1960: IL GAVIA, UN MITO NATO TRA LE NUVOLE

maggio 11, 2020
Categoria: News

Nel 1960 Torriani scopre il Gavia, ne rimane folgorato e decide che è giunta l’ora di portare il Giro su quell’impervia mulattiera. L’intero percorso di quell’edizione della corsa rosa ruota attorno a quella tappa, rimasta in bilico fino all’ultimo.Ma alla fine, sistemata la strada, si riesce a correre e saranno Massignan e Gaul i primi eroi del Gavia, anche se poi il Giro andrà ad arricchire il palmarès di Jacques Anquetil, al suo primo acuto in rosa.

Nacque tra le nuvole il mito del Gavia. Il vulcanico Vincenzo Torriani, il ragionere che aveva ereditato da Armando Cougnet la sala dei bottoni del Giro d’Italia e solo sette anni prima aveva portato per la prima volta nella storia la corsa sullo Stelvio, si trovava a bordo di un aereo che stava sorvolando la Val Camonica e rimase colpito dalla “silhouette” di una strada a lui sconosciuta che da Ponte di Legno s’inerpicava verso la Valtellina. Era la stretta mulattiera – larga tra i 3 e i 4 metri – che conduceva al Passo Gavia, una rotabile che era stata concepita per scopi militari e che sei anni si era guadagnata un piccolo spazio sulle cronache dei quotidiani a causa di un tragico incidente nel quale avevano perso la vita 18 alpini, periti a bordo di un furgone militare che dalla strada era precipitato in un burrone. Era una salita che, se fosse proposta oggi nelle medesime condizioni del 1960, con un fondo inghiaiato irregolare ed esposta sui precipizi, farebbe investire l’attuale direttore del Giro Mauro Vegni di una valanga di lamentele; ma non fu così nell’aprile di 60 anni fa quando a Palazzo Sormani Torriani e il direttore della Gazzetta Giuseppe Ambrosini svelarono il percorso del Giro, un tracciato che aveva il baricentro proprio nella tappa del Gavia, anche se non mancavano altri momenti chiave, come le due difficili tappe a cronometro di Sorrento e Lecco.
Ma è sul Gavia che si concentrano le attenzioni perché nessuno lo conosce e per far capire ai corridori a cosa si sarebbe andato incontro l’organizzazione incarica un regista di recarsi sul posto e girare un breve filmato da mostrare ai corridori che il 19 maggio si schierano al via da Roma. Se il Gavia da un lato è il “faro” della Corsa Rosa, dall’altro lato altrettanti “fari” sono i grandi nomi ai nastri di partenza e in particolare i corridori più attesi sono il lussemburghese Charly Gaul e il francese Jacques Anquetil. Gaul il Giro l’aveva già vinto due volte, il primo nel 1956 con la leggendaria impresa sotto la tempesta di neve sul Bondone e il secondo l’anno precedente, quando aveva preceduto di quasi 6 minuti l’altro sfidante, quell’Anquetil che nel 1959 aveva preso parte per la prima volta al Giro e all’attivo aveva in quel momento un Tour vinto nel 1957. Le speranze italiane sono riposte su Ercole Baldini e Gastone Nencini, che il Giro l’avevano vinto nel 1958 il primo e nel 1957 il secondo, mentre nel gruppo serpeggia ancora la nostalgia per la prematura scomparsa di Fausto Coppi che, se la malaria non se lo fosse portato via il 2 gennaio di quell’anno, molto probabilmente sarebbe stato in gara con le insegne della San Pellegrino, la formazione creata nell’autunno precedente, diretta dal suo ex rivale Gino Bartali e che al via schiera il giovane neoprofessionista Romeo Venturelli, notato e voluto in squadra dallo stesso Coppi che l’avrebbe consigliato al meglio, mitigandone quelle intemperanze tipiche dei giovincelli inesperti che purtroppo ne caratterizzeranno la carriera, nella quale il corridore emiliano raccoglierà molto meno di quanto la sua classe gli avrebbe permesso d’ottenere.

Espletate le formalità della punzonatura nella capitale, che quell’estate avrebbe ospitato i giochi della XVII Olimpiade, si parte con una tappa in linea di 212 Km diretta a Napoli, non essendo ancora stati “inventati” i cronoprologhi, le tradizionali brevi cronometro d’avvio che saranno adottate per la prima volta nel 1967. L’arrivo è sulla pista dell’Arenaccia, il velodromo di proprietà del Ministero della Difesa all’interno del quale si presenta un gruppetto di sei corridori che precede di 13” il resto del gruppo e che è regolato allo sprint da Dino Bruni, corridore romagnolo che, a proposito di Olimpiadi, ai giochi di Helsinki del 1952 aveva conseguito la medaglia d’argento nella cronosquadre.

L’incantevole Sorrento ospita il giorno successivo la prima frazione a cinque stelle di questa edizione del Giro, una difficile cronometro individuale di 25 Km, 13 in salita verso il Picco Sant’Angelo, spettacolare belvedere sulla costiera amalfitana, e il restante tratto in complicata discesa per rientrare alla base, dove tutti attendono Anquetil che invece – come successo l’anno precedente nella vicina Isola d’Ischia, dove a crono era stato preceduto a sorpresa di quasi un minuto da Nino Catalano – viene beffato dal pupillo di Coppi per soli sei secondi, con Carlesi 3° a 54”, Nencini 4° a un minuto e il vincitore uscente del Giro Gaul che soffre e perde quasi 2 minuti.

Si riparte con Venturelli in rosa alla volta di Campobasso, ma all’altro capo della tappa – dove a vincere è lo sprinter spagnolo Miguel Poblet – è Anquetil a vestire le insegne del primato perché di traverso ci si mette uno dei colpi di testa di “Meo” che, si dice, la sera prima aveva fatto le ore piccole per festeggiare la vittoria di Sorrento bevendo champagne mischiato con limonata (anche se al momento si parlò di un’avida bevuta d’acqua ghiacciata): partito da re del Giro nel capoluogo molisano il corridore emiliano si ritrova così ricacciato indietro in classifica al quinto posto, con un passivo di 1’20” dal campione francese.

Dopo la facile tappa di Pescara, che vede lo spagnolo Salvador Botella imporsi con 4’30” di vantaggio sul gruppo dopo una fuga protrattasi per oltre 100 Km, suona l’ora delle montagne con l’inedito Passo Terminillo. Che proprio inedito non è perché sul finire degli anni ’30 la “Montagna dei Romani” aveva ospitato tre cronoscalate, ma in quelle occasioni ci si era spinti fin dove la strada consentiva di arrivare mentre ora, completato il collegamento stradale con Leonessa, è possibile giungere sin quasi a 2000 metri d’altezza, quota che svetta nel finale della Pescara – Rieti. La tappa prevede anche la “Strada delle Svolte”, ascesa dalle parti di Popoli che al Giro del 1936 consentì a Bartali di conquistare la sua prima vittoria di tappa alla Corsa Rosa e che stavolta mette in croce Venturelli, costretto al ritiro da quella che il bollettino medico definisce “gastroenterite tossica”. Davanti, intanto, il gruppo affronta senza troppi scossoni il Terminillo, sul quale l’unico a provare qualcosa è Gaul, che si avvantaggia di un pugno di secondi in vista dello scollinamento per poi essere ripreso; scene più interessanti si vivono nella picchiata verso Rieti, lungo la quale si avvantaggiano Nencini e Guido Carlesi, il corridore toscano soprannominato “Coppino” per la somiglianza con il Campionissimo e che alla partenza da Pescara era distanziato di 35” da Anquetil, distacco che scende a 14” sul traguardo reatino, dove transita per primo Nencini.

La risalita della penisola prosegue con una tappa che da Terni conduce a Rimini e nella quale sono attesi i velocisti. Invece è la fuga ad andare in porto ed è di quelle che si definiscono “bidone” perché alla notizia della vittoria di Pierino Baffi, che batte al colpo di reni Nino Defilippis, si affianca quella dell’insediamento di uno dei fuggitivi al vertice della classifica: è il belga Joseph Hoevenaers che, grazie ai 4’15” di vantaggio sul gruppo, detronizza Anquetil, sceso in seconda posizione con un passivo di 1’53” che potrà facilmente recuperare grazie alle altre tre cronometro in programma.

Già dal giorno successivo “Jacquot” ha terreno fertile per cominciare a erodere lo svantaggio poichè il mattino è prevista una brevissima prova contro il tempo, appena 5 Km disegnati tra le strade di Igea Marina, che però non va secondo le previsioni dell’asso francese: un guasto lo costringe a cambiare bici e così finisce per perdere altri 3 secondi da Hoevenaers, mentre a cogliere il successo è Poblet. Si disputa il pomeriggio stesso una semitappa di 81 Km dalla confinante Bellaria a Forlì, dove si giunge dopo aver affrontato l’ascesa alla Rocca delle Caminate. Su quest’ultima rimane davanti un gruppetto contentente tutti i migliori della classifica, 18 uomini regolati allo sprint dal belga Rik Van Looy, che il giorno dopo fa il bis a Livorno, al termine di una tappa movimentata da parecchie cadute che vedranno protagonisti anche nomi importanti, corridori del calibro di Baldini, Nencini, Defilippis, Angelo Conterno – che nel 1956 era stato il primo italiano a vincere la Vuelta – Wim van Est e Poblet.

Altre due semitappe attendono il gruppo al nono giorno di gara e anche stavolta è in programma una cronometro, in calendario al pomeriggio dopo la mattutina Livorno – Carrara, conquistata in volata da Emile Daems, corridore belga che in questa edizione del Giro ha al seguito il suocero, autista della vettura di un quotidiano di Bruxelles. Nella sfida contro l’orologio, più ostica di quella di Igea perché si tratta di una cronoscalata di 2 Km e 200 metri verso le celebri cave di marmo di Carrara, Anquetil riesce finalmente a rosicchiare 24 secondi a Hoevenaers mentre per la vittoria di tappa è costretto a fare a metà con Poblet, poiché i due fanno entrambi segnare il miglior tempo e all’epoca non si usa ancora conteggiare i centesimi.

La corsa ha in “cartellone” ora l’ultima frazione appenninica, che ha meta in Sestri Levante dopo esser saliti sui passi della Cisa e delle Centro Croci. È una tappa che, se non ci fosse stato Hoevenaers in rosa, avrebbe visto un cambio in vetta alla classifica perché Anquetil termina lontano dagli altri big, quasi quattro minuti di ritardo dai primi giunti al traguardo, un risicato gruppetto di dieci corridori selezionatosi nel corso dell’impegnativa discesa dal Cento Croci, resa insidiosa dalla pioggia e dalla presenza di alcuni tratti in selciato. Non si contano le cadute e le forature. All’arrivo è necessario il fotofinish per stabilire chi, tra Nencini e Van Looy, fosse il vincitore di questa tappa che vede il capoclassifica Hoevenaers e Gaul pagare 1’36” e il favoritissimo Anquetil perdere 3’50”. Il belga salva la rosa ma ora ha soli 20” di vantaggio su Carlesi mentre il transalpino è sceso in settima posizione a 2’43”.

Battuto di un amen ventiquattrore prima, Van Looy riesce ad andare in “goal” il giorno dopo ad Asti, dove alla gioia del belga fa da contraltare la delusione di Carlesi che, dopo aver guadagnato il secondo posto in classifica a Sestri subito lo riperde a causa di una caduta avvenuta nella discesa della Ruta, nei chilometri iniziale dell’undicesima frazionbe. Ferito a un braccio e a una gamba, “Coppino” riesce anche a recuperare le ruote del gruppo, ma le perde di nuovo sulla salita dei Piani di Creto, sulla quale scoppia la bagarre, e da lì in avanti non riesce più a ricucire lo strappo, arrivando ad accusare un ritardo di 3’25” che lo fa ripiombare dal secondo all’ottavo posto in classifica.

Con Hoevenaers in rosa si arriva così alle frazioni alpine. Ne sono previste solo due proprio per non rubare la scena al Gavia, sul quale comunque circolano molti timori. Il recente inverno è stato particolarmente ricco di precipitazioni e tanta neve alberga ancora sui più elevati passi, rendendo obbligatorio predisporre un “piano B” che prevede di sostituire il Gavia con lo Stelvio, la cui sede stradale asfaltata e più ampia è più agevole da sgombrare dalla neve rispetto alla stretta e sterrata mulattiera che sale da Ponte di Legno. Gira anche voce di patti stretti da Torriani con le compagnie d’assicurazione che permetterebbe all’organizzazione di scaraventare nei burroni del Gavia le ammiraglie rimaste in panne lungo la salita. Intanto la prima tappa di salita alpina scorre via quasi senza colpo ferire al punto che un giornalista arriva a scrivere che “la montagna ha partorito un topolino”. Quel topolino è un autentico Carneade del gruppo, lo sconosciuto cremonese d’origine polacche Addo Kazianka, che va in fuga da lontano assieme ad altri tre corridori per poi staccarli lungo l’ascesa finale di Cervinia, inedito traguardo al quale si presenta con 3’47” di vantaggio su Nencini, Hoevenaers, Anquetil, lo scalatore vicentino Imerio Massignan e Gaul, l’unico tra i big ad aver azzardato un tentativo sull’ascesa finale.

Milano ospiterà l’arrivo finale ma, nel frattempo, è previsto anche un traguardo intermedio, quella della tredicesima frazione, una tappa la cui altimetria dice volata ma che in realtà parlerà ancora il linguaggio della fuga. E ancora il polacco perché, come Kazianka, ha lontane origini in quella nazionale anche il corridore che si impone in solitaria nel capoluogo lombardo, Jean Stablinski, passaporto francese, futuro campione del mondo nel 1962 a Salò e un passato da minatore – per comprarsi la sua prima bici – dalle parti di Wallers, il centro presso il quale si trova la Foresta di Arenberg, il celebre settore di pavè che proprio lui fece conoscere agli organizzatori della Parigi-Roubaix.

Dopo un giorno di riposo si riparte con la tappa che Anquetil attende di più, una cronometro fiume di 68 Km disegnata tra le colline brianzole. Tra Seregno e Lecco detta la sua legge ed è una legge dura che sancisce la sua netta supremazia: sulle rive del lago di Como la maglia rosa è tornata di sua proprietà dopo che i cronometristi hanno registrato il tempo di 1h29’57” (pari a una media di 45.3 Km/h), dopo che Jacques ha dato 1’27” al primo degli “umani” (Baldini) e dopo aver mandato fuori tempo massimo ben 51 “girini”, quasi tutti graziati alla giuria. Ora il corridore più vicino a lui in classifica è Nencini, che ha davanti a sé un difficile muro di 3’40” da scavalcare, mentre Hovenaers è sceso al terzo posto a 4’19”, seguito da Diego Ronchini a 5’49” e da Gaul a 7’32”.

In attesa di tornare sulle montagne il percorso del Giro propone ora una serie di tre frazioni poco infarcite di difficoltà, ma per i velocisti sembra ci sia poco pane per i loro denti. Viaggiando verso Verona c’è, infatti, da registare l’attacco che non ti aspetti, quello di un Anquetil che ha evidentemente già smaltito la fatica della crono. Il francese parte all’inseguimento di un tentativo di Carlesi e con lui rimane anche Nencini, mentre il gruppo si frantuma. Ripreso il toscano torna la calma in gruppo poi nel finale si sganciano sei corridori, tra i quali ci sono Massignan, 6° in classica che oggi guadagna 25 secondi, e il campione del mondo in carica André Darrigade, che s’impone allo sprint sul belga Edgard Sorgeloos ottenendo quella che sarà la sua unica vittoria di tappa in carriera alla Corsa Rosa.

Anche la breve tappa di Treviso, soli 110 Km di totale pianura, sfugge al controllo dei velocisti con il gruppo che taglia la linea del traguardo 12 secondi dopo l’arrivo del toscano Roberto Falaschi e degli altri due corridori che con lui sono riusciti a evadere a circa 40 Km dall’arrivo. Dopo la battagliata frazione veronese, dunque, oggi niente brividi in gruppo, se non quelli patiti da un febbricitante Gaul, fiaccato anche da un potente raffreddore.

Siccome non c’è il due senza il tre anche la tappa di Trieste sfugge agli sprinter e stavolta c’è lo zampino di una caduta. Succede tutto a 40 Km dall’arrivo quando un’auto della carovana frena bruscamente innescando uno sbandamento in seno al gruppo che spedisce a terra quaranta corridori: tra i coinvolti ci sono la maglia rosa e Baldini mentre si salva dalla carambola Nencini, che insieme ai corridori rimasti incolumi s’invola velocemente verso il traguardo, dove la vittoria sorride di nuovo a Bruni – già vincitore della frazione d’apertura a Napoli – mentre il campione toscano riesce a ridurre di 38” il suo divario dalla testa della classifica.

Mentre buone notizie arrivano dal Gavia, dove Torriani aveva mandato in sopralluogo il cartografo della corsa Cesarino Sangalli e dove in poche ore si è riusciti a sistemare la strada per il gran tappone di pochi giorni dopo, il Giro propone un piccolo assaggio di montagna sulla strada per Belluno con il Passo della Mauria da scavalcare a una sessantina di chilometri da Belluno e le Dolomiti quest’anno solamente sfiorate dal percorso. Qui è più lecito attendersi l’approdo di un tentativo da lontano ed è quel che accade con l’affermazione in solitaria dell’irlandese Seamus Elliott, che a 5 Km dal traguardo riprende lo sfortunato Graziano Battistini, in fuga dalla Mauria, la cui azione si era inesorabilmente spenta a causa di una dolorosa caduta. In classifica tutto rimane tranquillo e sarà cosi anche durante la successiva frazione di Trento, nella quale i big preferiscono risparmiarsi in vista del Gavia e ancora una volta è la fuga ad andare in porto, coronata dal bis del belga Daems.

E arriva finalmente l’8 giugno, giorno per il quale si era dato da fare per consentire l’evento anche Achille Compagnoni, l’alpinista originario della Valfurva che da un paio d’anni per tutti era l’eroe del K2 per aver conquistato per primo la cima dell’Himalaya assieme a Lino Lacedelli, il 31 luglio del 1954. La tappa più attesa della corsa rosa è in programma fra Trento e Bormio, 229 Km che prevedeno prima del “babau” anche le salite di Cadine in partenza, di Molina di Ledro, di Campo Carlo Magno e del Tonale. Chi pensava che i big avrebbero atteso la salita finale rimane felicemente deluso, anche se non si assistono a grandi battaglie sulle prime difficoltà altimetriche, che vedono in testa alla corsa un piccolo drappello con dentro un nome celebre, quello di Van Looy. È sul Tonale che entra in scena Massignan, che attacca a inizio salita, raggiunge il belga e con lui scollina con il gruppo della maglia rosa a 1’35”. Poi lo scalatore vicentino rimane da solo sul Gavia, in vetta al quale il suo vantaggio sul primo inseguitore, Gaul, è il medesimo con il quale era transitato sul Tonale; più distanziati, alla spicciolata, fanno capolino dietro l’ultima curva del passo lombardo Arnaldo Pambianco (2’10”), Nencini (4’45”) e Agostino Coletto (4’50”), mentre bisogna attendere 5 minuti esatti dal passaggio di Massignan per vedere transitare la maglia rosa. Ma c’è un’altra inattesa protagonista in agguato in quella tappa, la sfortuna, che si accanisce in particolar modo proprio sulla testa della corsa, anzi sulle “teste delle corsa”. Due forature a cranio, infatti, intervengono a rendere grama la vita a Massignan e Anquetil, con il capoclassifica che patisce anche un salto di catena. Ma è Imerio a pagarne i danni peggiori perché dopo entrambi gli incidenti viene raggiunto da Gaul: la prima volta riesce a distaccare il rivale e a riportarsi solitario in testa della corsa, ma quando successivamente buca ancora mancano appena mille metri alla linea d’arrivo e il lussemburghese ne approfitta per accelerare e presentarsi in solitudine sotto lo striscione del traguardo, che taglia con 14” su Imerio mentre dietro impazza la lotta per la classifica. Nencini approfitta delle sue doti di discesista per aumentare il vantaggio su Anquetil, riuscendo a portarlo dai 15 secondi che aveva in cima al Gavia ai 3’27” che il francese accusa al traguardo, purtroppo non abbastanza da portargli via la maglia rosa, che rimane sulle spalle di “Jacquot” per soli 28 secondi.

Il Giro oramai è concluso perché nulla dovrebbe turbare gli equilibri della corsa nella lunga frazione conclusiva, che in 225 Km conduce i “reduci del Gavia” al tradizionale approdo del velodromo Vigorelli, dove finalmente si riesce ad assistere a un arrivo allo sprint a gruppo compatto, conquistato da Arrigo Padovan mentre Anquetil viene osannato quale vincitore della 43a edizione del Giro d’Italia.

Subito dopo Jacques annuncia che non andrà al Tour e che lo vincerà Nencini. E andrà proprio così…

Mauro Facoltosi

LE ALTIMETRIE

Nota: mancano la 7a tappa (semitappe di Igea e Forlì), 14a (cronometro di Lecco). Nell’altimetria generale conclusiva è segnalata anche la variante con lo Stelvio della tappa di Bormio, da attuare in caso di maltempo.

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