BATTI UN CINQUE – 1995, IL QUINTO TOUR DI INDURAIN

luglio 1, 2020
Categoria: News

L’era Indurain terminerà ufficialmente il 6 luglio del 1996 sulla salita di Les Arcs. Un anno prima il campione spagnolo aveva vinto il suo quinto e ultimo Tour de France, un’edizione della Grande Boucle che aveva offerto agli italiani prima la gioia per i due successi di tappa di Marco Pantani e poi il dolore per la tragica scomparsa di Fabio Casartelli.

Un solo nome, un solo uomo. Fabio Casartelli.

Per gli italiani il Tour del 1995 non è il quinto vinto da Miguel Indurain, primo corridore riuscito a imporsi per cinque volte di fila nella storia. Non è nemmeno quello delle prime due vittorie di tappa conseguite da Marco Pantani sulle strade della Grande Boucle. Per tutti gli sportivi italiani, anche per quelli che non sono appassionati di ciclismo, l’edizione del 1995 rimarrà per sempre quella dell’immenso dolore patito il 18 luglio per la tragica scomparsa di Fabio Casartelli, evento che ammantò di lutto un Tour che si stava nuovamente avviando alla conclusione con un Indurain saldamente in maglia gialla, pur avendo avvertito lo spagnolo le prime avvisaglie del tempo che inserorabilmente trascorreva.

Quell’anno il Tour scatta dalla Bretagna con soli due corridori a spartirsi il ruolo di grandi favoriti per la vittoria finale perché l’unico in grado di contrastare Indurain sembrerebbe l’elvetico Tony Rominger, reduce da un Giro d’Italia che ha dominato incontrastato anche per l’assenza di avversari alla sua altezza. Al via ci sarebbe anche Marco Pantani, ma ci sono dubbi sulla sua condizione a causa dell’incidente in allenamento che l’ha costretto a saltare la Corsa Rosa e a ripiegare sul Tour de Suisse, dove ha comunque conquistato la tappa con arrivo in salita a Flumserberg. Alla fine, il Tour del primo si rivelerà fallimentare su tutta la linea, mentre quello del “Pirata” avrà un sapore agrodolce, condito da due successi di prestigio ma reso aspro dagli strascichi della caduta di due mesi prima e da una notte insonne che lo penalizzerà alla vigilia dello stesso tappone nel quale perderà la vita Casartelli. Alla fine i corridori che più si avvicineranno a Indurain saranno l’altro elvetico Alex Zülle e il sempre più sorprendente danese Bjarne Riis, proprio il corridore che l’anno successivo interromperà la serie di vittorie del corridore spagnolo, anche se poi ammetterà di aver fatto massiccio uso di doping proprio in quel periodo.

Il via da Saint-Brieuc è disastroso a causa di una tempesta che si abbatte sulla cittadina bretone la sera del cronoprologo, insolitamente da disputare in notturna, e che favorisce i pochi corridori che hanno preso il via quando ancora non ha cominciato a piovere. Tra questi c’è il francese Jacky Durand, che conquista all’asciutto la prima gialla, mentre i “big” vengono frenati dalla strada resa scivolosa dall’acqua e il primo dei nomi più attesi è quello di Rominger, trentesimo nell’ordine d’arrivo con 26 secondi di ritardo: l’elvetico parte con 5 secondi di vantaggio su Indurain, 11 su Chiappucci e 24 su Pantani, mentre non può essere classificato il corridore che più ambiva al successo, il cronoman britannico Chris Boardman, tornato a casa con polso e caviglia fratturati dopo esser stato centrato in pieno da una transenna scagliata via dal forte vento.

La prima frazione è un saliscendi continuo, costituita da una miriade di “côtes” che si susseguono lungo i 233 Km che da Dinan conducono a Lannion, dove il traguardo è posto in vetta a un ennesimo strappo, al termine del quale una cinquantina di corridori si contendono la vittoria, conquistata dal vicentino Fabio Baldato davanti al francese Laurent Jalabert e all’uzbeko Djamolidine Abdoujaparov. È la prima di quattro affermazioni italiane consecutive (in tutto saranno sei), alla quale l’indomani fa eco quella di Mario Cipollini sul traguardo della Perros Guirec – Vitré, che vede il passaggio della maglia gialla da Durand a Jalabert.

Il terzo giorno si disputa la poco amata cronometro a squadre che, come l’anno prima, si rivela fallimentare per la squadra di Pantani, le cui critiche stavolta saranno recepite dagli organizzatori, che la depenneranno dal programma del Tour fino al 2000, per poi tornare abituale nel periodo del settennato di Armstrong e quindi divenire una presenza “una tantum” del percorso della Grande Boucle negli anni più recenti. Di ben tre minuti e undici secondi è, infatti, il pesante passivo della Carrera al termine dei 67 Km della Mayenne – Alençon, che vedono la vittoria a quasi 55 Km orari della formazione italiana Gewiss-Ballan, la squadra di Riis, il cui tempo è migliore per 35” rispetto a quello della Once di Zülle e Jalabert, mentre la Banesto di Indurain è terza a 59” e la Mapei-GB di Rominger quarta a 1’33”.

Jalabert ha conservato la maglia gialla dopo la cronosquadre ma ha i secondi contati perché sono solo otto quelli che lo separano dal secondo posto di Ivan Gotti, che ventiquattore più tardi si ritrova senza far nulla la maglia gialla sulle spalle. A far tutto è una rotatoria a due chilometri e mezzo dal traguardo di Le Havre, all’imbocco della quale una caduta spacca il gruppo in due con quasi 150 corridori che rimangono nella prima parte – dove c’è Cipollini, che conquista il bis dopo la vittoria di Vitré – mentre tutti gli altri giungono al traguardo alla spicciolata e tra questi c’è Jalabert, che perde 50 secondi e la maglia di capo della classifica, ora indossata dallo scalatore bergamasco con appena un secondo di vantaggio sul compagno di squadra Riis.

Terminata allo sprint con la vittoria dell’olandese Jeroen Blijlevens l’interminabile e velocissima tappa da Fécamp a Dunkerque (261 Km percorsi a oltre 44 Km/h grazie al vento a favore), il Tour giunge sulle strade del Belgio dove sono previste tre frazioni proposte in crescendo di difficoltà. La prima è ancora favorevole ai velocisti ma nell’affrontare l’ultimo chilometro, forse a causa della lieve pendenza che lo caratterizza, il gruppo si sgrana leggermente e si causano un paio di buchi che la giuria conteggia come secondi di distacco: e così, mentre il tedesco Erik Zabel festeggia il successo di tappa, Gotti ha l’amara sorpresa di trovarsi spodestato per due secondi da Riis.

La settima tappa presenta un percorso intrigante e insidioso, proposto alla vigilia della prima delle due cronometro lunghe. Si devono percorrere 203 Km alla volta di Liegi e il tracciato pare proprio una versione ridotta della “Doyenne”, con ben 10 GPM che sicuramente ispireranno qualcuno tra gli avversari di Indurain. Con grande sorpresa di tutti, dopo un tentativo subito riassorbito di Jalabert sulla Haute-Levée, è lo spagnolo a muoversi, prima accodandosi a un gruppetto andato all’attacco sul Mont-Theux e poi andando a seguire il belga Johan Bruyneel, con il quale percorre gli ultimi 25 Km. Al traguardo, dove il belga si prende tappa e maglia gialla, il gruppo inseguitore con dentro tutti gli altri favoriti giunge cinquanta secondi più tardi e in tanti si chiedono il perché di questa imprevista azione del corridore spagnolo.

Probabilmente il navarro sente il peso degli anni che passano (la settimana successiva compirà 31 anni), teme di non essere più potente a cronometro come in passato e per questo motivo s’è lanciato nella mischia nella frazione del giorno prima, per vedere se riusciva a guadagnare qualcosa prima della crono. E ha fatto bene perché l’indomani non renderà come al solito nella difficile prova contro il tempo che Jean-Marie Leblanc ha disegnato per 54 Km tra Huy e Seraing, nonostante la vinca a una velocità comunque rilevante, di quasi 50.5 Km/h. Sono i distacchi a non essere quelli soliti: al penultimo intermedio è arrivato ad avere la miseria di cinque secondi di vantaggio su Riis, che diventano dodici a un traguardo dove anche Rominger riesce a limitare i danni piazzandosi terzo a 58”. Più elevati sono i passivi di altri corridori di punta come Jalabert (6° a 2’36”) e Zülle (10° a 3’56”) mentre l’unico tra i grandi a non riuscire ad approfittare di questo momento di appannamento dello spagnolo è Pantani, che incassa quasi otto minuti di ritardo, non solo a causa dei postumi della caduta avvenuta prima del Giro – che in vista delle frazioni alpine saranno risolti dai massaggiatori della Carrera dopo l’improducente visita da un chiropratico belga – ma anche e soprattutto per la sua scelta di voler gareggiare in quel Tour con pedivelle diverse da quelle che utilizza abitualmente e che gli provocano nei primi giorni una sorta di problema di “ambientazione”. Intanto, la situazione in classifica alla vigilia delle Alpi vede Indurain in giallo con 23” su Riis, 2’20” sul vincitore del Giro dell’anno prima Eugeni Berzin, 2’32” su Rominger, 2’46” su Jalabert, 4’29” su Zülle e 11’27” su Pantani.

Le montagne iniziano subito dopo il riposo e serpeggia un po’ di timore perché è ancora vivo il ricordo dell’ecatombe che nel 1993 aveva provocato il tappone di Serre-Chevalier, affrontato a “freddo” subito dopo il giorno di sosta e che aveva visto affondare irrimediabilmente i corridori italiani. Stavolta, invece, pur fioccando i distacchi sul traguardo in salita della Plagne, non si assistono ai crolli verticali visti due anni prima mentre Indurain dimostra di non aver perso per nulla il suo smalto in salita staccando i rivali sull’ascesa finale. Il navarro riesce, infatti, a guadagnare quasi due minuti e mezzo su Pantani, quattro su Rominger, cinque minuti e mezzo su Jalabert e qualcosina di più su Riis, mentre l’unico a sfuggire al suo controllo è Zülle, che era in fuga già da una novantina di chilometri e riesce a guadagnare due minuti sulla maglia gialla, ora ben più salda sulle spalle dello spagnolo. “Miguelon”, infatti, a questo punto vanta già 2’27” su Zülle, 5’58” su Riis, 6’35” su Rominger, 8’14” su Jalabert e 14’02” su Pantani, oggi risalito dalla 34a all’undicesima posizione in classifica.

Il giorno dopo si ritorna sull’Alpe d’Huez, sulla quale dodici mesi prima Pantani aveva fatto realizzare il miglior tempo di scalata, senza però riuscire a cogliere il successo di tappa. Stavolta gli va decisamente meglio perché riesce ad ottenere la sua prima vittoria al Tour, a staccare di un minuto e mezzo Indurain, Zülle e Riis e a migliorare di 13 secondi il suo record portandolo a 36′40″, un “tempone” che da allora più nessuno è riuscito a perfezionare. Tra gli altri favoriti, Jalabert giunge al traguardo 2’26” dopo l’arrivo del “Pirata” mentre il distacco di Rominger supera di poco i 3 minuti e al termine della due giorni alpina Indurain guarda ancora tutti dall’alto in basso con 2’27” su Zülle, sei minuti spaccati su Riis, 8’19” su Rominger, 9’16” su Jalabert e 12’38” su Pantani, che ha guadagnato altre piazze in classifica e ora è settimo.

Dopo la tappa di Saint-Étienne, vinta dell’ex italiano Maximilian Sciandri (italo-inglese, da febbraio ha deciso di correre con il passaporto britannico per poter disputare il mondiale con la nazionale di quello stato, non essendo mai stato selezionato da Alfredo Martini), sulle tormentate strade del Massiccio Centrale si disputa una frazione destinata a rimanere nella storia, al punto che da quel giorno la ripida salita finale verso il traguardo di Mende cambierà nome e da “Côte de la Croix Neuve” diventerà per tutti, e non solo per i francesi, la “Montée Laurent Jalabert”. Nel giorno della festa nazionale il corridore transalpino s’inventa una fuga di quasi 200 Km – assieme ad altri corridori che poi stacca sull’ascesa finale – che lo porta a guadagnare quasi sei minuti, grazie ai quali torna a risalire sul podio, portandosi al terzo posto della classifica con 3’35” di ritardo da Indurain.

Un’altra tappa di trasferimento (a Revel s’impone l’ucraino Serguei Outschakov davanti all’americano Lance Armstrong) precede l’assalto ai Pirenei, sui quali Pantani ribadisce d’esser scalatore dotato di fondo attaccando lontano dal traguardo, quando ancora mancano 40 Km all’approdo nella stazione di sport invernali di Guzet-Neige. Fa il vuoto sotto la pioggia, si presenta 43 secondi prima di Indurain sulla vetta del Port de Lers, poi incrementa il suo vantaggio sui colli successivi portandolo ai due minuti e mezzo con i quali taglia la linea d’arrivo, mentre il suo passivo da colmare in classifica è ora di quasi dieci minuti, tanti se si pensa sono rimaste solo due tappe a disposizione degli scalatori e di queste solo la prima è utile per tentare di accorciare le distanze dalla maglia gialla.

C’è ancora un giorno di riposo, durante il quale Pantani ne approfitta per fare “acquisti” (ne riparliamo più sotto), poi si deve affrontare l’ultimo tappone del Tour 1995, 206 Km e sei colli da scavalcare tra Saint-Girons e Cauterets, traguardo che ha già fatto impazzire gli organizzatori, costretti qualche mese prima a cambiare la salita finale – rinunciando a quella diretta alla località Pont d’Espagne per quella che conduce a Crête du Lys – a causa della protesta degli ambientalisti che aveva minacciato di boicottare la tappa. Tutti gli occhi sono puntati su Pantani, ma è il suo collega Richard Virenque ad andare a bottino presentandosi tutto solo al traguardo con 1’17” su Chiappucci e due minuti e mezzo su Riis, Indurain e Zülle, mentre torna a perdere le ruote dei migliori Jalabert, che accusa oltre quattro minuti di ritardo a Cauterets. Ancora peggio fa Pantani, che accusa quasi un quarto d’ora di passivo senza mai esser entrato nel vivo della corsa a causa della notte insonne trascorsa qualche ora prima. Tutta colpa dell’”acquisto” effettuato durante il giorno di riposo, un cavallo che porterà nella sua Cesenatico ma che gli costa una brutta infreddatura durante la visita al maneggio nel quale si era recato per comprarlo. Ai dolori corporali per questa mezza influenza si unisce poi il peso che si porta nel cuore dopo che dall’ammiraglia l’hanno avvisato di quanto successo in corsa, al 34° Km di gara, quando lungo la discesa dal Portet d’Aspet, il primo dei sei colli in programma, s’era spenta la vita di Fabio Casartelli. Il corridore comasco, che il mondo dello sport aveva conosciuto quando nel 1992 aveva conquistato l’oro nella gara su strada alle olimpiadi di Barcellona, era caduto in una maledetta curva che aveva tradito anche altri corridori, come il francese Dante Rezze, che in quel drammatico capitombolo era volato fuori dalla strada, precipitando nella scarpata dalla quale lo estrarranno i soccorritori. A questi appare ben più drammatica la situazione dell’italiano, come i telespettatori avevano già avuto modo di notare dalle veloci immagini riprese della moto della tv francese, che immortalano Fabio a terra, rannicchiato come se stesso dormendo col capo appoggiato a un cuscino d’asfalto e sangue, tanto sangue. Ha battuto il capo contro un paracarro e il danno subìto è purtrippo irrimediabile: la disperata corsa in elicottero verso l’ospedale di Tarbes è inutile e ai medici non rimane che comunicare la notizia del decesso dell’atleta.

L’indomani non c’è voglia di correre. Era già successo, in passato, che si disputasse regolarmente la tappa il giorno dopo la morte in corsa di un corridore, ma stavolta c’è una sensibilità diversa in gruppo e si decide di dedicargli quella che doveva essere l’ultima frazione di montagna. I 237 Km che si devono percorrere tra Tarbes e Pau prevedono cinque colli, tra i quali l’Aubisque e il Soudet, ma nulla succede perché tutti rimangono compatti, realizzando un mesto corteo funebre che vede i corridori rimanere in sella otto ore solo per omaggiare il compagno di viaggio deceduto. All’ultimo chilometro vengono fatti avvantaggiare i corridori della Motorola, la formazione di Casartelli, poi si dispone che i premi in programma fra traguardi volanti e gran premi della montagna, vengano destinati ad Annalisa, la giovane moglie di Fabio che appena due mesi prima aveva dato alla luce un bambino.

Il giorno del funerale di Fabio si corre la tappa di Bordeaux, vinta allo sprint da Zabel, poi Armstrong trova l’occasione per dedicare personalmente un successo al compagno di squadra che non c’è più. Lo fa all’ultima occasione utile, azzeccando la fuga tra Montpon-Ménestérol e Limoges, traguardo al quale si presenta puntando gli indici al cielo e mandando baci verso le nuvole.

Asciugate per l’ennesima volta le lacrime, il sipario torna ad alzarsi sull’alta classifica nella seconda e ultima delle cronometro individuali previste dal tracciato. Sul tortuoso circuito del Lac de Vassivière stavolta Indurain è autore di una prestizione migliore rispetto a quella della crono belga, nella quale i corridori che gli arrivano più vicino sono gli stessi di Seraing, con Riis e Rominger che accusano rispettivamente 48” e 1’05” di ritardo.
Ventiquattore più tardi il successo a Parigi di Abdoujaparov mette i sigilli al quinto e ultimo Tour a “trazione Indurain”, vinto dal corridore iberico con 4’35” su Zülle, 6’47” su Riis, 8’24” su Jalabert, 16’46” su Rominger e 13’21” su Pantani.

L’era Indurain si chiuderà ufficialmente un anno più tardi, il 6 luglio nel 1996, nel corso del tappone alpino di Les Arcs. Sarà quella un’edizione atipica per le condizioni meteo che si patiranno nella prima settimana, quando un luglio insolitamente freddo costringerà – per la prima e unica volta nella storia – a modificare una tappa a causa della neve. L’inizio del Tour non è troppo negativo per il corridore spagnolo, che accusa 12 secondi di ritardo da Zülle nel cronoprologo di ’s-Hertogenbosch. Stavolta non è prevista la cronosquadre e la prima crono lunga s’affronterà solo dopo la prima tappa di montagna, che da Chambéry conduce all’inedito traguardo di Les Arcs. Indurain controlla come al solito e fino a tre chilometri e mezzo dal traguardo non ci sono sorprese. Ma il navarro, forse a causa delle temperature eccezionalmente fresche, non ha bevuto a dovere ed è vittima d’una crisi di sete che lo porta ad accusare più di quattro minuti dal francese Luc Leblanc e qualcosa meno sugli altri avversari. La cronoscalata dell’indomani verso Val-d’Isère vede ancora in scena un Indurain oramai “impallidito” rispetto al corridore che fino all’anno prima dominava le prove contro il tempo e anche nelle successive tappe di montagna non riuscirà più a recuperare il terreno perduto e, anzi, perderà ancora parecchi minuti. Si rivedrà il solito asso acchiappatutto a cronometro solo nella tappa contro il tempo del penultimo giorno a Saint-Emilion, dove tornerà a staccare pesantemente tutti gli altri avversari ma si troverà a fare i conti con un 22enne, Jan Ullrich da Rostock, che riuscirà per 56 secondi a far meglio dell’oramai 32enne navarro di Villava.

L’era Indurain è terminata.

Mauro Facoltosi

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