1978, QUEL GIORNO TRA CALLI E RII

maggio 19, 2020
Categoria: News

Nel 1978 Vincenzo Torriani riesce finalmente a coronare il suo “sogno rosa” di portare il Giro d’Italia in Piazza San Marco a Venezia. È questa la tappa principalmente ricordata di quell’edizione, pur non avendo avuto un peso significativo nella storia di quel Giro, vinto dal belga Johan De Muynck e che segnò la nascita della rivalità tra Moser e Saronni.

Il Giro del 1978 è forse l’unico della storia della Corsa Rosa a essere ricordato non per l’impresa di un campione o per una particolare azione di corsa, ma per una tappa a cronometro breve e nemmeno troppo incisiva per la classifica. Quella era la tappa che vide concretizzarsi un sogno ricorrente di Vincenzo Torriani, quello di portare il Giro d’Italia in Piazza San Marco a Venezia prima che i francesi riuscissero a organizzare un arrivo di tappa in cima alla Tour Eiffel (parole sue). Non era la prima volta che il vulcanico patron accarezzava questo sogno che era arrivato vicino a realizzare nel 1963 perché nel marzo di quell’anno, quando fu svelato il percorso del Giro, sulla planimetria spiccava tra le altre frazioni una cronometro di 50 Km che collegava Treviso a Piazza San Marco. Nelle settimane successive, però, il progetto saltò e quella tappa si disputò tutta sulla terraferma, in circuito attorno a Treviso. E forse fu meglio così perché se quel giorno si fosse corso sul tracciato prestabilito si sarebbe arrivati a Venezia in un giorno molto triste per l’Italia, per il mondo intero e per la città veneta in particolare: era il 4 giugno e ventiquattrore prima era venuto a mancare Giovanni XXIII, il “Papa Buono” che prima di essere eletto pontefice era stato per molti anni patriarca di Venezia. Torriani per poter finalmente vedere i suoi “girini” pedalare tra calli e rii dovrà attendere l’intero pontificato del successore di Papa Roncalli: riuscirà nel suo progetto nel 1978, tre mesi prima della scomparsa di Papa Paolo VI, al quale succederà un altro patriarca veneziano, quell’Albino Luciani che prenderà il nome di Giovanni Paolo I e il cui papato durerà solamente 33 giorni.

Al via di quell’edizione del Giro, che scatta da Saint-Vincent con un breve “preludio agonistico” in salita di 2 Km dal casinò alle terme, ci sono due grandi favoriti, l’italiano Gianbattista Baronchelli, che era giunto terzo al Giro dell’anno precedente, e il tedesco Dietrich Thurau, che si era piazzato quinto all’ultimo Tour. Anche Francesco Moser, secondo l’anno prima, potrebbe fare bene grazie alle cronometro, mentre c’è molta attenzione sul promettente Giuseppe Saronni, al secondo anno di professionismo, che corre in squadra con Baronchelli. C’è anche il “vecchio” Felice Gimondi, che viaggia verso i 36 anni e affronta il suo ultimo Giro per fare da spalla a Johan De Muynck, il corridore belga al quale due anni prima il bergamasco aveva soffiato la maglia rosa per soli 19” alla penultima tappa. Manca, invece, il connazionale Michel Pollentier, che aveva vinto il Giro del 1977 e per quella stagione ha messo nel mirino il Tour, corsa dalla quale sarà espulso per aver tentato di frodare il controllo antidoping al traguardo della tappa dell’Alpe d’Huez, che aveva vinto conquistando la maglia gialla, poi assegnata all’olandese Joop Zoetemelk (a Parigi arriverà in giallo Bernard Hinault).

Il primo giorno di gara risulta piuttosto caotico a causa della decisione di anticipare di sette giorni la partenza del Giro rispetto alle date solite per evitare la sovrapposizione mediatica con la prima settimana del campionato mondiale di calcio, che inizia in Argentina il primo giugno. In questa maniera, però, il prologo del Giro viene a disputarsi il 7 maggio, lo stesso giorno nel quale si conclude il Giro di Romandia e ci sono corridori iscritti a entrambe le gare che, una volta terminata la corsa elvetica a Thyon, devono poi precipitarsi in Valle d’Aosta. Così si decide di non considerare il “preludio” né valido per la classifica, né per l’assegnazione della maglia rosa, istituendo premi e ingaggi per ciascun corridore, che solo per prendere parte alla gara riceveranno dall’organizzazione centomila lire dell’epoca (corrispondenti a circa 340 €). Nonostante questo ci sono proteste e alcuni corridori – come Gimondi, per esempio, che arrivava proprio dal Romandia – decidono di rimanersene in albergo e di non disputare la gara, senza venire per questo sanzionati dalla giuria, che forse ha capito che non è il caso di usare il pugno di ferro. Per chi, invece, sceglie di correre il tempo migliore è quello di Thurau che per soli 4 centesimi di secondo fa meglio di Moser, mentre terzo a 3” è Saronni.

Il primo atto ufficiale è una frazione pianeggiante di 175 Km che dalla località termale valdostana conduce a Novi Ligure, dove il belga Rik Van Linden conquista la prima maglia rosa regolando allo sprint Thurau e il connazionale Alfons De Bal. E, nonostante l’ascesa al Passo del Bracco nel finale della tappa successiva, si arriva allo sprint anche sul traguardo della Spezia, dove Van Linden riesce a difendere la sua leadership piazzandosi secondo alle spalle di Saronni. Beppe esulta sul traguardo per la sua prima vittoria in carriera al Giro, ma non sa ancora che non ci sarà festa per il suo successo perché la direzione ha sospeso tutte le cerimonie di rito in seguito al tragico epilogo del sequestro di Aldo Moro, il cui cadavere era stato rinvenuto quel pomeriggio nel bagagliaio di un’auto parcheggiata in Via Caetani a Roma.

A differenza di quanto accaduto nel 1974, quando dopo la strage di Piazza della Loggia il Giro osservò un giorno di riposo in segno di lutto, stavolta la Corsa Rosa non si ferma e propone il giorno successivo la prima salita, il Monte Serra. Sull’ascesa pisana se ne va un uomo pericoloso come De Muynck e dietro Moser insegue, almeno fino a quando il trentino si accorge che Saronni non lo aiuta e rallenta. È forse in quest’occasione che nasce la storica rivalità tra i due corridori, che oggi si fanno scappare un pesce grosso come il belga, giunto al traguardo di Cascina con 52” sul gruppo degli altri migliori (regolati proprio dal trentino) e sulle spalle quella maglia rosa che non mollerà più.

Non sarà comuque una passeggiata quella sulle strade d’Italia per De Muynck, che l’indomani dilapiderà quasi tutto quanto guadagnato sul Monte Serra nella cronometro individuale da Larciano a Pistoia, 25 Km pianeggianti a parte il pedalabile strappetto di Serravalle Pistoiese. Come nel preludio valdostano, è Thurau il più lesto a coprire la distanza, impiegando poco più di mezz’ora alla media di 47,650 Km/h e precedendo anche in quest’occasione Moser, secondo a 7”. Saronni accusa 37”, principalmente a causa di un incidente meccanico che lo rallenta, il peggiore dei big è Baronchelli che perde 1’22” dal tedesco, mentre la maglia rosa si piazza sesta a 44” e salva il primato per soli 8”, con Moser che torna a farsi sotto e ora è 3° a 15”.

Seguono due tappe destinate ai velocisti, entrambe conquistate da Van Linden, che a Cattolica precede Moser e Marino Basso, mentre a Silvi Marina a essere battuti dal belga sono i connazionali Roger De Vlaeminck e De Bal.

Dopo il Serra, le prime vere montagne del Giro d’Italia n° 61 sono quelle dell’appennino abruzzese, attraversato nel corso della Silvi Marina – Benevento. Affrontate molto lontane dal traguardo, le salite del Piano delle Cinquemiglie, di Rionero e del Macerone servono solo per far fuori parte dei velocisti e il tedesco Thurau, partito da Silvi con febbre e bronchite e arrivato a Benevento con oltre quattro minuti di ritardo dal gruppo dei 31 corridori che si giocano il successo allo sprint, conquistato da Saronni.

La seconda occasione per gli scalatori viene offerta il giorno dopo dalla frazione che termina a Ravello, spettacolare belvedere sulla costiera amalfitana sul quale si giunge dopo aver affrontato il Monte Faito, sul quale quattro anni prima Fuente aveva “saccagnato” Merckx. Ma anche in questa tappa c’è parecchia strada da percorrere dopo lo scollinamento, circa 45 Km per la precisione, e non si muove nessuno fino al passaggio da Amalfi, dove inizia la rampa finale verso Ravello e dove parte Saronni, un tentativo che nessuno riesce a rintuzzare. È ancora lui a imporsi, stavolta per distacco: dopo 19” transita sulla linea del traguardo Baronchelli, primo corridore di un gruppo ridotto a una ventina di elementi nel quale ci sono tutti i migliori di classifica, ancora comandata da De Muynck con 15” su Moser e 26” su Saronni.

Van Linden si conferma ancora miglior sprinter del Giro 1978 imponendosi nella volata del gruppo sul traguardo della Amalfi – Latina. Ma non vince perché quello è lo sprint dei “battuti”, in una tappa nella quale la fuga da lontano riesce ad andare fino alla meta (la vittoria premia il pesarese Enrico Paolini) e un corridore s’installa alle spalle del podio di classifica: grazie al minuto e poco più guadagnato grazie a questo tentativo, il varesino Wladimiro Panizza scala posizioni fino ad agguantare il quarto posto a 34” da De Muynck.

Nel cuore geografico dell’Italia si corre un’altra tappa di montagna, che ha il suo spauracchio nell’interminabile salita al Terminillo, la cui vetta è posta a 50 Km dal traguardo, fissato in riva al Lago di Piediluco. A dispetto dalla notevole distanza da percorrere dopo la cima della “montagna dei romani” stavolta la battaglia infuria e lascia sul campo diverse vittime, a cominciare dal ritiro di un delibitato Thurau. Tra chi viene piegato dalla salita laziale ci sono nomi di spicco, come quelli di Saronni, di Moser e del vincitore del Giro del 1975 Fausto Bertoglio, che al traguardo accusano un passivo di quasi due minuti rispetto a De Muynck, che conclude la frazione – vinta dal futuro direttore sportivo Giuseppe Martinelli – assieme a Panizza, Battaglin e Baronchelli. Ora l’unico corridore che in classifica ha un ritardo inferiore al minuto dal belga è il varesino, 2° a 34”.

Il programma dopo il Terminillo prevede due semitappe poco impegnative, la prima delle quali termina con il successo in solitaria del bergamasco Bruno Zanoni, che sul traguardo della Terni-Assisi precede di un paio di secondi un altro neoprofessionista di belle speranze, quel Roberto Visentini che nel 1986 vincerà il Giro e l’anno successivo sarà tradito dal suo luogotenente Stephen Roche nella storica tappa di Sappada.

Registrato il ritiro del tre volte vincitore di tappa Van Linden, che riporta una lieve commozione cerebrale per aver battuto la testa a 300 metri dal traguardo di Assisi, nel pomeriggio si riparte alla volta di Siena per una frazione sponsorizzata da una nota cantina vinicola chiantigiana, che ha messo in palio per la maglia rosa di turno bottiglie di vino per un valore complessivo di circa tre milioni delle vecchie lire (circa diecimila euro odierne). A brindare sul traguardo toscano sarà anche Moser, che “vendica” la giornata storta trascorsa ventiquattrore prima scattando a 2 Km dal traguardo e riuscendo per 3” a resistere al ritorno di un gruppo che la sera sarà raggiunto dalla notizia del ritiro delle competizioni di Eddy Merckx, annunciato dall’oramai ex cannibale in una conferenza stampa a Bruxelles.

Mentre i “suiveurs” commentano lo storico e inatteso annuncio del campione belga, nei cui progetti iniziali della stagione c’era la partecipazione al suo ultimo Tour de France nel luglio successivo, il gruppo si rimette in marcia per un’insidiosa frazione disegnata sulla nervosa geografia dell’appennino romagnolo. La partenza viene data da Poggibonsi, il traguardo è posto sulla vetta del Trebbio, il piccolo colle consacrato dalle tre vittorie di Fausto Coppi al Giro di Romagna, del quale è la salita più emblematica. Il percorso è piuttosto complicato ma tra i big c’è pochissima selezione, con Saronni che guadagna appena tre secondi e Moser che invece ne perde cinque, vanificando il piccolo vantaggio preso a Siena. Davanti si danno battaglia per il successo di tappa i gregari con l’anziano (33 anni compiuti due giorni dopo) Ottavio Crepaldi che parte secco a circa 1500 metri dal traguardo e rimane in testa sino ai meno 300 metri, quando la sua azione si esaurisce di schianto e viene superato da tre colleghi, tra i quali c’è il piemontese Giancarlo Bellini, che nel 1970 era stato il primo vincitore del Giro d’Italia riservato ai dilettanti e che s’impone sul colle romagnolo con 8” sul trevigiano Claudio Bortolotto e 10” sul varesino Alfredo Chinetti, mentre Crepaldi è solo 4° a 22”.

Alla vigilia della tappa di Venezia si disputa una noiosa frazione di trasferimento che parte da Modigliana per arrivare a Padova, dove Moser bissa il successo di due giorni prima regolando in volata il bresciano Pierino Gavazzi e il varesino Luciano Borgognoni.

Il 21 luglio è il grande giorno che Torriani sogna da anni e per il quale stravede, forse ancor più del tappone dolomitico in programma qualche giorno più tardi e che comunque qualche grattacapo lo sta dando all’organizzatore a causa della neve che ancora ammanta i passi. Ma ora i suoi occhi sono tutti per i 12 Km che ha predisposto tra i cantieri navali di Marghera e Piazza San Marco, dove si giungerà dopo aver percorso il ponte translagunare realizzato negli anni ’30. Il percorso prevede poi di costeggiare la stazione marittima e quindi lasciare l’asfalto al momento dello sbarco sulle Fondamenta delle Zattere, strada lastricata che costeggia il canale della Giudecca e che supera cinque piccoli rii con ponticelli sui quali per l’occasione vengono installate pedane che permetteranno ai “girini” di rimanere in sella alle biciclette. Lasciate le “Zattere” si svolta in Rio Terà dei Saloni per attraversare il sestiere (quartiere) di Dorsoduro e giungere al cospetto dell’imponente Basilica di Santa Maria della Salute, di fronte alla quale inizia un traballante ponte di barche appositamente costruito sbarrando il corso del Canal Grande, percorrendo il quale si punterà dritti verso il traguardo di Piazza San Marco. È un miraggio che prende forma tra molti timori, sia per le previsioni meteo che annunciano pioggia, sia per il rischio che qualche corridore “svirgoli” e si ritrovi in acqua tirandosi dietro la bici (c’erano ancora i lacci a tener fermi i piedi sui pedali), rischio considerato dall’organizzazione che ha predisposto una ventina di sommozzatori nei punti critici. Fortunatamente nessuno incappa in bagni inattesi in questa giornata che piace molto a Torriani e molto meno ai corridori, che si vedono respinta la richiesta di prendere i tempi di gara a circa 1.5 Km dall’arrivo, nel punto dove finisce l’asfalto: la crono terminerà in Piazza San Marco anche per i cronometri, che assegnano la vittoria a Moser – uno dei corridori più a rischio quest’oggi, non essendo capace di nuotare – in 16 minuti e 11 secondi, alla media di 44.484 Km/h. Alla fine sarà anche una crono di basso impatto in classifica, poco più di un prologo, vista le contenute entità dei distacchi: 6” per Visentini, 14” per Saronni, 22” per De Muynck e 25” per Baronchelli, mentre tra i primi della classifica quello che paga di più è Panizza, 15° a 51”, che riesce comunque a mantenere il secondo posto in classifica, anche se ora il suo ritardo dalla maglia rosa supera di poco il minuto.

Archiviata l’irripetibile crono veneziana – interpellato il giorno prima su una riproposizione di quella tappa Torriani disse “Io sono come Paganini: non ripeto” – ora l’attenzione si sposta sul tappone dolomitico in programma fra Treviso e Canazei dopo l’unico riposo previsto quest’anno. È una giornata febbrile per l’organizzazione, che si vede costretta a causa del rischio di valanghe a modificare tutto il finale stralciando dal percorso le ascese ai passi Cibiana, Falzarego e Pordoi, che vengono sostituite da quelle a Rolle, Valles (nuova Cima Coppi) e San Pellegrino. Ne viene fuori un percorso più lungo dell’originale (si passa da 220 a 234 Km), con l’ultimo colle piazzato a 30 Km dal traguardo, inizialmente previsto esattamente in fondo alla discesa del Pordoi. Ma alla fine quello che sembra un ripiego meno appetitoso della portata inizialmente imbandita si rivelerà una tappa molto più selettiva delle previsioni, che vede per primi giungere al traguardo tre corridori – il romagnolo Alfio Vandi, la maglia rosa De Muynck e Baronchelli, che s’impone nel tappone – con Saronni e Panizza che crollano, mentre Moser stringe i denti e limita i danni a poco più di un minuto, compresi i nove secondi di penalizzazione ricevuti per spinte. Ora la maglia rosa ha 1’33” di vantaggio su Baronchelli e 3’03” su Moser, che nell’immediato ha a disposizione un’altra tappa favorevole alle sue caratteristiche, molto più lunga rispetto a quella di Venezia.

La crono disegnata sulle strade delle valli di Fassa e di Fiemme, da Mazzin a Cavalese, è lunga quasi 50 Km e presenta la prima metà tracciata in dolce discesa, un tratto nel quale uno spilugone come Moser può imprimere alte velocità, favorite anche dall’alta quota alla quale si gareggia. Non può che vincerla Francesco e con distacchi decisamente superiori a quelli registrati in Piazza San Marco: sulle strade di casa il campione del mondo in carica vola a 46,591 Km/h e recupera 2’18” a De Muynck, scavalcando in classica Baronchelli – oggi staccato di 1’42” – e portandosi in seconda posizione a 45” dal belga, mentre il mantovano scende di un gradino pur avendo recuperato circa mezzo minuto dal leader della corsa.

Quanto costruito nella crono dal trentino viene però totalmente demolito l’indomani dall’ultima tappa veramente difficile della corsa, che a breve dovrà fare i conti con un altro taglio di percorso a causa della neve. Ripartendo da Cavalese si deve arriva in cima al mitico Bondone, che torna a essere arrivo di tappa ventun anni dopo l’ultimo traguardo fissato lassù (la famosa tappa della pipì di Gaul, Giro del 1957). Stavolta la conoscenza del territorio non gioca a favore di Moser, che notoriamente soffre le salite impegnative e che oggi giunge in ritardo al traguardo, 1’36” dopo la maglia rosa e 2’37” dopo il vittorioso arrivo di Panizza. I gradini più bassi del podio tornano ora a invertirsi, con Baronchelli secondo a 59” e Moser 3° a 2’10”, una situazione che dovrebbe cristallizzarsi e non essere più messa in discussione perché l’ultima tappa di montagna non dovrebbe causare grosse sorprese e perché il corridore più vicino al podio, Panizza, ha un ritardo di quasi otto minuti.

Forse ci sarebbe stato spazio per un’altra giornata di distacchi fioccanti tra i primi tre se la Trento – Sarezzo si fosse disputata sul tracciato prestabilito, che prevedeva il temuto Passo di Croce Domini prima delle ascese della Presolana e del Passo Tre Termini. Ma la neve costringe l’organizzazione ad un altro cambio di programma, “dirottando” il gruppo verso il Tonale e conservando le altre due salite di una tappa che termina con un nulla di fatto tra i primi di classifica, mentre i tifosi a bordo strada inveiscono contro gli italiani, colpevoli di non aver attaccato abbastanza il belga in rosa (e ci scappa anche qualche ombrellata ai danni di Moser). Intanto s’invola verso la vittoria il ligure Giuseppe Perletto, che taglia il traguardo alle porte di Brescia con 18” sul gruppo, regolato allo sprint dal corridore di casa Gavazzi.

Ci sarebbe ancora una salita da affrontare, la Cima Sormano, che poi altro non è che lo scollinamento del celebre muro, anche se il muro i corridori neanche lo vedranno salendo dal versante di Nesso per poi planare dalla più comoda strada verso Asso. Si devono poi percorrere 37 Km per completare la Brescia – Inverigo, frazione che non può dire nulla per la classifica ma che costituisce una succulenta opportunità per i cacciatori di tappe. La fuga da lontano parte ed è una fuga di lusso perché dentro ci sono corridori del calibro di Saronni e di Bertoglio, ma dura quanto un amen. Poi sul Sormano non succede nulla di nulla, forse anche a causa del tempaccio che riversa sui corridori secchiate di grandine. E la tappa si risolve con un paio di sparate nei chilometri conclusivi, dove azzecca il momento giusto Vittorio Algeri, che si presenta sulla fettuccia del traguardo un paio di secondi prima del sopraggiungere del gruppo, regolato da Martinelli.

Mancano 220 Km alla consacrazione di De Muynck, tanto è lunga l’ultima, inutile tappa verso Milano, dove in Piazza Duomo Gavazzi ottiene la sua terza affermazione in carriera al Giro davanti a Martinelli, secondo anche oggi, e Saronni. Finisce così l’ultima edizione della corsa rosa vinta da un corridore proveniente dal Belgio, l’edizione che mise in luce il talento di Saronni, che segnò l’inizio dell’annosa rivalità con Moser e che distolse un attimo l’attenzione degli italiani dalle tragiche vicende di Aldo Moro. Ma che sarà principalmente ricordata per quei 12 Km pericolosamente vissuti tra le calli e i rii di Venezia.

Mauro Facoltosi

LE ALTIMETRIE

Note: mancano il prologo (Saint-Vincent), la 1a tappa (Novi Ligure), la 3a (Cascina), la 5a (Cattolica), la 9a (Latina), la 18a (Sarezzo), la 19a (Inverigo) e la 20a (Milano). L’altimetria della 15a tappa (Canazei) è quella originaria, modificata per neve.

2a


4a


6a


7a


8a


10a


11a-1a


11a-2a


12a


13a


14a


15a



Commenta la notizia