1990, L’ASSOLO ROSA DI GIANNI BUGNO

maggio 9, 2020
Categoria: News

Non vi lasceremo soli. Nel mese che sarebbe dovuto essere occupato dalle cronache e dalle magie del Giro d’Italia, ilciclismo.it vi accompagnerà alla scoperta di edizioni passate della “Corsa Rosa”, una selezione che inauguriamo con il Giro del 1990 vinto da Gianni Bugno. L’abbiamo scelto perché è grazie a quell’edizione del Giro, che il corridore monzese dominò in maglia rosa dalla prima all’ultima tappa, che il nostro direttore Mauro Facoltosi, che scriverà questi ricordi, si appassionò al ciclismo.

Iniziò eccezionalmente in un giorno feriale il Giro del 1990, il 18 giugno, un venerdì. Una data scelta apposta da Vincenzo Torriani per fare in modo che la “Corsa Rosa” tirasse idealmente la volata ai mondiali di calcio che quell’anno si sarebbero disputati in Italia: il Giro sarebbe, infatti, terminato a Milano il 6 giugno, un mercoledì, due giorni prima del fischio d’inizio della prima partita, che sarebbe stata giocata proprio nel capoluogo lombardo. La sede d’avvio era stata individuata in Bari, dove era in programma la “finalina”, mentre era esclusa dal percorso Roma, sede della finalissima, dove il Giro aveva fatto tappa l’anno prima, nel corso dell’edizione vinta da Laurent Fignon. Il francesino della Castorama è al via anche nel 1990 con il ruolo di grande favorito e trova sulla strada a sfidarlo il connazionale Charly Mottet, il bergamasco Flavio Giupponi e il monzese Gianni Bugno: il primo dei due azzurri aveva terminato da miglior italiano della classifica nei precedenti tre Giri d’Italia, una serie culminata con il secondo posto a 1’15” da Fignon l’anno prima; il giovane Bugno, invece, del quale si diceva un gran bene ma che nei primi anni da professionista non aveva colto grandissimi successi, si era sbloccato a marzo conquistando la Milano-Sanremo e ora era atteso alla conferma del suo valore. Nessuno, forse nemmeno lui stesso, si sarebbe aspettato un autentico dominio perché Gianni prenderà la maglia rosa alla prima tappa e la terrà sino alla fine, un’impresa che in precedenza erano stati in grado di compiere solo tre campioni (Girardengo nel 1919, Binda nel 1927 e Merckx nel 1973) e che in futuro nessun altro riuscirà a eguagliare. Da notare, infine, che in gara c’è anche Greg Lemond, che torna al Giro dopo l’esperienza vissuta nel 1986, quando aveva concluso la corsa in quarta posizione con 2’26” di ritardo da Roberto Visentini. A differenza di quel precedente, però, la sua sarà una presenza marginale in vista della partecipazione al Tour e lo stesso accadrà anche nel 1991.

L’atto d’apertura è una cronometro individuale di 13 Km, disegnata in andata e ritorno sul piatto lungomare di Bari con il traguardo fissato in Piazza della Libertà, dove Bugno fa registrare il tempo di 15’19” a una media di quasi 51 Km/h, distanziando di 3 e 9 secondi due specialisti delle cronometro del calibro del francese Thierry Marie e del polacco Lech Piasecki, mentre Fignon è 15° a 29”, Lemond 30° a 21” e Giupponi 41° a 45”.

Assegnata la prima maglia rosa, la corsa propone al secondo giorno di gara una delle frazioni più lunghe, 239 Km da Bari a Sala Consilina con il finale movimentato dalla pedalabile salita verso Sella Cessuta e dal morbido strappo di un paio di chilometri che termina sotto la linea del traguardo. Fignon medita il colpaccio e al traguardo volante di Matera, dove sono in palio abbuoni per la classifica, fa di tutto per portare nella miglior posizione il compagno di squadra Marie, che in classifica ha solo 3 secondi di ritardo da Bugno, ma il bergamasco Giovanni Fidanza, che corre in squadra con il monzese, subodora il pericolo, si butta nello sprint e ricaccia indietro Marie, che si ferma a un solo secondo dalla maglia rosa. Ma il vero capolavoro Fidanza lo compie nel finale, riuscendo a stoppare nientemento che l’assalto diretto di Fignon, imponendosi sul traguardo di Sala Consilina bruciando allo sprint proprio il transalpino.

Al terzo giorno di gara debuttano le montagne con l’arrivo in salita al Vesuvio, anche se si affronta solo parzialmente l’ascesa finale, complessivamente lunga quasi 13 Km. Se ne percorrono solo i primi 8.5 Km, che già bastano a Bugno per allestire un altro show: scatta sull’acciottolato all’uscita da Ercolano e giunge tutto solo al traguardo, 26” dopo l’arrrivo dello spagnolo Eduardo Chozas, mentre Fignon paga 36” al monzese, che ora in classifica comanda con 43” su Chozas.

La quarta tappa era stata inizialmente presentata in un’unica “soluzione” di 194 Km, poi si è stabilito di spezzarla in due frazioni all’altezza del traguardo volante Intergiro: si corre così una prima semitappa mattutina pianeggiante di soli 31 Km da Ercolano a Nola, dove tra i magazzini del CIS (Centro Integrato Servizi) inaugurato quattro anni prima s’impone allo sprint Stefano Allocchio, oggi dirigente di RCS Sport, il gruppo che organizza il Giro. I 164 Km pomeridiani verso Sora prevedono un altro piattone sino a una ventina di chilometri dal traguardo, quando l’altimetria propone la salita non troppo difficile verso Arpino, la cui pendenza media si mantiene sotto il 3%: i velocisti stavolta falliscono il bottino pieno per un’inezia perché appena un secondo prima del piombare del gruppo, regolato allo sprint da Adriano Baffi, avevano tagliato il traguardo l’australiano Phil Anderson e il francese Christophe Lavainne.

La successiva Sora – Teramo è la prima di tre insidiose frazioni appenniniche consecutive, una cavalcata che nel progetto originario doveva misurare 243 Km e proporre le ascese di Ovindoli e del Monte Capo di Serre. I “girini” si trovano, però, a gareggiare su di un percorso diverso, rimaneggiato da Torriani in quattro e quattr’otto a causa di una serie di frane che costringono l’organizzazione a sostituire in fretta e furia la seconda salita con il Passo delle Capannelle, senza aver il tempo di un adeguato sopralluogo sullo stato delle strade. Così la vittoria dopo una lunga fuga del toscano Fabrizio Convalle passa in secondo piano, soffocata dalle polemiche per la brutta caduta avvenuta in una buia galleria della discesa del Capannelle, che Bugno definirà “meno illuminata di una miniera”: qui finiscono a terra una ventina di corridori e tra questi ci sono Valerio Tebaldi, gregario del monzese che sarà costretto ad abbandonare il Giro con il bacino fratturato, e Fignon, che riporta ferite a glutei e schiena, dolorose al punto che gli faranno trascorrere la notte in bianco e che lo porteranno al ritiro qualche giorno più tardi.

Un’altra tappa da fughe va in scena l’indomani tra Teramo e Fabriano, 200 Km esatti che prevedono l’impegnativa ascesa al Sasso Tetto a metà tracciato e il corto Collegiglioni nel finale, ideale trampolino per un’azione a ridosso del traguardo. È proprio qui che si decide la frazione, con l’azione nel gruppo dei fuggitivi del giovane Luca Gelfi, con il quale rimangono Massimo Ghirotto e Anderson, battuti dal corridore lombardo sulla linea d’arrivo. Nulla cambia tra i primi della classifica, anche se permangono le preoccupazioni in casa Castorama per le condizioni di Fignon che, dopo la nottataccia, accusa un minuto di ritardo in cima al Sasso Tetto, svantaggio recuperato nel corso della successiva discesa.

Il trittico appenninico si conclude con una tappa di 197 Km che prevede il secondo arrivo in salita, ai quasi mille metri dell’abbazia di Vallombrosa. Si tratta di una salita double face, moderatamente impegnativa nella prima parte e molto più pedalabile nel finale, che prevede anche un lungo tratto in discesa in vista dello striscione dell’ultimo chilometro; è un altro palcoscenico che Bugno calca alla perfezione, attaccando quando si accorge che Fignon è in difficoltà e primeggiando ancora una volta, anche se con distacchi risicatissimi rispetto a quelli ottenuti sul Vesuvio: il russo Ugrumov gli è subito dietro, poi a 3” giungono i primissimi inseguitori, tra i quali c’è Mottet, il corridore che a questo punto Bugno indica come il suo più pericoloso avversario, mentre Fignon lascia per strada 1’18”.

Dopo l’interlocutoria Reggello – Marina di Pietrasanta, terminata con il secondo successo allo sprint di Allocchio, c’è spazio ancora per un’ultima tappa disegnata sugli appennini, la più insidiosa di tutte perché nei 176 Km da pedalare tra La Spezia e Langhirano sono state inserite salite impegnative come il Passo di Lagastrello e il poco conosciuto Valico di Fragno. Ci si mette anche il maltempo a complicare la giornata e a un certo punto arriva la notizia bomba: Fignon non ce la fa più, il transalpino si ritira nel corso della discesa dal Lagastrello, dopo aver sofferto come un cane in salita e aver accusato quasi 5 minuti di ritardo quando al traguardo mancano ancora 130 Km. Anche Bugno rischia a causa di un attacco promosso nella nebbia da un gruppetto il cui elemento più pericolo è Chozas: lo spagnolo a un certo conquista la maglia rosa virtuale, ma poi si “spegne” con il passare dei chilometri mentre uno dei componenti del gruppetto all’attacco, Volodymyr Pulnikov, vola a conquistare il successo di tappa, il primo di un corridore russo al Giro d’Italia.

Davanti a Bugno, che a questo punto ha un vantaggio di 1’24” sul secondo (il polacco Joachim Halupczok, che morirà prematuramente nel 1994), c’è ora una delle tappe più temute del Giro 1990, un’interminabile cronometro di quasi 70 Km che scatta dal medioevale castello di Grinzane Cavour per concludersi nel cuore di Cuneo. Anche su questo tracciato Bugno “saccagna” la concorrenza, ma l’esito finale ricorda quello del Vesuvio poiché, mentre tutti gli altri accusano pesanti distacchi (lo specialista del tic-tac Piasecki è 3° a 51” dal monzese, l’avversario dichiarato Mottet perde quasi un minuto e mezzo), Gianni si vede precedere – anche se per soli 6 secondi – da un corridore che aveva fatto meglio di lui, quel Gelfi che qualche giorno prima si era imposto a Fabriano e che oggi ferma i cronometri sul tempo di 1h31’46”, pari a una velocità media di quasi 44.5 Km/h. Ora sembra quasi impossibile contrastare il primato di Bugno, che in classifica ha poco più di 4 minuti di vantaggio sui corridori a lui più prossimi, Marco Giovannetti e Mottet.

Dopo la lunga tappa di trasferimento verso Lodi, che vede Adriano Baffi sprintare vittoriosamente, arriva il momento di misurarsi sulle salite alpine, che debuttano con la Brescia – Baselga di Pinè, frazione che prevede a una quarantina di chilometri dal traguardo l’impegnativa ascesa del Vetriolo, teatro di una cronoscalata al Giro di due anni prima. Laddove Andrew Hampsten si era imposto consolidando quella maglia rosa che aveva conquistato nel tremendo tappone del Gavia innevato, stavolta ci prova Mottet assieme ai connazionali Gérard Rué e Éric Boyer, ma Bugno non si fa trovare impreparato e rimane con loro, concedendo solo un margine di una trentina di secondi all’innocuo Boyer, che va a cogliere il successo sul traguardo trentino.

Il sipario torna ora a levarsi sui velocisti, ai quali strizzano l’occhio le due successive frazioni, a cominciare dalla lunga Baselga di Pinè – Udine che si conclude con la vittoria di Mario Cipollini, alla sua seconda affermazione sulle strade della Corsa Rosa dopo quella conseguita l’anno precedente a Mira. Non è così, invece, nell’unica frazione del Giro disegnata fuori dai confini nazionali, nonostante la facilità del circuito austriaco di Klagenfurt: sono ancora i fuggitivi a godere e il godimento è pieno per l’australiano Allan Peiper, che sul traguardo carinziano ha la meglio sul francese Pascal Poisson.

Dall’austriaca Velden si riparte con un tris di tapponi che proporranno in tutto 15 salite chiamate a decretare il nome del vincitore della 73a edizione della corsa rosa. Il primo di questi è il meno adatto agli scalatori a causa della non trascurabile distanza che separa le cime dei colli dal traguardo di Dobbiaco, dove si giunge dopo esser saliti sui passi di Monte Croce Carnico, di Sella Valcalda, della Cima Sappada (sul quale è ancora fresco il ricordo del tradimento di Stephen Roche ai danni di Roberto Visentini al Giro di tre anni prima) e di Monte Croce Comelico. Infatti, mentre Boyer va in fuga assieme ad altri nel finale e ottiene un prestigioso bis, oggi non c’è battaglia tra i big, tutti assieme al traguardo, tutti attenti a non sprecare preziose energie in vista del più succulento tappone previsto per il giorno successivo.

È un giorno storico perché per la prima volta il Passo Pordoi non è semplicemente GPM di passaggio ma ospita l’arrivo di tappa, 171 Km dopo la partenza da Dobbiaco e aver affrontato strada facendo il Passo Valparola, il Gardena, il Sella e una prima scalata al Pordoi, al quale si fa ritorno dopo esser saliti sulla tremenda Marmolada, la salita più dura del Giro 1990. È il giorno della consacrazione, se ancora ce ne fosse stato bisogno, di Bugno e del suo degno avversario: sulla Marmolada davanti rimangono solo loro due, che giungono assieme al traguardo dove Gianni finge una noia al cambio per rallentare e lasciar transitare per primo Mottet.

Ci sarebbe ancora una tappa di montagna da affrontare ma pare quasi impossibile, a questo punto, immaginare un crollo di Bugno nella Moena – Aprica, tappa che prima dell’arrivo in salita propone Costalunga, Mendola, Tonale e Mortirolo. È la prima volta che il passo valtellinese viene inserito nel percorso del Giro ma il tremendo versante di Mazzo è previsto in discesa dopo esser saliti da Edolo, con non pochi timori da parti di tutti, in prima battuta gli organizzatori che hanno predisposto un servizio di compressori per spazzare via dalla strada gli aghi caduti dai pini, che avrebbero potuto sollevarsi a causa dello spostamento d’aria provocato dal gruppo e finire negli occhi di qualche corridore. Mentre dietro non c’è praticamente corsa tra i big, davanti si laurea primo signore del Mortirolo il venezualeno Leonardo Sierra, che stacca i compagni di fuga e s’invola solitario nella discesa verso Mazzo, che lo terrorizza al punto da consigliargli, dopo un paio di cadute, di scendere di bici e percorrerne i tratti più scoscesi a piedi, espediente che gli consente comunque di imporsi all’Aprica con quasi un minuto di vantaggio su Alberto Volpi.

Il Giro è agli sgoccioli e dopo la facile tappa di Gallarate, che vede Baffi mettere nuovamente la propria ruota davanti a quelle degli altri velocisti rimasti in gara, si disputa al penultimo giorno di gara l’ultima delle tre cronometro inserite nel programma. Sono 39 i chilometri che si devono percorrere per andare da Gallarate al Sacro Monte di Varese, una distanza che Bugno potrebbe percorrere in scioltezza perché, a questo punto, nessuno può impensierirlo. Ma la maglia rosa vuole darà un’altra lezione di grande ciclismo, nonostante il diluvio che accompagna incessante l’intera giornata: mentre Gino Bartali lo consacra suo erede Gianni vola anche oggi, vuole vincere per tutti i tifosi che hanno sfidato il maltempo rischiando l’influenza e vince alla grande, impiegando poco più di 58 minuti per percorrere un tracciato che prevedeva anche una salita finale di 5 Km, distanziando di un minuto e venti secondi il secondo classificato, l’inossidabile spagnolo Marino Lejarreta, corridore in grado di disputare nel medesimo anno tutti e tre i grandi giri portandoli a termine (ricordiamo che all’epoca la Vuelta si disputava in aprile) ed è quel che fece nel trienno 89-90-91.

Arriva così il giorno della definitiva consacrazione di Bugno nell’albo d’oro, subito dopo la conclusione del Giro a Milano, dove si gareggia sull’inedito circuito del Parco Sempione, proposta per la prima volta proprio in questa edizione e che viene inagurato dallo sprint vincente di Cipollini. Per Bugno è un trionfo con la T maiuscola: il secondo, Mottet, ha un passivo di 6’33”, il terzo è Giovannetti a 9’01” mentre a chiudere la top ten è l’eroe del Mortirolo Sierra, 10° con 19’12” di ritardo

Mauro Facoltosi

LE ALTIMETRIE

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Altimetria originaria 5a tappa

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