PAGLIACCIATE ALLA FACCIA DEL PAILHÈRES. CINCISCHIANO I GRANDI, RIBLON ALLA RIBALTA
I Pirenei, finalmente, e subito con un tracciato potenzialmente molto selettivo: Pailhères e Ax-3 Domaines in rapida successione nel finale promettono sconquassi. Il caldo è meno intenso che negli scorsi giorni, ma il sole e l’afa sono spietati su queste salite. Peccato che per fare una corsa ci vogliano i corridori…
Fotocopertina: il francese Riblon in azione sulla salita finale (foto Bettini)
Riblon, francese 29enne dell’Ag2R finora senza soddisfazioni di spicco in una carriera bifronte affacciatasi su strada e pista (il successo più notevole è… un secondo posto, l’argento mondiale nel Madison quest’anno) conquista il trionfo in una delle tappe di montagna più dure del Tour de France. La più classica fuga della prima ora che via via perde i pezzi, fino a baciare con l’alloro della vittoria una sola fronte, quella di Christophe. C’erano pezzi pregiati con lui: Thomas (Sky), Zabriskie (Garmin), Van de Walle (Quick Step), Augé e Moinard (Cofidis), Vaugrenard (FDJ), Brutt (Katusha) e Rolland (Bbox). Ma il talento di Rolland resta inespresso, Brutt non è a suo agio sulle grandi montagne, Thomas è altro genere di pistard… e via dicendo. Il già bravo al Tour Moinard è l’ultimo a cedere, ma sul Pailhères Riblon è già tutto solo, e tale resterà fino all’arrivo. Sembrava troppo esiguo il suo vantaggio, di volta in volta già ai piedi di ciascuna delle ascese: invece no. E questo anche perché i dieci nomi altisonanti che si contendono l’alta classifica propongono un ritmo ben poco superiore a quello dell’avventuroso francese con oltre 150km di fuga nelle gambe. Un minuto circa il vantaggio di Riblon all’arrivo, dei due o tre che ha dovuto difendere negli ultimi quaranta durissimi chilometri. Bravo lui a “risparmiarsi” (mentre i compagni di fuga crollavano uno dopo l’altro?), o gretti a risparmiarsi loro?
Difficile a dirsi, di certo chi proprio non si risparmia è l’Astana, che si esaurisce pressoché integralmente – eccezion fatta per il proprio capitano – tirando e tirando e tirando, in pianura, poi sul vallonato, sui falsopiani, sulle salite e perfino in discesa. Vinokourov, a riprova della propria incrollabile dedizione, sarà il protagonista unico delle trenate in discesa e quindi sull’ultima asperità. A tratti sembrerà quasi che il suo ritmo da gregario, conscio di dover cedere nel finale oltreché esaurito dagli sforzi degli ultimi due giorni, sia comunque esorbitante rispetto alla capacità, o volontà, di tenere le sue ruote da parte degli uomini di classifica.
Va pur detto che le velocità non sono comunque asfissianti sul Pailhères, Tiralongo è provato e lavora per poco, poi subentra un monumentale Navarro che però è reduce da una caduta e fa quel che può. Schleck staziona in modo un po’ ridicolo nel posteriore del gruppo (imita l’Armstrong attore da Oscar degli anni d’oro?), ma pedala troppo bene per illudere chiunque; comunque gli altri nomi pesanti gli ronzano attorno per tenerlo d’occhio. Vicino alla testa del peloton sta soprattutto Van den Broeck. Ci provano così in piccoli attacchi successivi Valls, Sastre (col supporto di Gustov in un abbozzo di azione seria e concertata), Kiryenka: andranno a formare dopo lo scollinamento un gruppetto unico assieme ai rimasugli dell’evasione mattutina e a Cunego, protagonista di un bel rientro in discesa dopo aver disputato – e perso – uno sprint per i pois contro Charteau (altro francese non propriamente fenomenale che sta trovando verso la trentina il Tour della vita).
L’utilità per gli osservatori di questo gruppetto intercalato è duplice: da un lato testimonia di come Riblon sia stato efficace sull’ultima salita, visto che Cunego e Sastre, pur pimpanti, non riuscivano a recuperarlo particolarmente e anzi finivano rimontati. Per altro verso proprio esaminare gli avvicinamenti e allontamenti a elastico tra i rientrati big e i due scalatori superstiti rendeva l’idea di quanto gli uomini di alta classifica proponessero una velocità di marcia assai oscillante. Per la cronaca, Damiano e Carlos finiranno comunque a una quarantina di secondi dalla maglia gialla.
Conclusosi lo sforzo di Vinokourov, che peraltro stronca come vittime eccellenti prima Kreuziger e poi Basso prima ancora dei -6 al traguardo, ci si ritrova a guardarsi tra capitani, in un drappello che vede naturalmente protagonisti Schleck e Contador, accompagnati da Menchov, particolarmente reattivo, Samuel Sanchez, guardingo e meditabondo su ogni azione ma ben presente, Van den Broeck molto regolare, Joaquin Rodriguez apparso a proprio agio in un contesto da scattisti. Leipheimer e Gesink avevano appena preso una piccola scottatura sul passo di Vino, ma il secondo potrà rientrare grazie ai crolli dell’andatura e proporsi addirittura tra i migliori.
Inizia qui quella che qualcuno potrebbe definire un duello di nervi, ma che è più apparentabile a una manfrina: Contador e Schleck si studiano, lo spagnolo attacca tre volte, come già Andy sulla Madeleine, ma la maglia gialla si limita a difendere; in tutto ciò i due corridori ignorano platealmente il comportamento degli altri atleti, che risultano di volta in volta piantati sul posto (Menchov escluso), poi inevitabilmente davanti semplicemente salendo del proprio passo, perfino avvantaggiati rispetto alle due gatte morte che si improvvisano pistard intenti in ridicoli surplace. Proprio Menchov è il primo a capire l’andazzo e a piazzare una bella accelerazione, cui si accoda il solo Samuel Sanchez (peraltro i due sono accomunati oltre che dal colore simile delle divise anche dalla lotta per il podio…).
La giusta punizione per i due ignavi là dietro, intanto ripresi da Cunego!, sarebbe stata una bella mazzata in termini di distacco; epperò, siano stramaledette le radioline, “arrivò la notizia in un baleno, notizia d’emergenza agite con urgenza”: l’accordo tra i due amichetti e rivali è presto fatto, come sulla Madeleine appunto, e via di comune accordo per mangiarsi quei 30” in 2km, mollare lì il povero Cunego che già sognava di vagare un po’ su quelle ruote, e ridurre a quattordici insignificanti secondi il distacco da Menchov e Samuel Sanchez. Raccogliendo per la via i due giovani flessuosi talenti fiamminghi a difesa delle rispettive “nazionali” (Gesink in Rabobank e Van den Broeck in Lotto) e un Rodriguez lussuoso esordiente negli abiti nuovi da capitano.
Basso e Kreuziger non si ritrovano proprio, nonostante i cali di ritmo là in testa, e chiudono – tanto per dare un’idea – rispettivamente con Nicolas Roche ed El Fares. Una disfatta, specialmente perché segni di cedimento oggi ne avrebbero dati anche Leipheimer e L. L. Sanchez: ma i due verdi han fatto peggio.
Paradossalmente senza che accada nulla, la classifica si delinea sempre di più, man mano che trascorrono le occasioni per ribaltarla e che si confermano i rapporti di forza. Ci si chiede semmai se ora Basso non debba temere il rientro di Vinokourov dalla proprie spalle!
Lo spettacolo complessivamente non è stato dei più edificanti, e induce a due considerazioni.
In primo luogo se lo sbandierato plusvalore del Tour legato alla sua maggiore importanza economica e mediatica non stia progressivamente svuotando non solo il valore spettacolare ma anche quello tecnico della corsa: avere in gara un Contador e uno Schleck che però ritengono di esprimersi per lunghi tratti su valori tecnici molto inferiori, non è troppo dissimile dall’avere a competere corridori… che sono sic et simpliciter inferiori. La differenza c’è, figuriamoci, altrimenti non ci sarebbe nemmeno il distacco in classifica; però ad Avoriaz, Les Rousses e oggi non si può dire che sia stato espresso un contenuto tecnico-atletico di livello eccezionale. Non solo: proprio il peso che al Tour comunque ha un terzo, quinto, ottavo posto e via dicendo fa sì che anche gli altri contendenti, altrimenti propensi a far saltare il banco quando contasse solo il primato, tentennino prudentemente per non sperperare il proprio capitale acquisito, anche se magari il premio – pur difficile a concretizzarsi – potrebbe essere il primato in classifica. Una piaga che ha reso tatticamente inguardabili gli anni di Armstrong e che affligge anche questi nostri pomeriggi.
In secondo luogo viene da domandarsi come e quando vedremo le squadre dotate di un potenziale di primissimo ordine giostrarlo in modo un po’ più elaborato. Gesink e Menchov si possono forse scusare in virtù della prestazione complessivamente vincente di ambedue (ma non si sarebbe potuto ottenere ancora di più?); però ammirare Radioshack che galleggia nell’anonimato (si conta finora sulla vittoria regalata da Kiryenka a Paulinho?) e piazza poi Kloeden a un minuto e venti, Leipheimer a 45” dalla maglia gialla, rende impossibile non pensare al fatto che avrebbero magari potuto concertare qualcosa sul Pailhères. Peggio che peggio per quanto concerne la Liquigas, che come al Giro ha reso moltiplicativo e vincente il rapporto tra due capitani, qui invece li sta lasciando afflosciare ciascuno nel proprio brodo, senza uno straccio di iniziativa. Ma forse le tappe più “creative” sono quelle a venire, quindi attendiamo fiduciosi.
Potremmo anche disquisire sul testa a testa tra il primo e il secondo in classifica, il loro balletto magari dovrebbe essere perfino il tema del giorno: la paura, chi ne ha di chi, il carattere, i nervi, le provocazioni, la maglia gialla da difendere, quella vera o quella virtuale, la troppa supremazia sugli altri… sinceramente però ci hanno così irritati che preferiamo ignorarli.
Gabriele Bugada