1966, E IN MEZZO CI STA MOTTA
Il Giro del 1966 proponeva una starting list da “urlo”: Gimondi, Adorni, Anquetil, Balmamion. Ma a precederli tutti sarà un giovane 23enne, il lombardo Gianni Motta.
Negli anni ’60 ci sono due edizioni della Corsa Rosa che vengono spesso rammentate dai “suiveurs”. Una è quella del 1965 che fu conquistata da Vittorio Adorni, il cui successo fu annunciato in prima pagina sulla Gazzetta dello Sport con il titolone “Il più bel rosa dopo Coppi”; l’altra è quella del 1967, che non fu soltanto la prima delle tre vinte da Felice Gimondi ma anche la corsa che permise di capire che Eddy Merckx non era soltanto poco più di un velocista, come veniva considerato fino a quel momento, ma anche un corridore competitivo in salita e in grado, in futuro, di vincere un grande giro. Tra queste due edizioni se ne disputò una, quella del 1966, che raramente viene ricordata ma che merita d’essere raccontata perché quell’anno un giovane che non era stato annoverato nel novero dei grandi favoriti, il lombardo Gianni Motta, riuscì a prevalare sui “big” presenti al via della corsa. E che big! Ai nastri di partenza di quell’edizione del Giro c’era innanzitutto Gimondi, che nove mesi prima – al primo anno da professionista – aveva già lasciato il segno portando a casa il Tour de France; c’era il vincitore uscente Adorni, per il quale Torriani aveva disegnato due delle tappe principali su strade a lui care; c’erano i due volte vincitori del Giro Jacques Anquetil (1960 e 1964) e Franco Balmamion (1962, 1963), entrambi alla caccia del tris. E poi c’era il 23enne Motta, il cui curriculum quasi impallidiva al confronto dei quattro corridori citati ma che non si doveva troppo sottovaluture perché al primo anno nella massima categoria (1964) era riuscito a conquistare il Giro di Lombardia e il quinto posto finale a 2′38″ da Anquetil al Giro d’Italia, nel quale si era imposto nell’ultima tappa di montagna.
La 49a edizione del Giro è la seconda a prendere il via dall’estero e, dopo che l’anno prima si era partiti da San Marino, stavolta viene scelto il Principato di Monaco per il “grand départ”. La prima tappa misura circa 150 Km e si snoda tra Montecarlo e Diano Marina, dove si arriva dopo aver superato il Colle di San Bartolomeo a metà strada e i primi due storici capi della Milano-Sanremo, Mele e Cervo, nel finale. Nessuno si aspetta particolari sorprese da questo tracciato che, invece, a sera emette una prima clamorosa sentenza: Anquetil non riesce a recuperare il terreno perduto, dopo aver perso le ruote del gruppo nel corso della discesa dal San Bartolomeo, e al traguardo giunge con un passivo di quasi 3 minuti, mentre la prima maglia rosa viene conquistata dall’abruzzese Vito Taccone, che al fotofinish precede il toscano Bruno Mealli, vincitore su questo stesso traguardo al Giro dell’anno prima e fratello dell’ideatore della Tirreno-Adriatico, la cui prima edizione si era disputata proprio in quella stagione.
Subito è prevista una tappa di montagna al secondo giorno di gara, brevissima perché si devono percorrere appena 60 Km per andare da Imperia a Monesi, piccola stazione di villeggiatura del comune di Triora. Lassù, a 1300 metri di quota, giunge per primo Julio Jiménez, compagno di squadra di Anquetil al quale il capitano ha lasciato carta bianca dopo la disfatta del giorno prima e che va a conquistare la maglia rosa a causa della débâcle odierna di Taccone, giunto al traguardo 2’51” dopo l’arrivo dello spagnolo, mentre i distacchi tra altri “big” della classifica sono dell’ordine di una decina di secondi.
Le sorprese non finiscono qua perché la successiva frazione da Diano Marina a Genova, 120 Km interamente tracciati sull’Aurelia, ne riserva un’altra, stavolta con vittima Gimondi. Succede che il bergamasco fora dalle parti di Finale Ligure, quando ancora c’è parecchia strada da percorrere, e davanti si mettono a viaggiare a tutta per distanziarlo, al punto che alla fine vengono registrate una media di 48.828 Km/h, quasi come una cronometro, e un passivo di 1’36” per Felice al traguardo, dove il veronese Severino Andreoli s’impone allo sprint precedendo Adorni e il belga Jan Nolmans.
Più tranquillo è il decorso della lunga Genova – Viareggio (241 Km) che prevede il passaggio sui passi del Bocco e della Cisa. A livello classifica stavolta non ci sono emozioni e riesce ad andare in porto un tentativo di fuga andato via nel finale e che porta alla vittoria il bellunese Giovanni Knapp, il cui strano cognome non è del tutto sconosciuto agli italiani perché il corridore è nipote di quel “Dr. Knapp” che aveva ideato una serie di farmaci pubblicizzati in quel periodo sui principali quotidiani e nel popolare programma televisivo “Carosello” (qualcuno potrebbe ricordarsi quello dell’antidolorifico il cui slogan era “Contro dolor di denti… denti… denti… contro dolor di denti cachet Dottor Knapp“).
Si rimane in Toscana per una tappa disegnata sulle colline del senese che vede il ritorno nei piani alti della classifica di Taccone, che nel finale a saliscendi s’infila nel gruppetto di sedici corridori che riusce a giungere al traguardo di Chianciano Terme circa 2 minuti primo dell’arrivo della maglia rosa, che a sua volta perde sette secondi dai “big”. A tagliare per primo la linea d’arrivo è il veneto Vendramino Bariviera, che subito dopo viene punito con un’ammenda pecuniaria dalla giuria per aver esultato alzando le braccia al cielo, gesto all’epoca proibito poiché ritenuto pericoloso. Taccone digrigna i denti per il secondo posto ma si consola per aver recuperato gran parte del tempo perduto a Monesi ed essere risalito al terzo posto della classifica a 58” da Jiménez, mentre al secondo con un ritardo di 43” s’installa un altro dei protagonisti del tentativo di giornata, il veneto Guido De Rosso.
Nella tappa verso Roma si tornano a vivere le emozioni vissute nei primi giorni di gara quando vanno in fuga in otto e dentro ci sono Adorni e la maglia rosa Jiménez. Il drappello rimane in avanscoperta per un centinaio di chilometri arrivando ad accumulare fino a 5 minuti di vantaggio e viene raggiunto soprattutto grazie al lavoro della Molteni, la squadra di Motta. Esaurito questo tentativo, se ne va via un altro privo di nomi pericolosi che riesce ad andare fino al traguardo, dove sulla pista del Velodromo Olimpico s’impone Raffaele Marcoli, velocista lombardo che tre mesi più tardi perderà la vita in un incidente stradale.
Con queste premesse, cresce l’attesa verso la seconda tappa di montagna, che prevede l’arrivo in salita a Rocca di Cambio, sopra L’Aquila. La tappa si rivela, invece, deludente per la totale assenza di attacchi tra i big, nemmeno da parte di quel Taccone che oggi corre sulle strade di casa. Alla fine a primeggiare è il tedesco Rudi Altig, che sul traguardo abruzzese precede il veneto Silvano Schiavon – un altro corridore che ci lascerà troppo presto – e di 1’11” il primo dei corridori di classifica, quel Gianni Motta che oggi è l’unico a guadagnare sui rivali, anche se strappa loro tre secondi appena. Lasciate le montagne si ritorna poi in pianura con la tappa di Napoli, che termina con lo sprint vicente del corridore più giovane al via del Giro, il vicentino Marino Basso.
La risalita della penisola inizia con la nervosa frazione di Campobasso, nella quale è ancora Gimondi a pagare dazio alla sfortuna. Un’altra foratura e si vede volar via altri 31” nella tappa che vede il gruppo giungere al traguardo ben undici minuti dopo l’arrivo di Vincent Denson, primo inglese a inserire il proprio nome nell’albo d’oro della Corsa Rosa.
Dal capoluogo molisano si riparte alla volta di Giulianova per una tappa di 221 Km semplice nell’altimetria ma che alla fine non risulterà una passegiata. Prima cade Anquetil, tradito da una macchia d’olio, poi a trenta chilometri dall’arrivo un capitombolo collettivo sotto la pioggia manda a terra una ventina di corridori e, infine, un’altra caduta – innescata da Adorni nella curva a gomito che introduce il rettilineo d’arrivo – scompagina le carte dello sprint, vinto dal veneto Dino Zandegù davanti a Basso, Taccone e Motta.
Dopo l’inconveniente patito senza conseguenze da Anquetil verso Giulianova continua il momentaccio in casa Ford nella tappa diretta a Cesenatico, durante la quale fora la maglia rosa, che riesce prontamente a rientrare in gruppo proprio grazie all’aiuto del corridore francese, mentre davanti la fuga va e viene coronata dal bis di Altig.
Alla vigilia della prima tappa chiave si disputa una frazione priva di difficoltà altimetriche nella quale si pensa che i big si risparmino in vista della crono, ma non la pensa così Motta che azzarda la fuga nel finale, tentativo che muore nel giro di un paio di chilometri, immediatamente rintuzzato dagli avversari. Anche oggi è la fuga ad avere la meglio e sul traguardo di Reggio Emilia arriva un altro bis, quello di Zandegù, che a fine Giro s’imporrà nella classifica a punti, proposta quest’anno per la prima volta, al momento senza una maglia a segnalarne il leader (questa sarà introdotta nel 1967 e inizialmente sarà di colore rosso per poi “virare” al tradizionale ciclamino)
Si arriva così al 30 maggio, data che Adorni si è segnato in rosso perché quel giorno è in programma una crono di 46 Km disegnata sul pianeggiante circuito di Parma, sulle sue strade natali, e lui ci tiene a fare particolarmente bene anche perché la partenza è fissata dalla sede della Salvarani, l’azienda di cucine che gli sponsorizza la squadra. Questo mix di motivazioni lo gasa al punto giusto e gli permette non solo di vincere ma anche di fare registrare quella che all’epoca è la media record per le tappe a cronometro, 48,617 Km/h, addirittura migliore di quella che due anni prima era stata impressa da uno specialista del tic-tac come Anquetil nella Parma-Busseto. I distacchi che affligge non hanno la stessa entità di quelli accusati dagli avversari del francese nel 1964, ma sono comunque importanti: “Jacquot” è 2° a 27”, Motta 4° a 58”, Gimondi 5° a 1’26” mentre il capoclassifica Jiménez perde 4’36” e con essi la maglia rosa, che finisce proprio sulle spalle di Adorni, vestita dal parmense con 47” su Motta.
Dopo l’unico giorno di riposo si disputa l’altra tappa che Adorni ha nel cuore perché nel finale dell’interminabile Parma – Arona (267 Km) si deve salire sul Mottarone, impegnativa salita dal fondo sterrato che Vittorio conosce alla perfezione perché in passato più volte ci è salito in bici diretto all’abitazione della fidanzata Vitaliana, da lui sposata nel 1964, i cui genitori lassù gestiscono un rifugio. Stavolta l’emozione gli tira uno scherzetto perché Vittorio attraversa un piccolo momento di crisi, subito rientrato, e non riesce così a scrollarsi di dosso gli altri avversari. Nel frattempo in testa alla corsa rimangono Jiménez e il toscano Franco Bitossi, che scollina il Mottarone una decina di secondi di vantaggio sullo spagnolo, rischia in discesa e riesce poi a giungere al traguardo di Arona con 32” sul gruppo maglia rosa, regolato allo sprint da Motta.
Il piccolo tesoretto accumulato da Adorni nella crono, che aveva cominciato a scricchiolare sul Mottarone, svanisce del tutto il giorno dopo al termine della tappa di Brescia, che prevede l’arrivo in salita sul soprastante Monte Maddalena, sul quale Jiménez bissa il successo di Monesi. Sono proprio i continui scatti dello spagnolo a mettere in croce la maglia rosa, che perde le ruote degli altri avversari quando mancano 2 Km all’arrivo e accumula al traguardo un ritardo di 1’24” da Jiménez e, quel che più conta, fa peggio di 54” di Motta, che gli strappa il primato in classifica per soli sette secondi.
L’indomani è previsto un altro arrivo in salita, anche se l’ascesa verso Bezzecca – alla quale si arriva nel 100° anniversario del celebre “Obbedisco!” garibaldino – si rivela molto meno impegnativa di quanto lasci intendere l’altimetria della frazione, al punto che un corridore come Zandegù si piazza al secondo posto nella volata che chiude la tappa, vinta da Bitossi.
La prossima sfida tra Motta e Adorni è così rinviata alla successiva Riva del Garda – Levico Terme, che prevede a ridosso del traguardo l’impegnativa salita del Vetriolo. Ma la sfida viene ancora a mancare e stavolta non è colpa dell’altimetria: semplicemente il corridore emiliano, sofferente per dolori di gambe e addominali, patisce una grossa crisi sul Vetriolo che lo porta a tagliare il traguardo 5 minuti dopo l’arrivo dell’avversario, che s’impone nella località termale trentina dopo avere ripreso in discesa il solito Jiménez, che si porta al secondo posto della classifica con quasi 2 minuti di ritardo da Motta. A questo punto, considerato che le rimanenti tappe di montagna non si annunciano particolarmente dure, difficilmente si potrà privare della maglia rosa il corridore di Cassano d’Adda.
In attesa delle Dolomiti si affronta una frazione di montagna che è anche tappa di trasferimento perché nel corso dei 137 Km che si devono percorrere per andare al traguardo di Bolzano si deve affrontare solamente il Passo della Mendola, per giunta dal versante più facile. Ne approfittano otto corridori per lanciarsi in una fuga che ha ottime possibilità per andare al traguardo e riesce nell’obiettivo, centro in pieno dal bresciano Michele Dancelli, che nel capoluogo dell’Alto Adige precede in volata il trevigiano Adriano Durante e Nolmans.
La prima delle due frazioni dolomitiche è lunga 100 Km spaccati e prevede l’arrivo in discesa a Moena, dove la Corsa Rosa fa tappa dopo esser saliti prima sul Passo di Lavazè e poi sul Costalunga. Sull’inedito Lavazè, sterrato, non accade nulla di significativo, poi lo spettacolo che più attendono i tifosi va in scena sull’ultima salita con un attacco del torinese Italo Zilioli al quale risponde prontamente Motta. Più avanti li raggiunge Anquetil e da lì in poi i tre viaggiano assieme fino traguardo, dove la maglia rosa li distanzia di un paio di secondi a testa. Alle loro spalle fioccano i distacchi e oggi fanno particolare senzazione i 3’37” patiti da Jiménez, che da secondo che era in classifica scende al quarto posto, mentre risale posizioni Zilioli, che ora è subito dietro la maglia rosa con un passivo di 3’46”.
Da un mini-tappone se ne passa a uno più consistente perché la Moena – Belluno propone 5 passi in 212 Km e ha l’unico difetto di essere disegnato “al contrario”: in partenza si devono affrontare le uniche due salite over 2000 del Giro 1966 (Pordoi e Falzarego), poi arriva il Tre Croci e, dopo un lungo tratto privo di difficoltà, i passi Cibiana e Duran e quindi nuovamente un tratto privo di ascese negli ultimi 45 Km. Nulla a che vedere con la “contraria” Belluno – Moena che aveva deciso l’edizione del 1963 a favore di Balmamion e che nel 1962 l’organizzazione era stata costretta a interrompere in vetta al Passo Rolle a causa di una pesante nevicata. E, in effetti, sui passi non succede nulla di rimarchevole, a parte la deplorevole abitudine dei tifosi di spingere i loro beniamini, episodi verificatesi in più occasioni in questa edizione della corsa, che causeranno multe e penalizzazioni ai corridori e che l’anno successivo porteranno addirittura all’annullamento del tappone delle Tre Cime di Lavaredo. Gli unici squilli di cronaca di una certa rilevanza arrivano da due forature patite da Motta, che però non viene neanche minimamente attaccato. Le luci della ribalta per gran parte della tappa sono tutte per Bitossi, che si sciroppa 200 Km di fuga solitaria sui passi, facendo un’incetta di punti che gli consente di portarsi al comando della classifica dei Gran Premi della Montagna con un vantaggio tale che nessuno potrà più portargli via la maglia verde. Il tentativo del corridore toscano termina dopo il Duran, poi a meno sette dal traguardo parte Gimondi, che se ne va indisturbato al traguardo dove giunge 26” prima del gruppo maglia rosa, regolato da Adorni.
Non sono ancora terminate le montagne perché nella penultima tappa verso Vittorio Veneto si devono affrontare la spettacolare ascesa del Passo di San Boldo e poi quella del Bosco del Cansiglio prima della picchiata che si conclude a pochi chilometri dall’arrivo. Ma il dominio di Motta è incontrastabile e così trova terreno fertile la fuga da lontano, che arriva al traguardo con un vantaggio mostruoso sul gruppo, oltre un quarto d’ora, mentre il corridore lombardo riesce a guadagnare ancora qualcosina perché nella bagarre dei chilometri conclusivi il plotone si spezza e i primi due avversari di classifica, Zilioli e Anquetil, perdono 11 secondi. E intanto la festa in casa Molteni comincia con un giorno di anticipo, incamerato anche il successo a Vittorio Veneto di un loro corridore, il cremasco Pietro Scandelli.
L’ultimo giorno sarebbe “affaire” per i velocisti con la poco impegnativa tappa di Trieste ma sulla pista dell’ippodromo di Montebello approdano per primi i fuggitivi con Bariviera che va a prendersi l’ultima dose di applausi destinata ai vincitori di tappe prima di lasciare il palcoscenico al re del Giro n° 49. Un re che non veniva considerato come tale alla partenza, ma quell’anno Motta riuscì a surclassare tutti i grandi nomi che si schierano al via dell’avventura del Giro d’Italia.
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE
Nota: manca l’8a tappa (Napoli); della 1a tappa (Diano Marina) è presente la sola planimetria; della 2a tappa (Monesi) sono presenti altimetria e planimetria