LE QUATTRO LIEGI DI VALVERDE – PARTE PRIMA

aprile 25, 2020
Categoria: News

Si è fermato ad un passo dal primato di Eddy Merckx, unico corridore a vincere per cinque volte la “Doyenne”. StIamo parlando di Alejandro Valverde, che difficilmente domani avrebbe potuto eguagliare il cannibale a causa delle oramai 40 primavere, raggiunte proprio in questo 25 aprile. Ne approfittiamo per farvi rivere le quattro affermazioni dell’Imbatido nella Liegi-Bastogne- Liegi, cominciando con quelle conseguite nel 2006 e nel 2008. Buon compleanno Don Alejandro!

GLI ITALIANI FANNI LA GARA, MA VALVERDE LI CASTIGA TUTTI (2006)

Un’Italia generosa battuta dall’atleta più in forma del momento. E’ riassumibile così la 91esima edizione della Liegi-Bastogne-Liegi, che ha incoronato Alejandro Valverde come il dominatore della settimana, dopo il successo di mercoledì scorso nella Freccia-Vallone. Il talento iberico, 26 anni ancora da compiere, è sbocciato definitivamente, ed in attesa di inquadrare in maniera decisa quale possa essere il suo futuro, diviso per ora tra Classiche, Campionato del Mondo e Grandi Giri, ha iniziato a togliersi le prime grandi soddisfazioni.
Vediamo in breve come si è svolta la gara, che ha vissuto sull’azione nata al chilometro 34 ed al quale hanno contribuito ben 25 atleti, in rappresentanza di 20 squadre: tra gli uomini più pericolosi, Voigt (CSC), secondo nel 2005, la coppia della Rabobank composta da Kolobnev e Flecha, Rogers e Wesemann della T-Mobile, Unai Etxebarria (Euskaltel-Euskadi), Serrano (Liberty Seguros) e Nibali (Liquigas). Quando mancavano poco meno di 100 chilometri al traguardo, ed il gruppo, che inizialmente aveva lasciato fare acquisendo 7 minuti di margine stava per rinvenire, Wesemann ha provato la sortita solitaria, arrivando a guadagnare 2 minuti sugli immediati battistrada, prima di essere raggiunto poco a poche pedalate dell’imbocco della Redoute, dopo un tentativo di allungo di Gilbert. A quel punto i migliori erano già tutti in rampa di lancio. A scandire il ritmo sulle prime rampe della Redoute erano gli uomini di Cunego, con Stangelj su tutti, prima del cambio di ritmo di Basso che spianava la strada proprio all’attacco del veronese. Il piccolo Principe si alzava sui pedali e provava a scremare il gruppo, riuscendovi. Alla sua ruota, i più brillanti sembrano ancora i nostri portacolori, con Basso, Bettini, Di Luca, Simoni, Valverde, Boogerd, pronti a portarsi alla ruota del vincitore del Giro 2004. Tra i più attivi da segnalare anche Martin Perdiguero, che a 200 metri dello scollinamento tentava di nuovo di forzare l’andatura. Si usciva così dalla Redoute con il gruppo dei migliori diviso in due. Nel gruppo dei ritardari, da segnalare la presenza di tutti i compagni di Paolo Bettini, rimasto quindi solo davanti, e di Stefano Garzelli, nuovamente in ritardo rispetto ai migliori.
Ci si è avviati così verso il lungo tratto in discesa, apripista della salita dell’Università. E proprio mentre Michele Bartoli (vincitore a Liegi nel 1997 e nel 1998) in diretta Rai confermava la pericolosità di questo tratto per azioni a sorpresa, ecco che Joaquin Rodriguez tutto solo allunga, ed alla sua ruota si porta Boogerd. I due, o meglio, il solo Boogerd, visto che Rodriguez non ha dato cambi per favorire il recupero del gruppo nel quale era presente il suo capitano Valverde, guadagnano nel volgere di pochi chilometri un margine che oscilla tra i 40 ed i 50 secondi. Sulla salita dell’Università si inizia a far sul serio. Da dietro intanto il gruppo era diventato forte di una quindicina di unità in più, e tra i rientranti erano Giuliano Figueras (Lampre-Fondital) ed Alberto Contador (Liberty-Seguros) a forzare per ricucire lo strappo. Contador ben presto si lasciava sfilare sulla sinistra ed il suo posto veniva occupato da Kashechkin, suo compagno di squadra, che allungava portandosi a ruota Bettini e Basso. Il gruppo, grazie all’azione del kazako, iniziava a guadagnare, arrivando ad un margine di 38’’ in prossimità dell’ultimo chilometro della salita. E proprio quando mancavano ormai poco meno di 500 metri allo scollinamento, era Bettini a tentare una rasoiata, all’apparenza micidiale, alla quale Valverde non riusciva a reagire. Il livornese guadagnava 11’’ sui diretti avversari ed era adesso a soli 19’’ dal duo dei battistrada. Qui, però, il tratto in autostrada che porta dalla salita dell’Università all’imbocco della Cotè de Saint Nicolas, è fatale al Grillo, che tutto solo e controvento non può inventarsi più nulla. Si rialzava sui pedali e veniva raggiunto.
Quando inizia l’ultima vera asperità di giornata prima dell’ultimo chilometro, la coppia al comando ha ancora 28’’ da gestire. Boogerd però, non ne ha più. Dietro è Di Luca a dettare il ritmo, mentre dopo il forcing dell’abruzzese, si muove Miguel Angel Martin Perdiguero, che allunga deciso e si riporta sulla coppia al comando. Poi è il momento di Sinkewitz che raggiunge il nuovo terzetto di battistrada, subito riacciuffato anche da Valverde. Si scollina in 12, coloro che andranno a giocarsi il successo: le uniche squadre con due atleti sono la Csc (con Basso e Schleck) e la Caisse d’Epargne con Valverde e Rodriguez. Poi Cunego (Lampre-Fondital), Bettini (Quick-Step), Di Luca (Liquigas), Horner (Davitamon), Boogerd (Rabobank), Perdiguero (Phonak), Kashechkin (Liberty Seguros) e Sinkewitz (T-Mobile). Mancano ormai poche centinaie di metri. In caso di arrivo allo sprint, come si commenta anche in sede di commento Rai, i più veloci appaiono Valverde, Perdiguero, Cunego e Bettini. Alla Csc, tagliata fuori in caso di arrivo a ranghi compatti, non resta che la carta dell’iniziativa personale. Prova prima Schleck, che parte bene ma poi si pianta, poi a sorpresa allunga anche Perdiguero, ed infine, sotto la flame rouge, è il momento del nostro Ivan Basso. Attacco telefonato, come quello di Boogerd pochi attimi dopo. Riprova di nuovo Sinkewitz ed alla sua ruota si porta Cunego, che poi si sposta. Lo sprint è lanciato, Sinkewitz a centro strada parte lungo, Valverde lo salta facilmente e Bettini non ha la forza di uscirgli di ruota. Sarà secondo, Cunego terzo e Sinkewitz quarto davanti a Boogerd. Di Luca, ormai privo di forze, non riesce a sprintare ed è nono, davanti a Basso.
Fine dei giochi, fine della Campagna del Nord. Analizziamo in breve quanto accaduto oggi a Liegi.
Valverde ha vinto perché è, indiscutibilmente, il più forte allo sprint. Ma questo da solo non basta. Intelligente la mossa tattica di mandare Rodriguez allo scoperto, in quanto probabilmente il compagno non sarebbe stato utile alla sua causa se fosse arrivato tra i migliori sotto al Saint Nicolas. In quel modo, invece, andando in avanscoperta senza tirare, ha conservato le forze per aiutare il capitano sul traguardo di Ans. In quattro giorni l’iberico si è scoperto grande. Quale sarà il suo futuro è ora difficile ipotizzarlo. Capace di vincere allo sprint, in salita, di avere la tenuta sulle tre settimane, il futuro sembra suo. Impressionante, oggi e nella Freccia, soprattutto l’intelligenza tattica con la quale si è mosso. Lo spagnolo non si è mai visto in prima posizione, se non sulla linea di traguardo. Non ha sprecato un’energia in più rispetto al dovuto, si è nascosto sempre e nell’unica fase in cui ha percepito il timore di doversi muovere, nel momento dell’affondo di Bettini, ha probabilmente desistito per volontà propria. Inutile infatti in quel momento seguire il livornese. Inutile esporsi al vento con una condizione così. Ora la curiosità riguarda quello che potrà fare al Tour. E poi un monito per gli azzurri, riguarda Salisburgo. Un Valverde così, o lo stacchi prima, o gli regali la maglia iridata.
Per Paolo Bettini il secondo posto ha un sapore amaro. La condizione non è sicuramente né quella del Giro di Lombardia dello scorso ottobre, né quella sfoggiata ad inizio anno sulle strade della Tirreno-Adriatico. Tuttavia, la mancanza di validi compagni, ha fatto il resto in questa settimana. Perché è ormai appurato che il livornese, se ha la gamba va, ma se ha compagni che possono tirare per ricucire, è tanto di guadagnato. Se non si fosse mosso in prima persona, l’azione di Boogerd avrebbe potuto assumere connotati ben diversi. Se non avesse trovato davanti uno dei corridori più veloci del globo, la Liegi sarebbe sua. Senza se, il suo Nord ed il suo palmares si sarebbero arricchiti di una pagina importante, l’ennesima, che è invece, per ora, rimandata. Rimane difficile comprendere il motivo dell’attacco sulla salita dell’Università. Tardivo e inutile. Ed un inutile spreco energetico. Per l’ennesima volta troppo generoso, ma non se ne può fargliene una colpa. Il Grillo è così. Prendere o lasciare.
Un discorso a parte merita il nostro Damiano Cunego. Qui in Belgio è arrivato in punta di piedi, silenzioso, consapevole del fatto suo. E ha fatto capire a tutti di che pasta sia fatto. In primis ai prossimi avversari in chiave giro, e poi anche a coloro i quali si dovranno scontrare con il Piccolo Principe nelle classiche del futuro. Sì, perché oggi, tra i primi classificati, Damiano era il più giovane. E poco importa se la vittoria non sia arrivata “Terzo è buono, la vittoria sarebbe stata ancora meglio”, ha detto Cunego ai microfoni di Alessandra De Stefano, perché per ora può andare bene così. Se voleva dare una dimostrazione di forza agli avversari della corsa rosa, lo scatto sulla Redoute basta e avanza, se voleva avere indicazioni sui compagni di squadra e sulla dedizione con la quale si applicano alla sua causa, non si può che essere soddisfatti. Cunego, oggi, ha corso davvero bene, accelerando quando ce n’era bisogno e stando a ruota quando non aveva senso correre allo scoperto. La condizione è forse migliore di quella di due anni fa. E qui, tra un anno, potrà tornare per vincere. Come? Semplicemente “facendo fuori” Valverde prima dell’ultimo chilometro. Perché le qualità ci sono, e gli avversari oggi hanno iniziato a guardarlo con quel rispetto, che spesso, nella passata stagione, era mancato.
Un omaggio particolare anche per Michael Boogerd. Stanco di essere battuto puntualmente allo sprint, l’olandese della Rabobank ha provato quando mancavano poco meno di 30 chilometri al traguardo. La nuvoletta fantozziana non lo ha abbondanato nemmeno oggi. Un solo compagno di fuga, quello più sbagliato in assoluto. Il gregario dell’uomo più forte. Pazienza, la Liegi per l’olandese non è arrivata neanche in questa stagione, ma si può affermare che il vecchio Micky sia stato il vero animatore della Doyenne, ed il quinto posto non è che una conferma. Essere eterno piazzato non significa non valere, anzi. Arrivare sempre nei primi, significa altresì dimostrare una costanza su standard elevatissimi, una dedizione ed un amore per il mestiere immutato nel corso delle stagioni. E chissà che prima o poi, prima che la bicicletta venga appesa al chiodo, la decana delle classiche non possa sorridere anche a lui.
Subito fuori dal podio si è piazzato Sinkewitz, forse il più costante nell’arco dell’intera settimana. Oggi, al contrario di quanto avvenuto domenica scorsa all’Amstel, però, il tedesco ci ha provato veramente. Prima sotto lo striscione dell’ultimo chilometro, poi lanciando la volata lunga. Peccato soltanto che il suo spunto veloce faccia il solletico ad avversari che rispondono al nome di Valverde o Bettini. Desta comunque scalpore l’attesa esplosione dell’uomo T-Mobile, che sta confermando una crescita graduale. Il suo futuro dovrebbe essere quello da uomo da Grandi Giri, ma ha dimostrato di sapersi muovere bene anche al Nord. E poi chissà, se davvero Ullrich dovesse presentarsi in condizioni menomate ai nastri di partenza del Tour de France, potrebbe essere proprio Sinkewitz l’uomo di punta T-Mobile.
Danilo Di Luca, invece, la Doyenne la sogna dal giorno in cui si è seduto su una bicicletta. Dopo aver deluso nella passata stagione, quest’anno ci ha provato. Che abbia forse speso troppo in vista dello sprint? Il discorso lascia il tempo che trova. E’ vero che l’abruzzese si è trovato svuotato proprio quando c’era da lanciare lo sprint, ma è altrettanto vero che il suo spunto veloce non vale quanto quello dei primi tre piazzati. Per questo appare giusto il suo forcing sul Saint-Nicolas. Forse uno scatto secco sarebbe stato più redditizio, ma va bene lo stesso. Oggi il ragazzo di Spoltore non ha perso. Ha guadagnato consapevolezza dei propri mezzi e dello stato di forma in vista del Giro d’Italia. Altrettanto bene ha fatto Ivan Basso, che ha acceso i fuochi sulla Redoute prima di provarci di nuovo all’ultimo chilometro. Non è ancora il Basso del Tour de France dello scorso anno, eppure qualcosa inizia ad intravedersi. Oggi non avrebbe potuto muoversi diversamente. Troppo “leggere” le salite per fare la differenza, improbo il compito della volata e di staccare tutti negli ultimi metri. A lui la Doyenne è servita soltanto per testare la gamba, gli obiettivi sono ben altri.
Chi è parzialmente mancato è stato Vinokourov, staccatosi sulla salita di Saint Nicolas. Non avrebbe dovuto prendere parte alla gara, ma come si sa, quando il kazako decide di presentarsi al via, qualcosa da lui va sempre attesa. Eppure così non è stato. E’ mancato, e con lui tutta la Liberty-Seguros. Non c’è da imputargli nulla, se non la mancanza effettiva di condizione e di tenuta su una gara per veri fondisti.
Sorprendente la prova di Gilberto Simoni, che ha concluso al ventiduesimo posto staccato di 45’’, rimanendo davanti fino alle battute conclusive. Niente male, se si pensa che all’età di 35 anni è questa la prima apparizione del trentino alla Liegi, per di più senza compagni di squadra nei momenti cruciali della gara. Di più non avrebbe potuto.
Il poker d’assi per il Giro è quindi servito. Il rammarico è quello di tornare dalle gare del Nord senza successi. Piazzamenti sul podio oggi, con Petacchi a Wevelgem e con Ballan alla Roubaix. Ci è mancata la vittoria, e per chi è abituato a tornare in Italia con un bottino ben diverso, la situazione non è delle più rosee. Essenzialmente è mancato Bettini. Di Luca non partiva per fare bene, ed un Valverde così era incontrastabile. Inutile mangiarsi le mani. Piuttosto, ripartiamo da questo doppio podio, godiamoci un Cunego stratosferico ed iniziamo a pregustare il sapore di Giro. Tra poco meno di due settimane si tornerà nei dintorni di Liegi, a Seraing. Sarà prologo, saranno grandi emozioni, ed un sentito arrivederci alla Campagna del Nord.

Marco Ferri

VALVERDE SI RIPETE DOMA LA DOYENNE E TORNA GRANDISSIMO (2008)

Alejandro Valverde attende, annusa l’aria, scannerizza gli avversari. Stavolta, la Liegi – Bastogne – Liegi è dura, molto più dura rispetto a due anni fa, quando – stessa storia, stesso posto, stesso bar – era bastato farsi portare in carrozza dagli indecisi avversari fino al rettilineo di Ans, sede dell’arrivo della Decana delle corse, venuta al mondo nel lontano 1894. Cambia il percorso, si inasprisce l’altimetria con una salita nuova, la Cote de la Roche aux Faucons, alla cui sola vista l’acido lattico inonda i polpacci. La corsa reclama una gestione diversa: correre al coperto, mettere alla frusta la squadra, salvare la gamba ad ogni occasione, anche a costo di restare un pelo staccati.
Franck Schleck si conosce, medita e trattiene i compagni. Quando il gruppo, a circa 90km da Liegi, approcciava il primo trittico del terrore – le cotes di Wanne, Stockeu e Haute Levée – le squadre più ansiose di dare il primo, vigoso colpo di cesello ai pretendenti entravano in azione: Lotto per Evans, Caisse d’Epargne per Valverde e AG2R per non si sa chi (Nocentini? Desaparecido). Mancava la CSC, la tattica veniva alla scoperta, rifiutando l’ormai consueto palinsesto con gli uomini di Bearne Riis in testa a condurre le danze per indurire le gambe dei rivali, quel tanto da permettere al capitano Schleck, battuto in volata, di spiccare il volo. Dopo le sfinenti ma sterili fughe all’Amstel e alla Freccia, la posta in gioco era troppo alta: meglio dare un colpo deciso con un gregario di classe nelle fasi cruciali.
Davide Rebellin controlla, gestisce e manovra le celesti marionette della Gerolsteiner come un esperto burattinaio. Folle portare Cunego e Valverde in volata e impensabile provare a fare saltare il banco da lontano su un percorso ignoto, l’unica pista da battere nel buio pesto tattico della Liegi è mandare in avanscoperta un compagno, su cui contare come punto d’appoggio. Assieme a Stubbe, Kopp, all’indiavolato Brutt e al promettente francesino Rolland (ultimo a cedere dopo la Redoute), viene spedito in fuga Markus Fothen, ex giovane di belle speranze tedesco, in attesa di rinforzi. Puntualmente in arrivo.
Alejandro Valverde annaspa, barcolla e insegue. A poco più di 30km dal traguardo, l’asfalto si impenna all’uscita di una curva: ecco la Redoute, ex mostro sacro della Liegi, declassata a semplice filtro di seconda mano. La pendenza, stabilmente in doppia cifra, sfiora il ventello e il murciano della Caisse d’Epargne comincia a vedere doppio. Che sia arrivato l’istante della capitolazione, non sul più bello come all’Amstel, non nel momento della verità come alla Freccia ma nel grigiore delle retrovie di un gruppo che sta ormai a cavalcioni di un vulcano quiescente? Valverde è talmente indietro che manco vede la testa del gruppo, ciondola ma si concentra sullo sforzo.
Frank Schleck è brillante, vispo ma guardingo. Sa che non è ancora scoccata l’ora dell’unico affondo decisivo di giornata. Osserva, sornione come Gatto Silvestro, quegl’impavidi che si sfiniscono di scatti e allunghi, di ripetuti canti del cigno, li lascia sfogare. Ecco un arcobaleno brillare nel cielo delle Ardenne, quello di Bettini che proprio sulla Redoute, costruì una vittoria, una carriera e, forse, una vita. Schleck scorge l’ira del campione del mondo di fronte alla mancanza di rispetto del gruppo di fannulloni a questa tremenda salita ma, a differenza del livornese, trattiene l’esuberante gamba. Mentre Soler, Lloyd ed Evans chiudono il buco, il lussemburghese si guarda intorno per cercare una sagoma amica e scorge la più cara ed impensata: quella del fratello. Andy Schleck è lì, nemmeno ultimo vagone del trenino dei migliori. Basta uno sguardo, il fratellino capisce le intenzioni del fratellone e scatta veemente sul falsopiano, lasciando basiti corridori, spettatori e commentatori con un’azione di forza e agilità insieme capace di dargli cento metri in un batter d’ali.
Anche Davide Rebellin stava annaspando, barcollando e inseguendo, lucido però abbastanza da capire la topicità della situazioni di corsa. Rientrato agevolmente sul rilassato gruppetto dei nove più pimpanti della Redoute, eccolo spronare un’altra marionetta del teatrino Gerolsteiner ad uscire allo scoperto: Stefan Schumacher, altra ex primadonna in cerca di se stesso, lanciato a tutta velocità all’inseguimento di Schleck junior. Che il tentativo di eversione sia appetitoso, Rebellin lo intuisce da subito: Pellizzotti ed Efimkin invano si dannano l’anima per cucire lo strappo sullo Sprimont e invano Bettini esegue il doloroso canto del cigno sulla salita che sei anni fa lo lanciò verso il bis nella Doyenne. Davanti, gli illustri comprimari vanno spediti: sarà dura recuperarli.
Davide Rebellin raccoglie le forze, punta il naso all’insù e sventra l’asfalto. È cominciata la nuova cote, la Rocca dei Falconi. Joaquin Rodriguez ha appena piazzato una delle sue accelerazioni da camoscio. Se il gregario di Valverde decolla, la Liegi è andata, dietro nessuno sarebbe più disposto a tirare. Il veneto ha la sua idea delle condizioni del compagno in fuga: Schumacher non è quello di un anno fa e nemmeno quello di Stoccarda, ma in fondo, Schumacher, chi lo conosce? Mentre, duecento metri avanti, Andy Schleck conferma i dubbi esistenziali su Schumacher, piantandolo in asso, Rebellin capisce che arrivata l’ora della vendemmia, di gettare la maschera e fare sul serio. Lo scatto fa male, il respiro dei rivali si fa affannoso.
Franck Schleck marca, si acquatta, collabora. La gamba risponde al meglio, conscia di essere una delle più esplosive di questa sinora scalognata Campagna del Nord. Il rapporto fluisce potente tra villette in festa a valle, un misterioso bosco a monte. I vari Rodriguez, Cunego, Evans, Pfannberger, Bettini si disputano come piccoli Lillipuziani la ruota del lussemburghese volante – a sua volta in scia di quel vecchiaccio del capitano della Gerolsteiner – ma le pendenze e i continui cambi di ritmo della nuova salita (scostante, irascibile e cocciuta) martoriano la resistenza degli ostinati partigiani. In cima allo strappo, il fratellino è raggiunto e gli avversari staccati, con il solo campione spagnolo a ostinarsi a non staccare la spina. Non è questione di tattiche, ma di gambe. Sta davanti chi ne ha di più.
Alejandro Valverde interroga le gambe, conta le stille di energia, si alza sui pedali. Non può il proprio gregario stare davanti nella corsa più dura del mondo; non può sfuggire ancora la Liegi, dopo averla vinta da padrone, persa da allocco e sognata ogni notte per dodici mesi; non si può salire in riserva e trovarsi di fianco a gente con la bocca aperta e la bava che cola: segno che i margini ci sono. Basta una zompata delle sue, di quelle che tradiscono la giornata di grazia, per riportarsi sul quartetto di testa. La corsa è chiusa. Due coppie e una sicurezza: per chi dietro si è gettato alla ricerca del tempo perduto, il sogno finisce a 20km da Ans, nonostante Rodriguez molli poco dopo il rientro veemente del proprio capitano.
Davide Rebellin ha grinta, gambe e fame. Non come nel 2004, quando, già Amstel e Freccia nel carniere, sfruttò lo stomaco vuoto di Boogerd per spremere l’olandese all’inseguimento del fuggitivo Vinokourov nel finale della Liegi, salvo poi infilzarlo in volata. Da quel giorno, però, il 37enne vento ha vinto solo sul muro di Huy. Comprensibile vederlo sfiatarsi all’inseguimento di Andy Schleck, asso nella manica calato dal pokerista Franck, scattato ancora una volta per stanare gli avversari del fratello e sancire il suo definitivo sbocciare come talento assoluto di questo sport.
Franck Schleck fiuta l’andazzo, scuote il capo, matura grandi propositi. Sa bene che il generoso scatto di Andy lascia il tempo che trova, si esaurirà da solo, è destinato all’inesorabile destino di infrangersi sul Saint Nicolas come una mareggiata sugli scogli. Lo sanno anche i due avversari che, più veloci di lui, si preparano al prevedibile assalto sull’ultima cote del 28enne lussemburghese. E, con puntualità svizzera forse appresa da Cancellara, Schleck si alza sui pedali appena il fratellino viene ripreso. Lo scatto vibrante e potente, energico e dissodante come un aratro nei campi, fa bruciare le gambe di Rebellin, scotta quelle di Valverde senza però sortire l’effetto desiderato: l’italiano e l’iberico restano incollati alla sua ruota. La corsa di Schleck è finita, le ultime energie sparite nel buco nero della lancinante fatica. Nonostante i rivali paventino ancora, nei cinque chilometri conclusivi, un pericoloso affondo, tanto da procedere ai dieci orari sulla salita verso Ans, la spia rossa, per Schleck è accesa da un pezzo.
Alejandro Valverde attende, annusa l’aria, scannerizza gli avversari. E vince. Incredulo al cospetto dell’afflosciarsi di Schleck, sicuro di potere infilzare Rebellin in una volata a due, si prende pure la briga di uscire in testa dalla curva finale e di partire per primo verso quella linea bianca troppe volte sfuggita nelle gare che contano. Spesso bastano le prime tre pedalate per capire, in uno sprint, chi vincerà. Per Valverde, neanche quelle: la corsa si era infatti decisa sulla Roche aux Faucons, quando, quasi con naturalezza, questo figlio della Spagna chiudeva il buco sugli scattanti. Troppo veloce, sorprendentemente furbo e scaltro, maledettamente adatto a questa corsa per potere essere scalzato da chi, come Rebellin, ha speso l’indicibile per fare sua, anch’egli, una seconda volta la Liegi, la Decana, la corsa di un giorno più dura, più estenuante. La più vecchia ma sempre la più bella.

Federico Petroni

La prima delle quattro vittorie di Valverde alla Liegi, nel 2006 (foto Bettini)

La prima delle quattro vittorie di Valverde alla Liegi, nel 2006 (foto Bettini)

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