NEL SEGNO DI BJORG
C’è un angelo custode a vegliare dal cielo sul gruppo, l’angelo Bjorg.
È l’immagine che ha idealmente accompagnato il lento e doloroso pedalare odierno sulle strade del Giro di Polonia, fino a ieri l’altro festose e sulle quali s’è abbattuta la scure della disgrazia. La morte di Bjorg Lambrecht, deceduto in seguito a una caduta durante la tappa di Zabrze, ha davvero colpito tutti, forse ancora di più rispetto a quella – ricordo ancora vivo nonostante siano già passati otto anni – del suo conterraneo Wouter Weylandt, entrambi belgi ed entrambi nativi della medesima città , Gand. Perché Bjorg era davvero giovanissimo, 22 anni appena, la stessa età di Egan Bernal, e perché come il colombiano era considerato un corridore dal futuro splendente, nel cui recente passato brillano le medaglie d’argento conquistate ai campionati europei di Plumelec nel 2016 e d’Innsbruck lo scorso anno. Sprazzi di una classe che s’era palesata un paio di mesi fa anche al Delfinato, dove aveva conquistato la maglia bianca di miglior giovane, i primi lumi di una carriera che ieri pomeriggio è tragicamente finita in un fossato lungo la strada per Zabrze.
Il senso d’impotenza, il magone per una simile disgrazia che dilania l’animo del tifoso, non poteva che essere maggiore tra i suoi colleghi che oggi non se la sono sentita di correre, di far corsa vera. Era in programma una delle tappe più interessanti della corsa polacca, 173 Km da pedalare tra Jaworzno e Kocierz con un ripidissimo muro proprio a ridosso del traguardo che avrebbe visto in prima fila i corridori che puntano al successo finale. Niente di tutto questo c’è stato perché l’organizzazione ha deciso di neutralizzare la tappa, che comunque è stata vissuta dal gruppo perché, come già successo in passato in occasioni simili, s’è deciso lo stesso di mettersi in sella per omaggiare il collega scomparso. Tutte le squadre si sono alternate in testa, a turno, mentre i chilometri scorrevano lenti e a scorrere erano anche le lacrime sui volti di tutti e non solo dei suoi compagni alla Lotto Soudal, la formazione belga alla quale alla fine sono stati lasciati i tristi palcoscenici dei chilometri iniziali e finali, da percorrere da soli con pochi metri di vantaggio sul gruppo.
Così era successo il 10 maggio del 2011 quando, ventriquattrore dopo la tragica scomparsa di Weylandt, il gruppo impegnato al Giro d’Italia consegnò alla memoria del corridore belga i 216 Km della Quarto dei Mille – Livorno, con la Leopard-Trek, squadra di Wouter, prima a transitare compatta sulla linea d’arrivo.
Esattamente la stessa cosa s’era vista il 19 luglio del 1995 sulle strade del Tour quando l’ultimo tappone pirenaico – da Tarbes a Pau per 237 Km – fu trasformato in un’interminabile dedica a Fabio Casartelli, la cui vita terrena era terminata il giorno prima scendendo dal Portet d’Aspet. Ci fu anche qualche corridore che arrivò a dire che si sarebbe dovuto correre come se niente fosse, perché anche quella sarebbe stata una maniera per omaggiare il corridore lombardo, magari dedicandogli la vittoria e devolvendo i premi alla famiglia. Ma forse aveva esagerato, perché quando il dolore è così grande – è morto un collega, è morto un ragazzo giovane – si ha solo voglia di chiudersi nella propria mestizia.
Ma in passato in altre occasioni si era voluto omaggiare il corridore scomparso correndo: era successo durante la Foppolo – Piacenza del Giro del 1986, dopo che in mattinata era stata comunicata la notizia della morte di Emilio Ravasio, ricoverato da quasi due settimane in ospedale dopo aver perso in sensi in seguito ad una caduta nella prima frazione della Corsa Rosa; era successo anche 10 anni prima, sempre al Giro, durante la semitappa Catania-Siracusa, disputata con la morte nel cuore per il decesso dello spagnolo Juan Manuel Santisteban durante la frazione mattutina. C’era anche un altro precedente al Tour, quello della vittoria in solitaria di Barry Hoban sul traguardo della Carpentras-Sète, il giorno dopo la tragica scalata al Mont Ventoux sul quale aveva smesso di brillare per sempre la stella del suo connazionale e compagno di squadra – si correva per nazionali all’epoca – Tom Simpson.
Ma stavolta il dolore è stato davvero tanto, troppo.
Bjorg, che tu sia angelo costude del gruppo che oggi tanto ti ha amato
La redazione de ilciclismo.it