del francese, il quale per un solo secondo conquista il secondo posto precedendo il connazionale Thierry Marie. Anche i distacchi tra Bernard e gli altri avversari non sono lontanamenti paragonabili a quelli della cronometro disputata qualche giorno prima a Strasburgo, con Roche che in 32 Km perde solo 16 secondi, mentre Anderson ne accusa 24. Il vantaggio della maglia gialla in classifica rimane, però, rassicurante perché dopo le Alpi e le prime quattro sfide contro l’orologio Hinault ha 5’23” di vantaggio su un corridore che non può impensirlo perché è il suo fidato gregario Lemond, mentre Roche è 3° a 6’08”, Kelly 4° a 6’35”, Anderson 6° a 8’33” e il “vecchio” Zoetemelk 9° a 11’14”. Sul fronte femminile è sempre più maglia gialla la Canins perché il giorno dopo la crono dei “maschietti”, mentre questi osservano l’unico turno di riposo previsto in questa edizione, si corre anche quella riservata alle donne, pure conquistata dall’ex fondista della Val Badia – aveva gareggiato nello sci di fondo dal 1969 al 1983 – con 34” sulla Longo.
Hinault non può sapere che la sfortuna sta per tirargli due brutti tranelli e il primo di questo si concretizza a 250 metri dal traguardo della tappa di Saint-Étienne, quando erano trascorsi oltre due minuti e mezzo dall’arrivo solitario del colombiano Herrera, che era andato via a 40 Km dall’arrivo sulla salita del Col de l’Œillon. Tutto succede mentre il gruppo con tutti i migliori (tra i quali non c’è Lemond, che si era infilato nel primo gruppetto inseguitore di Herrera e ha guadagnato 1’51” sul suo capitano) si presta a transitare compatto sotto lo striscione del traguardo e uno spettatore si sporge pericolosamente oltre la transenna. Per evitarlo il canadese Steve Bauer si esibisce in un improvviso scarto, innescando un contatto tra Anderson e Hinault, che ruzzola a terra battendo il naso e fratturandosi il setto. Non essendoci stata deviazione della cartilagine in ospedale gli comunica che non si dovrà operare e si limitano ad applicarli quattro punti di sutura, per ricucirgli le ferite che avevano fatto del suo volto una maschera di sangue.
Il francese può così continuare ma tutto è in forse perché con il naso in quelle condizioni respirare è un bel problema. Nella successiva frazione di Aurillac, che prevede un percorso di media montagna non troppo complicata, Hinault dimostra che può correre anche con quell’handicap disputando l’intera tappa nelle prime posizioni del gruppo e andando pure in fuga per qualche chilometro, quando un corridore con il quale aveva avuto nei giorni precedenti un piccolo attrito gli era scattato sotto il naso e lui si era immediatamente gettato al suo inseguimento. Mentre si svolgono questi accadimenti in testa alla corsa viaggia Eduardo Chozas, corridore spagnolo che era uscito dal gruppo tutto a 34 Km dalla partenza e al traguardo riesce a presentarsi con un “monumentale” vantaggio di quasi dieci minuti.
Ma, come abbiamo detto, il destino ha ancora in serbo uno “scherzetto” per Hinault, un tiro mancino che si manifesta sotto la forma di una bronchite che lo tormenterà nelle due frazioni pirenaiche, precedute da una tappa di trasferimento verso Tolosa (vinta in fuga dal francese Frédéric Vichot) che si disputa con un clima più fresco rispetto alla “chaleur” dei giorni precedenti, tipica delle tappe del Massiccio Centrale, e forse è proprio questo brusco calare delle temperature a “fregare” Hinault. Il transalpino non manifesta problemi sino a 6 Km dalla cima del Tourmalet, quando accelerano Roche, Parra, Chozas e Lemond. Quest’ultimo vorrebbe continuare, insiste accampando la scusa che Hinault non è più in condizione e quel Tour lo perderà, ma il direttore sportivo Paul Köchli riesce a frenarlo, consentendo così a Bernard di contenere il ritardo al traguardo di Luz-Ardiden, dove lo spagnolo Delgado s’impone con 25” su Herrera, 1’29” su Parra e 2’52” su Kelly e Lemond, mentre la maglia gialla taglia la linea d’arrivo in diciottesima posizione con 4’05” di ritardo, passivo che gli consente di rimanere in vetta alla classifica con 2’25” su un gregario che comincia a dimostrarsi non proprio così fidato. Una maglia gialla che, invece, non viene messa in discussione è quella della Canins, che letteralmente tiranneggia tra Tourmalet e ascesa finale a Luz-Ardiden, in cima alla quale si presenta ben nove minuti prima dell’arrivo della Longo, anche in quest’occasione giunta seconda. E non essendoci più nè tappe di montagna, né frazioni a cronometro, si può a questo punto definire chiusi i giochi per la classifica nella seconda edizione del Tour femminile, che vedrà la ciclista badiota in giallo a Parigi con un distacco da urlo sulla Longo, ben 22 minuti e 11 secondi.
L’Aubisque è l’ascesa protagonista dell’ultima giornata pirenaica, da affrontare ben due volte in entrambe le semitappe nella quale è suddivisa. Alla luce della crisi patita il giorno prima da Hinault è la prima semitappa quella seguita con più attenzione, poiché il traguardo è posto proprio in vetta al passo, al termine di una gara di soli 52 Km che, se fosse presa a tutta dagli avversari del francese fin dalla partenza, potrebbe mettere nuovamente in croce la maglia gialla. Per sua fortuna la giornata più calda è un toccasana per la sua bronchite e si trova a soffrire meno rispetto il giorno prima, arrivando a contenere il ritardo in 15” nei confronti di Lemond, mentre maggiormente guadagna Roche, che al traguardo lo precede di un minuto e mezzo, arrivando più a insidiare il secondo posto dell’americano che il primato del francese. L’Aubisque pomeridiano viene “bruciato” in partenza nella semitappa diretta a Pau, che vede approdare una fuga a due inizialmente promossa da Álvaro Pino, al quale si accoda in discesa il francese Régis Simon, che poi regola allo sprint lo spagnolo.
Uscito con quale scricchiolio dalla fase pirenaica, che l’ha lasciato in giallo con 2’13” su Lemond e 3’30” su Roche, Hinault si appresta ad affrontare senza troppe preoccupazioni due snelle tappe di trasferimento verso l’ultima cronometro. Sono occasioni ideali per i cacciatori di tappe – Vanderaerden vince allo sprint su Kelly a Bordeaux, l’olandese Johan Lammerts s’impone in solitaria a Limoges – ma anche per distanziare un Roche che, come abbiamo detto, potrebbe nella tappa contro il tempo mettere in pericolo il secondo posto di Lemond. Nel viaggio verso Limoges, infatti, l’organizzazione ha disseminato secondi d’abbuono e l’americano è stato lesto ad accaparrarsene sedici, una mossa che gli da sicurezza in vista della cronometro. E la crono gli è amica perché è proprio Greg ha far registrare il miglior tempo nel tormentato circuito del Lago di Vassivière, con il più fresco e giovane americano che riesce a dare 5” al suo più navigato e stanco capitano, che paga non solo l’età che avanza ma anche le tribolazioni che gli ha offerto questo Tour tra Alpi e Pirenei.
L’indomani, dopo la vittoria del belga Matthijs sugli Champs-Élysées, Hinault può così salire sul podio del suo ultimo Tour, vinto con il vantaggio più basso di sempre, 1’42” su Lemond, un delfino che voleva mostrare i denti.
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE
Nota: mancano il prologo e le prime tre tappe