BATTI UN CINQUE – 1994, IL QUARTO TOUR DI INDURAIN
Tramontata l’era di Chiappucci e Bugno al Tour irrompono sulle scene della Grande Boucle il russo Piotr Ugrumov e il romagnolo Marco Pantani, i due scalatori che nelle più recenti edizioni del Giro avevano messo alle corde Indurain in salita. Non ce la faranno nemmeno loro a impedirgli la quarta vittoria al Tour ma gli finiranno alle spalle, con il “Pirata” che conferma anche sulle strade francesi le doti messe in mostra alla Corsa Rosa un mese prima.
Piotr Ugrumov. Marco Pantani. E un uomo che si dibatte insonne nel letto.
Se alla vigilia della partenza del Tour del 1994 Miguel Indurain avesse avuto gli incubi, sicuramente i protagonisti di questi sogni sarebbero stati loro due. Il russo al Giro del 1993 era stato il primo a metterlo in crisi in salita, era successo salendo verso Oropa nella penultima giornata di una corsa che il navarro era comunque riuscito a vincere, con 58” di vantaggio su Ugrumov. L’italiano aveva fatto di “peggio” (o di meglio, a seconda dei punti di vista): un mese prima nel tappone dell’Aprica lo aveva pesantemente staccato in salita e poi lo aveva sopravanzato in classifica a Milano, anche se il successo finale era andato a un terzo corridore che li aveva preceduti entrambi, Eugeni Berzin, altro russo.
E adesso al Tour che si accinge a partire da Lilla li avrebbe trovati in gara tutte e due, il primo alla sua seconda esperienza dopo aver preso parte all’edizione del 1990 (terminata in 45a posizione) e il secondo al debutto assoluto. Oltre a guardarsi da questi due pericolosi avversari Indurain dovrà poi fronteggiare anche Tony Romiger, che l’anno precedente era giunto secondo in classifica dopo essersi “permesso” di batterlo nell’ultima cronometro, ma fortunatamente per lui il corridore elvetico uscirà di scena alla prima tappa di montagna, messo ko da un’intossicazione alimentare. In gara ci sono ancora Claudio Chiappucci e Gianni Bugno, i due corridori che fino a qualche stagione fa erano le due “punte” italiane al Tour ma che ora si ritrovano con le armi spuntate: entrambi finiranno la corsa anticipatamente, imboccata la strada che lentemente li porterà al ritiro agonistico nel 1998.
La prima sfida tra i corridori che ambiscono a vestirsi in giallo a Parigi si svolge sui sette pianeggianti chilometri del cronoprologo di Lilla, che si conclude favorevolmente per Indurain: il campione spagnolo riesce a staccare di 4” Rominger, di 18” Chiappucci, di 20” Ugrumov, di 39” Bugno e di 41” Pantani, ma non è sua la prima maglia gialla perché meglio di lui fa per 15 secondi l’ex recordman dell’ora Chris Boardman (ad aprile il connazionale Graeme Obree si era ripreso il primato), che nell’occasione fa registrare la media più veloce della storia del Tour (55.152 Km/h).
La prima tappa è un piattone di 234 Km in direzione di Armentières, attraversando le terre dell’”Inferno del Nord” ma senza proporre nemmeno un tratto di pavè. Nonostante questo l’inferno si scatena per davvero perché, alle spalle della vittoria dell’uzbeko Djamolidine Abdoujaparov, sul rettilineo d’arrivo un poliziotto provoca una delle più spaventose cadute della storia del Tour. Doveva trattenere la folla entro le transenne e invece è lui a sporgersi verso il gruppo per scattare una foto, finendo per essere centrato in pieno petto dalla testa del velocista belga Wilfried Nelissen. La caduta dei due innesca un ruzzolone generale, con il gruppo che salta letteralmente per aria per poi piombare sull’asfalto, sul quale il francese Laurent Jalabert lascia parte della sua dentatura e la prima parte della sua carriera. Sarà l’unico a uscirne avantaggiato perché dopo questa giornata deciderà di non lanciarsi più nella mischia degli sprint e si scoprirà corridore in grado di emergere a cronometro e in salita grazie ai suggerimenti del suo medico curante, che durante la convalescenza gli consiglierà di camminare a lungo nell’acqua del mare, potenziando così maggiormente la muscolatura delle gambe.
Altro sprint (stavolta senza incidenti) nella Roubaix – Boulogne-sur –Mer, vinta dall’olandese Jean-Paul Van Poppel, poi arriva il giorno della cronometro a squadre, per la quale è stato predisposto un impegnativo tracciato di 66,5 Km, caratterizzato anche da alcuni saliscendi e disegnato tra Calais e il piazzale dell’Eurotunnel sotto la Manica, che era stato inaugurato due mesi prima. Come l’anno precedente a imporsi è la GB-MG, mentre stavolta la Carrera di Chiappucci e Pantani, che nelle cronosquadre più recenti era stata la migliore tra le formazioni dei big, incassa la prestazione peggiore, preceduta di 33” dal Team Polti di Bugno, di 54” dalla Gewiss-Ballan di Ugrumov, di 1’14” dalla Mapei-Clas di Rominger e di 1’38” dalla Banesto di Indurain.
È prevista a questo punto una trasferta di 48 ore in Gran Bretagna che porta bene ai corridori italiani, a cominciare dalla conquista della maglia gialla da parte del trevigiano Flavio Vanzella, che sul traguardo della Dover – Brighton si piazza terzo a 20” dal vincitore – lo spagnolo Francisco Cabello – e riesce per quattro secondi a togliere le insegne del primato dalle spalle del suo compagno di squadra Johan Museeuw. A completare la festa azzurra oltremanica è l’indomani il successo allo sprint del veronese Nicola Milani, che a Portsmouth anticipa il tedesco Olaf Ludwig e il corregionale Silvio Martinello.
Tornato in patria, il Tour continua a parlare italiano grazie al milanese Gianluca Bortolami, che s’impone nell’interminabile Cherbourg – Rennes, 270 Km che vedono andare in porto una fuga da lontano di sette corridori, giunta al traguardo con 46” di vantaggio sul gruppo e una nuova maglia gialla, il britannico Sean Yates, che oltre a toglierla a Vanzella la nega per un solo secondo a Bortolami.
Un nuovo cambio al vertice è all’orizzonte e l’avvicendamento si concretizza il giorno successivo all’arrivo di un’altra tappa particolarmente lunga, che vede i corridori pedalare alla volta del parco Futuroscope per quasi 260 Km, 155 dei quali percorsi in fuga solitaria dal veronese Eros Poli, che oggi sarà raggiunto dal gruppo ma che più avanti troverà un’altra occasione per farsi notare. Intanto grazie ai secondi racimolati in abbuoni strada facendo il belga Museeuw riesce a strappare la maglia gialla a Yates, mentre lo sprint finale vede il ceco Ján Svorada transitare per primo sulla linea d’arrivo davanti ad Abdoujaparov e Ludwig.
Dopo una tappa semicollinare da Poitiers a Trélissac, che vede ancora arriva la fuga con vittoria del danese “Bo” Hamburger, si giunge all’appuntamento più temuto e allo stesso momento attesto dagli avversari di Indurain, una lunga e veloce cronometro che da Périgueux conduce fino a Bergerac. Le pessime prestazioni che “Miguelon” aveva fornito nelle due crono del Giro d’Italia, unite al ricordo della tappa dell’anno precedente che l’aveva visto battuto da Rominger sul suo terreno prediletto, lasciano immaginare altri scenari simili, ma non sarà così perchè il capitano della Banesto dimostra sulle filanti strade della Dordogna d’aver ampiamente superato i problemi che lo avevano condizionato alla Corsa Rosa ed è autore di una gara “monstre” che fa tornare alla mente la sua vittoria di due anni prima in Lussemburgo: percorre i 64 Km del tracciato in 1h15’58”, a una media di 50.539 Km/h, e affibbia distacchi che fanno male, dai due minuti patiti da Rominger ai 6’04” di Ugrumov, per non parlare degli undici minuti perduti da Pantani.
Con queste premesse si attendono febbrilmente i Pirenei, preceduti da una vallonata tappa di trasferimento che termina a Cahors con il successo in solitaria del francese Jacky Durand, che al traguardo precede di 55” il bergamasco Marco Serpellini, in precedenza in fuga con lui e altri due compagni d’avventura, Bortolami e l’australiano Stephen Hodge.
La prima frazione pirenaica è un’altra sbornia di chilometri, 259.5 Km per la precisione, totalmente pianeggiante fino ai piedi dell’inedita salita finale verso la stazione di sport invernali di Hautacam, che amministrativamente appartiene al municipio di Beaucens ma che gli organizzatori hanno accomunato nella nomenclatura del Tour a quello di Lourdes, la cittadina del celebre santuario mariano distante una ventina di chilometri. E, nonostante un impenetrabile nebbione, la Madonna per davvero appare a qualcuno, come a Chiappucci, che soffre come un cane a causa di un’intossicazione alimentare contratta in albergo, lo stesso nel quale alloggiava la formazione di Rominger, che pure ne patisce. E quando la maglia gialla s’accorge che l’avversario elvetico è in crisi lo attacca duramente con un’azione alla quale resiste solo il francese Luc Leblanc, al quale lascia la vittoria, e che gli permette di andare a riprendere Pantani, che con un precedente scatto era riuscito a guadagnare una quarantina di secondi: il “Pirata” giunge terzo al traguardo con 18 secondi di ritardo, Ugrumov è 6° a 1’26”, Rominger 16° a 2’21” mentre Chiappucci, che durante la tappa è stato costretto a fermarsi più volte per vomitare e che si ritirerà durante il successivo giorno di riposo, conclude la tappa tra gli ultimi di giornata con un ritardo di quasi 24 minuti.
Più fortuna ha Pantani nel tappone di Luz Ardiden perché Indurain stavolta preferisce non inferire ulteriormente sul delibitato Rominger, che a differenza di Chiappucci non si è ritirato (ma lo farà a breve) e oggi perde altri tre minuti dallo spagnolo. Così lo scalatore di Cesenatico riesce a capitalizzare l’attacco che mette in scena sul Tourmalet, pur sfuggendogli la vittoria di tappa perché a quel punto è oramai imprendibile Richard Virenque, in fuga sin dal Peyresourde e in testa alla corsa con più di sette minuti di vantaggio. Al traguardo il francese si presenta in solitaria quattro minuti e mezzo prima dell’arrivo di Marco, che a sua volta riesce a precedere di tre minuti la maglia gialla, giunta all’uscita dai Pirenei con il Tour in tasca ermeticamente chiusa. Ora, infatti, lo spagnolo ha ben otto minuti di vantaggio su Virenque, che ha lo stesso distacco in classifica di Rominger, mentre Pantani è 8° a 11′55″ e Ugrumov è 10° a 13′17″.
Tutti sono adesso curiosi di vedere cosa riuscirà a combinare Pantani sulle salite alpine, che debutteranno tre giorni dopo con la salita al Mont Ventoux. Nel frattempo si devono affrontare due movimentate tappe di trasferimento nelle quali fanno notizia, più che le due vittorie danesi consecutive (Bjarne Riis ad Albi e Rolf Sørensen a Montpellier), i ritiri eccellenti che decimano la carovana: oltre a Rominger, lasciano il Tour il campione nazionale francese Durand, pure lui colpito da gastroenterite, e l’italiano Bugno che, oltre ad avere a questo punto un passivo di quasi 50 minuti da Indurain, fin dai giorni del Giro era in rotta con il suo storico direttore sportivo Gianluigi Stanga e, infatti, al termine della stagione lascerà il Team Polti per passare alla MG Boys (il nome che la GB-MG adotterà tra il 1995 e il 1997) diretta da Giancarlo Ferretti.
Sul “Gigante della Provenza” va poi in scena un doppio show a firma italiana, con protagonisti Poli e Pantani. È il primo il vero protagonista di giornata, in fuga solitaria per quasi 170 Km e vincitore al traguardo di Carpentras con quasi 4 minuti sul gruppo dopo aver guadagnato ben 25’30” e aver successivamente dilapidato gran parte di questo bottino salendo sul Ventoux. Mentre davanti il corridore veronese viaggia verso la vittoria, dal gruppo maglia gialla esce lo scalatore romagnolo, che in vetta all’ascesa provenzale transita con un minuto e mezzo su Indurain e poi viene riacciuffato in discesa con una planata da brividi, che vede lo spagnolo rischiare il fuoripista in una curva.
Al Ventoux segue a ruota un’altra salita storica che stuzzica a puntino un corridore come Pantani, l’Alpe d’Huez. Neanche qui Marco tradisce le attese andando all’attacco e stavolta non c’è una discesa subito dopo a rovinargli la festa: su quei mitici 14 Km stabilisce il tempo record di scalata (37 minuti e 15 secondi a 22.228 Km/h) battendo quello precedente di Bugno (40’27” nel 1991) e rosicchia 2’15” a Indurain, ma anche oggi non è lui ad alzare le braccia al cielo. Al traguardo, infatti, l’hanno preceduto sette dei quattordici corridori andati in fuga subito dopo la partenza e tra questi c’è Roberto Conti, un conterraneo del “Pirata”, che mette il sigillo in una delle tappe più attese precedendo di due minuti il colombiano Hernán Buenahora.
La vera impresa Pantani la compie il giorno dopo, quando è autore di un vero e proprio “miracolo” per come si erano messe per lui le cose durante il tappone che da Bourg-d’Oisans conduce in 149 Km a Val Thorens. A una ventina di chilometri dalla partenza il “Pirata” cade nell’affrontare una delle brevi discesine che spezzano l’interminabile versante sud del Col du Glandon e finisce in una pietraia a bordo strada, battendo il ginocchio. L’articolazione si gonfia e Marco ci mette un minuto buono per rimettersi in sella, ma fatica a procedere ed è necessario l’intervento del dottor Gérard Porte, il medico del Tour, che cerca di risolvere il problema ricorrendo al ghiaccio spray. Ma Pantani scuote la testa a più riprese e l’espressione del suo volto, deformata dal dolore, lascia intendere un ritiro oramai prossimo. Poi arriva una prima resurrezione, quando riesce a tornare in gruppo e tenta addirittura un attacco sul Col de la Madeleine, e poi una seconda e stavolta non ce n’è per nessuno: scatta a cinque chilometro e mezzo dal traguardo e porta via un altro minuto e mezzo a Indurain, anche se pure in quest’occasione la fuga di giornata ha accumulato un vantaggio irrecuperabile e vede imporsi il colombiano Nelson Rodríguez davanti al russo Ugrumov, che zitto zitto pure lui oggi guadagna parecchio sul navarro. Ora la maglia gialla comanda con 7’21” su Virenque, 8’11” su Pantani (che in due giorni è risalito dal sesto al terzo posto), 8’38” su Leblanc, 10’04” su Conti e 11’34” su Ugrumov.
Forse Indurain si era dimenticato del russo che lo aveva messo in difficoltà al Giro del 1993, complici anche i quasi dodici minuti che Ugrumov aveva perduto tra la crono di Bergerac e le tappe pirenaiche. Ma ora l’incubo torna a bussare alle porte con prepotenza e dopo il secondo posto a Val Thorens per l’ex sovietico arriva la vittoria nella Moûtiers – Cluses, che lo vede solitario al traguardo con 2’39” su Indurain, che a sua volta riesce a guadagnare quasi un minuto su Pantani attaccandolo con Virenque nella discesa che dal Col de la Colombière conduce al traguardo. Grazie alle azioni dei due corridori ora il “Pirata” si vede costretto ad arretrare in quarta posizione, lasciando il gradino più basso del podio proprio a Ugrumov.
E non è ancora finita per il russo che il giorno fa sua anche la complicata cronoscalata ad Avoriaz, una cronoscalata “tripla” perché prima dell’impegnativa ascesa finale ne sono previste altre due più morbide, la Côte de Châtillon-sur-Cluses e quella di Les Gets: in 47 Km e mezzo riesce a distanziare di 1’38” Pantani e di 3’16” Indurain mentre crolla il secondo della classifica generale, Virenque, che perde quasi 6 minuti e precipita giù dal podio fino alla quinta posizione.
L’indomani ci sarebbe ancora un’ultima salita da affrontare, il lungo Col de la Faucille per il quale la tv francese ha previsto una diretta anticipata, come quelle proposte in occasione dei tapponi. Ma la stanchezza accumulata nelle giornate precedenti è tale che il gruppo decide di affrontare al piccolo trotto questa penultima frazione, disegnata tra Morzine e le sponde del lago di Saint-Point; la salita non lascia strascichi e così all’arrivo il gruppo si presenta totalmente compatto, senza nessun distacco da segnalare tra il vincitore e l’ultimo elemento del gruppo a transitare dal traguardo. La vittoria di Abdoujaparov viene vista come una sorta di anticipo del quasi certo sprint in programma il giorno successivo sugli Champs-Élysées e invece si rivelerà come il “canto del cigno” per i velocisti in questa edizione del Tour.
L’ultima tappa, infatti, sfugge al controllo delle formazioni degli sprinter, che per una trentina di secondi non riescono ad annullare le distanze dalla fuga partita al secondo degli otto giri del tradizionale circuito finale. Così è un corridore che mai si sarebbe sognato di vincere su questo prestigioso traguardo, il francese Eddy Seigneur, a trionfare sulla celebre avenue parigina per poi lasciare il palcoscenico finale per la quarta volta a Indurain, giunto in giallo nella capitale francese con 5’39” su Ugrumov e 7’19” su Pantani.
L’incubo è rimasto tale, soltanto un brutto sogno.
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE