1950, STAVOLTA PASSA LO STRANIERO
Fu il primo giro vinto da uno straniero quello del 1950. Sarà l’elvetico Hugo Koblet a imporsi in un’edizione della Corsa Rosa che vedeva al via anche i più celebrati corridori italiani, a partire da Fausto Coppi che puntava a bissare l’impresa della Cuneo-Pinerolo dell’anno prima nel tappone dolomitico di Bolzano. Invece in quella tappa terminerà la sua corsa con una dolorosa caduta che gli fratturerà il bacino e gli sconvolgerà pure la vita privata.
Parte il 24 maggio il Giro del 1950, in una data simbolica per la nostra nazione. Ma il Piave non mormora stavolta perché tre settimane più tardi sarà – per la prima volta nella storia – un corridore straniero a issarsi in vetta alla classifica. E pensare che ai nastri di partenza di quell’edizione Corsa Rosa sono schierati i tre Grandi del ciclismo italiano: c’è Fiorenzo Magni, che in quella stagione ha conquistato il Giro delle Fiandre per il secondo anno consecutivo e un Giro l’ha già portato a casa nel 1948; c’è il “pio” Gino Bartali, che ha quasi 36 primavere sulle spalle e probabilmente non ha molte chanches di vittoria ma ci tiene da matti a conquistare quell’edizione, che celebra l’Anno Santo con l’arrivo dell’ultima tappa a Roma, dove il vincitore sarà ricevuto dal papa; soprattutto c’è Fausto Coppi, che dodici mesi dopo la fantastica impresa alla Cuneo-Pinerolo vuole regalarne un’altra ai suoi tifosi e ha già messo nel mirino il tappone che Torriani ha disegnato tra Vicenza e Bolzano. Oltre ai nostri tre beniamini, al raduno di partenza una buona fetta di applausi sono riservate al francese Jean Robic, che nel 1947 si era imposto nel primo Tour de France organizzato nel dopoguerra e che in Italia è conosciuto con il soprannome di “testa di vetro” per essersi fratturato il cranio alla Parigi-Roubaix, incidente dopo il quale prenderà l’abitudine di gareggiare con un casco di cuoio (infatti, in Francia lo chiameranno più correttamente “Tête-de-cuir”, che vuol dire proprio “testa di cuoio”). Dell’elvetico Hugo Koblet, invece, non parla nessuno anche perché non fa paura un corridore che a 25 anni e al quarto da professionista ha nel palmarès solo quattro vittorie, un paio di tappe al Giro di Svizzera e altrettante al Romandia; c’è, però, chi ha visto lungo e questa persona è il suo connazionale Gottfried Weilenmann, che l’ha segnalato a Learco Guerra, il quale l’ha voluto nella formazione che porta il suo nome e che quell’anno è tra le iscritte alla corsa.
Si parte il 24 maggio, dunque, con una prima frazione pianeggiante di 225 Km che da Milano conduce a Salsomaggiore, la celebre località termale che proprio quell’anno è stata scelta per ospitare Miss Italia, il concorso creato nel 1939 da Dino Villani e che fino al quel momento era andato in scena a Stresa, dove un paio d’anni prima in occasione della kermesse erano state girate le scene d’apertura di “Totò al Giro d’Italia”. Sono attesi i velocisti alla prima esibizione ed è, infatti, uno di loro a imporsi e a vestire la maglia rosa, anche se Oreste Conte la vittoria non la ottiene sul gruppo compatto ma su un plotoncino di undici uomini “evasi” nel finale e giunto al traguardo con 40” di vantaggio sui big.
Le prime difficoltà altimetriche fanno capolino sul tracciato viaggiando verso Firenze, dovendosi affrontare le ascese verso i passi della Raticosa e della Futa. Anche qui la fuga riesce ad andare al traguardo, mentre tra i corridori più attesi c’è grossa delusione per Bartali, che cade durante un tentativo d’attacco a Coppi, fermato da una foratura, e a casa sua registra un comunque lieve passivo sul rivale (15 secondi) mentre per un fiorentino che piange ce n’è un altro che ride: è il futuro commissario tecnico della nazionale Alfredo Martini che sulla pista in terra battuta dello stadio cittadino vince la tappa che vede il passaggio delle consegne in vetta alla classifica tra Conte e lo svizzero Fritz Schär, mentre per la prima volta si fa notare Koblet, vincitore del traguardo volante di Bologna e secondo in cima alla Raticosa prima di perdere le ruote dalla testa della corsa sulla Futa.
Ancora una fuga riesce a emergere nella polverosa tappa di Livorno, dove oltre 5 minuti separano l’arrivo del gruppo dei favoriti dalla vittoria di Olimpio Bizzi, particolarmente felice per aver conquistato la frazione che terminava nella sua città natale – dove si era già imposto nel 1937 – regolando i due compagni d’avventura, Vincenzo Rossello e Armando Peverelli.
La musica non cambia neppure nel viaggio dalla Toscana alla Liguria, con gli assi tutti assieme al traguardo di Genova e Coppi terzo, ma è il minore dei due fratelli, quel Serse che l’anno precedente aveva vinto ex-aequo con André Mahé la Parigi-Roubaix e dodici mesi più tardi perderà prematuramente la vita per una maledetta caduta nel finale della Milano-Torino: quel giorno Serse se ne va in fuga con una dozzina di elementi, transita in testa sul Passo sul Bracco e poi al traguardo viene preceduto dal vincitore Antonio Bevilacqua e da Koblet, che zitto zitto guadagna posizioni in una classifica ancora dominata dal connazionale Schär, che veste le insegne del primato con 30” su Martini, mentre Coppi (Fausto) è 10° a 3’25” e Hugo è ora 13° a 3’39”, lo stesso distacco di Bartali.
Si fa ritorno al nord con una tappa che, nel suo piccolo (per modo di dire, sono 245 i chilometri da percorrere per raggiungere Torino) è storica perchè la RAI – all’epoca ancora chiamata “Radio Audizioni Italiane” – per la prima volta trasmette il Giro, anche se si tratta per ora di un semplice esperimento a “circuito chiuso”, realizzato istallando appositamente impianti di ricezione sulla collina di Pino che invieranno le immagini unicamente a una serie di televisori collocati all’interno del motovelodromo di Torino, dove è in programma l’arrivo: qui gli schermi della futura TV di stato, che inizierà le regolari trasmissioni nel 1954, immortalano l’arrivo dell’abruzzese Franco Franchi davanti ai compagni di fuga, presentatisi al traguardo due minuti prima degli uomini di classifica, ancora una volta giunti tutti assieme.
I tifosi svizzeri, nel frattempo, preparano la festa per i loro corridori perché a questo punto è previsto lo sconfinamento nella Confederazione Elvetica e il Giro ci arriva con uno di loro in rosa, avendo Schär conservato il primato in classifica a Torino. Non possono presagire, però, che la loro festa sarà doppia allorchè sarà un rossocrociato anche il primo corridore a tagliare il traguardo di Locarno e quel corridore è l’ancora poco temuto Koblet , mentre i corridori più attesi terminano la tappa tutti assieme. Intanto la classifica cambia alle spalle di Schär, con Koblet che sale al 3° posto con 47” di ritardo e Coppi che guadagna un minuto d’abbuono al traguardo volante di Biella e ora ha 2’25” da recuperare.
Dopo una giornata di riposo fuori dai confini nazionali il Giro si rimette in marcia in direzione Brescia. La tappa è una delle più lunghe, quasi come la Milano-Sanremo, e presenta la principale e ultima difficoltà a un centinaio di chilometri dalla conclusione, quando si affronta una salita inedita che rimarrà nella storia della Corsa Rosa, il passo dell’Aprica. A inaugurare questo valico è Coppi, che va all’attacco per la prima volta in questa edizione del Giro e transita in vetta in compagnia di Robic mentre, tra i big, Bartali paga poco più di un minuto per poi riuscire a rientrare, complice un cambio di bici al quale è costretto il Campionissimo. C’è una corsa nella corsa in questa tappa e l’altra gara ha per protagonista Martini, il secondo della classifica, che fora due volte, riesce a rientrare nel gruppo della maglia rosa e, sullo slancio del secondo rientro, se ne va in fuga solitaria. Dalle parti di Boario Terme è raggiunto da un gruppetto di 10 corridori e con essi arriva fino al traguardo, dove vince il corregionale Luciano Maggini mentre il futuro C.T. riesce a prendere il primato in classifica perché Schär a Brescia ci arriva con 2’44” di ritardo, nel gruppo dei big: ora è il corridore di Sesto Fiorentino a detenere il comando della corsa con Maggini a 1’15” e Bresci a 2’08”.
Il regno di Alfredo è di breve durata, sole ventiquattrore, perché un nuovo capoclassifica il Giro avrà al termine della successiva frazione di Vicenza, aperitivo al tappone dolomitico con la scalata al Pian delle Fugazze e al Passo Xon. È Koblet la nuova maglia rosa e adesso l’elvetico comincia a far paura per come ha condotto la tappa: abbandona la compagnia del gruppo sulle Fugazze, percorre i rimanenti 90 Km in compagnia di Pasquale Fornara e, nonostante la fatica d’essersi sobbarcato quasi da solo la “regia” dell’intero tentativo, batte il piemontese a Vicenza dove Bartali ottiene allo sprint il terzo posto 1’20” dopo l’arrivo dei primi due. E lo zurighese s’imbusta nella maglia rosa precedendo di 19” Martini, di 2’33” Schär e di quasi 4 minuti Coppi.
Il corridore di Castellania sperava forse in una situazione migliore al momento di mettersi in sella per la frazione più temuta, il tappone dolomitico di 272 Km disegnato tra Vicenza e Bolzano. Si tratta di una versione “estesa” di una tappa disputata anche al Giro dell’anno precedente sulla distanza di 237 Km, con partenza fissata a Bassano del Grappa e un percorso per il resto totalmente identico, che prevede il Rolle prima e il Pordoi dopo, quindi il “nanerottolo” Campolongo a precedere il Gardena e il “tuffo” verso Bolzano, percorso che aveva visto proprio Fausto in netto predominio, partito nel tratto in falsopiano verso Canazei e giunto al traguardo con quasi 7 minuti sul secondo. Stavolta, però, non ci arriva nemmeno a vederle quelle salite perché, percorsi una sessantina di chilometri dal via, “pedalavamo in gruppo a lenta andatura. Io ero sul lato sinistro della strada. Improvvisamente un braccio del corridore Peverelli ha urtato contro il manubrio della mia bicicletta. È un caso che capita tante volte durante le corse. Si riesce quasi sempre a riprendere l’equilibrio. Io, invece, sono caduto di schianto a terra, pesantemente, senza avere tempo di proteggermi con le mani dall’urto contro l’asfalto. Intuii subito che per me era finita”. Queste le parole che Coppi rilascia a “La Stampa” all’ospedale di Trento, dove gli è diagnosticata la rottura del bacino, infortunio che compromette il proseguio della stagione (la sua successiva vittoria sarà la cronometro di Terni al Giro dell’anno dopo) e che – anche se non può ancora saperlo – sconvolgerà anche la sua vita privata perché è nel periodo della convalescenza che conoscerà Giulia Occhini, la donna che diventerà la sua compagna di vita (nonostante entrambi fossero già sposati) fino alla scomparsa del Campionissimo il 2 gennaio del 1960. Tornando alla tappa in corso, fin dalla partenza tutti gli occhi erano puntati su Koblet e ora – dopo l’uscita di scena del favorito principe – lo sono ancora di più. E lui dimostra che i timori sulla sua resistenza non sono infondati perché l’elvetico tiene benissimo sulle salite e giunge al traguardo in compagnia del connazionale Ferdi Kübler e di Bartali, che vince la tappa e risale in classifica posizionandosi immediatamente dietro Koblet, con un passivo di 5’42” che recuperare sarà quasi impossibile, considerata l’età di “Ginettaccio” e il fatto che di altre frazioni di vera montagna da qui a Roma non ne sono previste.
Dopo le Dolomiti è in calendario un altro turno di riposo, durante il quale Gino ne approfitta per andare a far visita all’amico-rivale Fausto nella camera d’ospedale, poi ci si rimette in sella per un’altra tappa lunghissima che punta dritta su Milano, dove la corsa era partita dieci giorni prima e dove sulla pista del Vigorelli s’impone in fuga il catanese Mario Fazio. Nel frattempo si viene a sapere che anche il pontefice, l’apparentemente freddo e distaccato Pio XII, ha dimostrato autentico dispiacere per l’incidente di Coppi, soprattutto alla notizia che ne avrebbe avuto per un paio di mesi e le sue dichiarazioni sorprendono anche perché non era un mistero che Papa Pacelli avesse una particolare predilezione per il “pio” Bartali.
Dal capoluogo lombardo ci si rimette intanto in viaggio per andare a Ferrara con un’altra bella indigestione di chilometri sul velluto della Pianura Padana, tappa nella quale il gruppo se la prende comoda lasciando che i fuggitivi si presentino sul traguardo, dove s’impone il velocista umbro Adolfo Leoni, con un vantaggio di ben 6 minuti. Oramai sembra che nel gruppo ci sia una sorta di rassegnazione e che non ci sia più nulla da fare lo dimostra Bartali in un’intervista rilasciata il mattino successivo, nella quale dichiara che l’unico suo errore era stato quello, fin dalla prima tappa, di pensare troppo al rivale piemontese e di aver trascurato quell’elvetico che ora lo precede di quasi sei minuti.
C’è ora da correre la tappa più breve e facile, 144 Km sulle lisce strade romagnole che conducono a Rimini e anche qui c’è da registrare una volatona tra fuggitivi, che vede Bevilacqua tornare a imporsi dopo il successo ottenuto una settimana prima a Genova. E anche questa è una giornata di tranquillità per tutti i big, tutti escluso Robic che è protagonista di una caduta che terrorizza i soccorritori perché non indossava il casco che ne proteggeva il fragile cranio: riesce comunque a concludere la tappa, nonostante un occhio gonfio e i tre uncini d’acciaio con i quali il medico di gara gli aveva ricucito la ferita riportata all’arcata sopraccigliare, ma poi sarà costretto al ritiro il giorno dopo.
Si torna in Toscana con la tappa che porta ad Arezzo attraverso il Passo del Muraglione, altra generosa razione di chilometri che vede lungo il percorso Koblet allungare in classifica guadagnando un minuto e mezzo ai traguardi volanti e confermando così la sua supremazione su Bartali, terzo allo sprint che decide l’ordine d’arrivo, nel quale è preceduto da Maggini e Magni.
Il giorno successivo si rovesciano le parti e stavolta è Bartali a guadagnare l’abbuono, agguantando quello previsto in cima al Passo dei Mandrioli durante la frazione che porta il gruppo da Arezzo a Perugia, che poi si conclude con i migliori tutti assieme sulla linea d’arrivo, tagliata ben 10 minuti dopo l’arrivo dei corridori andati in fuga nella seconda parte della tappa. Tra questi c’è l’ex leader della corsa Schär, che nel finale attacca e giunge tutto solo al traguardo con più di 2 minuti di vantaggio su Serse Coppi e sul padovano Giacomo Zampieri.
Un ultimo giorno di riposo precede le rimanenti quattro tappe del Giro che ora si addentra nel cuore geografico della penisola per fare scalo all’Aquila, dove Bartali 14 anni prima aveva collezionato la prima vittoria alla Corsa Rosa. Forse ringalluzzito dal ricordo di questo precedente il corridore toscano tenta di giocarsi ancora la carta dell’abbuono e anche stavolta riesce nell’intento, riducendo a 5’12” il suo passivo da Koblet mentre davanti vola verso la vittoria Giancarlo Astrua, il giovane piemontese che al Giro dell’anno dopo riuscirà a precedere a sorpresa di 20 secondi Fausto Coppi nella cronoscalata di San Marino.
C’è ancora una frazione di montagna prima dell’epilogo romano, ma non si possono certo definire un tappone i 203 Km che collegano il capoluogo abruzzese a Campobasso superando ascese storiche come il Piano delle Cinquemiglia e i valichi di Rionero Sannitico e del Macerone, affrontate sin dalla prima edizione del Giro e collocate molto distanti dal traguardo. Stavolta lo “scherzetto” che Bartali aveva tirato a Koblet nelle due precedenti frazioni non va in scena e, invece, è Koblet a provare l’azione sulla salita di Rionero, in cima alla quale ha 45” sul toscano, che rientra in discesa. Ma poi è un altro toscano a prendere il largo, sfruttando una foratura dell’elvetico: è Magni, che vola a prendersi un successo che inseguiva con ostinazione fin dall’inizio del Giro mentre i due “litiganti” concludono la tappa pari tempo una cinquantina di secondi dopo l’arrivo vittorioso di Fiorenzo.
Ma Bartali è indomito e intende ancora sfruttare le occasioni che il fato ha in serbo nelle ultime due facili frazioni. Così succede che nel viaggio verso Napoli Koblet fora ben 4 volte e il secondo in classifica coglie al balzo l’occasione per attaccarlo, rimanendo al comando della corsa per quasi tre quarti d’ora con l’elvetico a inseguire con un passivo attorno al minuto da recuperare. In suo aiuto arriva una quinta foratura, che colpisce però il suo connazionale Kübler, in quel momento nel gruppo Bartali. La sosta per riparare il danno è lunga e così Ferdi si vede raggiunto dal gruppetto nel quale insegue la maglia rosa, al quale si associa contribuendo ad annullare definitivamente il distacco. Terminate queste concitate fasi di gara s’impossessano del palcoscenico il veneto Annibale Brasola e Guido De Santi, che s’involano verso il traguardo, dal quale transitano nell’ordine 16 minuti prima del sopraggiungere del gruppo, stavolta senza più distacchi tra Koblet e Bartali.
Ora il Giro è davvero finito, nessuno prova a impensierire il padrone della corsa nella conclusiva tappa di Roma, che termina così come era iniziata la corsa, con il successo di Oreste Conte che regola allo sprint un gruppo di 69 elementi. Tra i quali c’è Hugo Koblet, primo straniero a vincere il Giro.
Quell’anno il Piave non mormorò…
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE
Nota: mancano la 10a tappa (Milano), l’11a (Ferrara) e la 17a (Napoli), mentre della prima (Salsomaggiore) è presente la sola planimetria