1967, L’ACCENTO DI ZANDEGÙ SUL FIANDRE

aprile 6, 2020
Categoria: News

Concludiamo il nostro sguardo retrospettivo sui Giri delle Fiandre del passato ricordando l’edizione del 1967 della corsa fiamminga, conquistata dal veneto Dino Zandegù

Il pubblico del ciclismo aveva conosciuto Dino Zandegù al Processo alla Tappa, durante il Giro del 1966. Il simpatico duetto con Anna Maria Gambineri, una delle presentatrici Rai allora più note, ed altre presenze alla fortunata trasmissione di Sergio Zavoli, lo avevano reso popolare più delle sue due prime vittorie di tappa alla Corsa Rosa. Bucava il video, insomma: come poteva non risultare simpatico alla platea televisiva quel ragazzone veneto estroso, chiacchierone, dalla battuta pronta e dall inconfondibile cadenza veneta che ricordava “Gregorio il Gregario”, il personaggio ideato da Ugo Tognazzi alla fine degli anni 50?
Padovano di Rubano, classe 1940, l’alto e robusto Dino (un metro e ottantatrè per settantotto chili) non era un Carneade. Nel 1962 si era laureato campione del mondo nella cronometro a squadre cogliendo l’argento l’anno successivo nella stessa specialità: le doti di passista di valore non gli mancavano, quindi. Passato professionista alla fine del 1963, aveva colto la sua prima vittoria di peso al Giro di Romagna, nella primavera del 1965, imponendosi in volata.
Ma è nel 1966 che Zandegù – passato alla Bianchi – si impone all’attenzione degli appassionati aggiudicandosi nella prima parte della stagione non solo la prima edizione della Tirreno- Adriatico, ma primeggiando anche in una tappa al Giro di Sardegna e cogliendo una serie di piazzamenti di rilievo in alcune delle più importanti classiche nazionali.
Al Giro d’Italia, poi, oltre ad imporsi in due volate (a Giulianova e a Reggio Emilia) diventa addirittura l’uomo di classifica della sua squadra piazzandosi all’undicesimo posto finale, ben prima di più quotati uomini da corse a tappe.
Con questo biglietto da visita passa alla Salvarani di Gimondi, con Luciano Pezzi come direttore sportivo. L’inizio di stagione, meno brillante rispetto a quello dell’anno precedente (solo una vittoria di tappa alla Tirreno e il sesto posto alla Sanremo), serve per preparare la gamba in vista delle Classiche del Nord.
Il Giro delle Fiandre, giunto alla cinquantunesima edizione, è in programma domenica due aprile. È Eddy Merck il grande favorito: dopo avere bissato il successo alla Sanremo si è aggiudicato il mercoledì precedente la Gand-Wevelgem, ottenendo così la sua prima vittoria in una classica belga.
Antagonista designato, manco a dirlo, è Gimondi, mentre Zandegù riceve da Pezzi una precisa consegna: incollarsi alla ruota di Merckx e marcarlo stretto. Dino, per non sbagliare, trascrive il numero di gara del belga sui guantini.
O guantoni, forse, perché quel giorno fa così freddo che più di un corridore deve fare ricorso ad un paio di guanti da sci.
E’ una giornata invernale, al raduno di partenza di Gand. Cielo plumbeo, vento, pioggia e persino nevischio accompagneranno i corridori lungo i 245 chilometri della classica fiamminga.
La corsa è movimentata da una fuga di otto uomini, tra i quali spicca il nome di Noël Forè, il vecchio campione belga che, a quasi trentacinque anni, cerca di ottenere un prestigioso bis nella corsa che lo aveva visto trionfare nel 1963.
A metà gara i fuggitivi arrivano ad avere un vantaggio di sei minuti. Poi, dopo il Kwaremont ed il Muro di Grammont (che, a detta di Zandegù, quell’anno non sarebbe stato scalato per intero), restano al comando in tre: oltre a Forè, il suo connazionale Willy Monty ed il britannico Barry Hoban.
È Gimondi il primo a lanciare la sfida. Con un’azione superba si getta all’inseguimento dei primi, recuperando quasi due minuti in una quindicina di chilometri. La sua pedalata è talmente incisiva che i cinque uomini che avevano tentano di accodarsi sono costretti a desistere. Merckx non può restare a guardare e parte al contrattacco sul Valkenberg. Zandegù, fedele alle consegne ricevute, lo segue come un’ombra, senza mai dargli un cambio.
E se Felice davanti vola, Eddy non è da meno.
Proprio mentre Gimondi si accoda al terzetto di testa, il giovane alfiere della Peugeot lo raggiunge e Zandegù è sempre li, non lo lascia un attimo. Mancano una trentina di chilometri alla conclusione e i volti dei sei uomini al comando sono maschere di fango.
Ora è Merckx che ha scelto la ruota di Gimondi per rifiatare ed è a quel punto – mancano una ventina di chilometri o poco più alla conclusione – che comincia la leggenda di Zandegù.
Forse per finta o forse per una manovra diversiva, Dino scatta. Allunga in maniera perentoria e Merckx esita, temporeggia, controlla Gimondi. È il bergamasco il suo rivale, mica Zandegù. Solo il vecchio Forè riesce ad agganciarsi al veneto. I due prendono il largo e quando Merckx capisce che fanno sul serio comincia a spingere sui pedali, e questa volta è Felice ad incollarsi alla suo ruota.
Zandegù e Forè: entrambi vogliono mettere l’accento sul Fiandre. L’uomo della Salvarani va come un treno, memore del suoi trascorsi di eccellente passista; Forè , che un Fiandre l’ha gia vinto, ma anche una Roubaix e una Gand-Wevelgem, collabora alla fuga come può.
Dino è incontenibile nella sua azione e mentre pedala chissà a cosa pensa! Forse ai genitori fornai, alle sue sette sorelle , a quel giornalista che l’aveva paragonato al mago di una favola per bambin , agli incredibili cherzi durante le Sei Giorni… Ma oggi non sta scherzando Dino, fa tremendamente sul serio Il traguardo si avvicina e Merckx, rabbioso, non riesce a riportarsi sui due. ll’imbocco del lungo rettilineo d’arrivo di Meerbeke i fuggitivi hanno un vantaggio rassicurante e si giocano la vittoria. Zandegù parte lungo e più di una volta, proponendo una progressione incontenibile alla quale non può opporsi l’anziano Forè. Vince quasi per distacco Dino, alzando al cielo il braccio destro; Merckx, a 20 secondi, si aggiudica il gradino più basso del podio, precedendo Gimondi, Hoban e Monty. Dopo 30 secondi giunge il gruppo dei migliori con Guido Reybrouck, Herman Van Springel, Jan Janssen e Gerben Karstens a completare la top ten.
Che trionfo per Dino! È il secondo italiano a vincere la Ronde, sedici anni dopo l’ultimo dei tre successi consecutivi di Fiorenzo Magni. Ed è una gran gioia anche per i numerosi emigrati italiani presenti a cui Dino, su sollecitazione di Adriano De Zan, dedica alcune strofe di “O sole mio”. La carriera di Zandegù cantante comincia quel giorno di inizio aprile.
“Canta, Dino, canta!”, gli gridano i nostri connazionali e Dino li accontenta, pensando che dal suo paese erano partiti in tanti a cercare lavoro all’estero. È una situazione paradossale: in una giornata grigia e fredda un italiano canta “O sole mio” a Gentbrugge, un sobborgo di Gand, la città che fu culla di Carlo V, il sovrano sul cui impero non tramontava mai il sole! C’era voluto Zandegù a compiere tale miracolo!
È il ciclista del momento: la televisione belga lo invita ad uno show con Adamo, il popolare cantante italo-belga, offrendogli un cachet di tutto rispetto, mentre in Italia viene contattato per incidere un 45 giri.
Sullo slancio di quella vittoria Zandegù si aggiudicherà poco dopo il Giro di Campania e al Giro d’Italia non solo conquisterà due tappe, ma vincerà anche la maglia ciclamino. Nella classifica a punti primo Zandegù, secondo Merckx: ancora battuto il campione belga!
Sarebbero seguite altre vittorie negli anni a venire (39 in totale), tanti piazzamenti e indimenticabili duelli – in sella sulla strada e verbali nei dopocorsa – con le migliori ruote veloci dell’epoca (e ce n’erano davvero tante!) .Campione tra i più popolari della seconda metà degli anni sessanta, l’estroso e incontenibile Dino – che i francesi avrebbero chiamato “Zandegù le Troubadour” – in una memorabile volata al Giro d’Italia del 1970 (si arrivava a Jesolo, quella volta) ebbe la soddisfazione di piazzare la sua ruota davanti a quella di Reybrouck, di Marino Basso (il rivale più odiato), Walter Godefroot e Patrick Sercu. Signori, chapeau!
Chiuse la carriera di corridore al Giro di Lombardia del 1972, con un vero e proprio colpo di teatro. Avvantaggiatosi sul gruppo nei pressi di Caglio, dove la salita diventava per lui insostenibile, scese di bicicletta e di fronte ai i numerosi appassionati disse: “Zandegù vi ha offerto il suo ultimo acuto, ora si offre il suo ritiro” . Applausi a scena aperta per un’uscita di scena degna di un grande attore.
Restò nel mondo del ciclismo diventando un apprezzato direttore sportivo ( e pochi ci avrebbero giurato). Poi, in tempi più recenti, dopo un incarico nell’organizzazione del Giro d’Italia in qualità di responsabile della carovana pubblicitaria, ha conosciuto un‘ulteriore giovinezza nelle vesti di personaggio televisivo, in trasmissioni non solo di stampo ciclistico. Non solo raccontando, da grande affabulatore, divertenti aneddoti sul ciclismo che fu ma componendo e cantando ballate dedicate ai campioni del momento, il tutto condito da un’ironia ed una verve davvero sorprendenti.
La sua vittoria al Fiandre sarebbe rimasta n’impresa indimenticabile e ci sarebbero voluti ventitrè anni per rivedere il successo di un altro azzurro, il suo conterraneo Moreno Argentin.
E pensare che quel giorno del 1990, sulle Fiandre splendeva un sole abbagliante, mediterraneo: quel sole evocato e cantato da Dino Zandegù in una fredda domenica di Aprile del 1967.

Mario Silvano

Laffermazione di Zandegù al Giro delle Fiandre del 1967

L'affermazione di Zandegù al Giro delle Fiandre del 1967

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