HAUSSLER FENDE IL DILUVIO, MA RIMANE LA NOIA
Il 25enne tedesco vince la Vittel – Colmar di 200 km grazie ad una lunga fuga, precedendo di oltre 4’ Txurruka, 2°. Feillu e Chavanel, ultimo a cedere ad Haussler, anticipano di poco un gruppo regolato da Velits a oltre 6’. I big non si muovono, malgrado un percorso favorevole ad attacchi, e Nocentini conserva così la maglia gialla. Pellizotti nuovo leader degli scalatori.
A questo punto, non possiamo più dare la colpa solo agli organizzatori e al loro discutibile percorso. Perché i Pirenei facevano ridere, Arcalis non è una salita proibitiva, la tappa di Saint-Girons presentava i colli troppo lontani dal traguardo, e il Tourmalet a 70 km dall’arrivo è un affronto alla salita più scalata della storia del Tour, ma la Vittel – Colmar di oggi era davvero una frazione ben disegnata: una côte di 3a categoria per scaldare i motori, il Col de la Schlucht per prendere confidenza con le salite vere, il tanto atteso Platzerwasel a 60 km dal traguardo a sollecitare gli attacchi da lontano, il Bannestein per non perdere il ritmo e il Firstplan per gli ultimi assalti. Insomma, terreno per provarci ce n’era, e parecchio. Se però una tappa del genere la vince uno che ha rischiato di vincere la Sanremo in volata, e dando un’occhiata all’ordine d’arrivo ti salta all’occhio, accanto al numero 6, il nome di Thor Hushovd, capisci subito che c’è qualcosa che non va. Nello specifico, una totale assenza di coraggio.
E dire che le premesse per vivere una giornata chiave nell’economia di questo Tour de France c’erano tutte, a cominciare da condizioni meteorologiche molto difficili, con pioggia lungo tutto il tracciato e temperature piuttosto basse sulle due vette oltre i 1000 metri, e da una prima ora condotta a ritmi vertiginosi, con una media superiore ai 47 km/h. Tanto più che sul Col de la Schlucht, quando in testa alla corsa si era formato un terzetto composto da Haussler, Chavanel e Perez, almeno una quindicina di corridori avevano provato ad uscire dal gruppo. Quando, sul Platzerwasel, la miccia doveva però accendersi, ecco che ancora una volta tutta la baldanza di cui i vari Schleck, Sastre e compagnia sembravano forniti è sparita, per lasciare spazio alla tradizionale processione dietro gli uomini Astana, che, come era logico attendersi, ben si guardavano dall’imporre un passo forsennato.
Malgrado il tasso di combattività dei cosiddetti pretendenti alla maglia gialla (diciamo “cosiddetti” perché per essere definiti veramente tali bisognerebbe provare a prenderla la maglia, anziché aspettare che piova dal cielo per grazia divina) si mantenesse su livelli da partita di bridge, il gruppetto di un eccellente Rinaldo Nocentini, in cima all’unico colle di 1a categoria di giornata, si era portato ad appena 3’ dall’ormai non più terzetto di testa (Perez aveva perso contatto a metà salita), ed era ridotto a 20-25 unità. Sarebbe bastato insistere per tagliare fuor qualche buon corridore, come, ad esempio, un Kirchen molto poco convincente, e con una Astana finalmente non più presente in blocco nel drappello dei migliori, ma rappresentata dai soli Kloden, Armstrong (particolarmente brillante) e Contador, non era utopia sperare che qualcuno raccogliesse il coraggio a due mani e si lanciasse, con clamoroso ardire, in uno scatto che non fosse un mini-allungo a 1 km dall’arrivo.
E invece, gli unici ad evadere dal gruppo sono stati Brice Feillu, principe di Andorra, e Txurruka, basco che attacca sempre e non vince mai, guadagnando peraltro minuti su minuti con relativa facilità, mentre davanti Chavanel si staccava in discesa dal compagno d’avventura Haussler. Che anche il breve e facile Bannestein non ispirasse chissà quale belligeranza nei corridori di vertice era prevedibile, ma che non fosse sufficiente neppure il Firstplan, non durissimo (8,4 km al 5,4%), ma posto ad appena una ventina di chilometri dal traguardo, per smuovere Schleck, Sastre & co. (facciamo ancora una volta i nomi del lussemburghese e dello spagnolo perché sin dalla presentazione di Montecarlo avevano parlato di quella odierna come di una tappa chiave per questo Tour) dal loro immobilismo, pur temendolo, non ce lo aspettavamo. Peraltro, l’immobilismo di cui sopra, oltre a risultarci un po’ irritante (come peraltro si sarà già capito), dal momento che ci costringe a trovare i più svariati espedienti per non cadere tra le braccia di Morfeo mentre siamo davanti alla TV, è decisamente inspiegabile, a meno che non si pensi davvero di poter mettere in difficoltà Contador e Armstrong attaccando sulle ultime salite delle tappe alpine (se così fosse, ci vorrebbe una bella risata finta da sit-com americana). Sempre che non sia invece un segnale di rassegnazione, ovviamente (e in questo caso, più che la risata finta, ci vorrebbe un requiem in morte di questo Tour). Quel che è certo è che, pur comprendendo il timore che la Astana sia troppo forte per essere messa in difficoltà, mai si prova, mai lo si scopre.
A dimostrare quanto questa tappa fosse impegnativa, e a far crescere il rammarico per i mancati attacchi da parte dei favoriti, ci hanno poi pensato le crisi susseguitesi tra i fuggitivi, con Chavanel ripreso e staccato in salita da Txurruka, involatosi tutto solo verso la piazza d’onore, a 4’10’’ dal vincitore, e in pianura da Feillu, a sua volta in gravissima difficoltà negli ultimi chilometri, ma capace di conservare il 3° posto a 6’12’’, anticipando di 18’’ il francese della Quick Step. Chi invece non ha mai avuto neppure un istante di crisi è stato Heinrich Haussler, che ha smentito tutti coloro che lo davano in pessime condizioni di forma per via di una vacanza un po’ troppo spensierata alle Maldive. In una giornata in cui tutto il resto è stato noia (chiediamo scusa per la citazione un po’ arrangiata e non esattamente dottissima, ma è quanto di più calzante ci sia venuto in mente sul momento), la cavalcata del tedesco d’Australia (è nato a Inverell, cittadina australiana di 9000 anime, che dista oltre 400 km dal grande centro più vicino, Brisbane) è stata l’unico raggio di sole nel cielo plumbeo di Colmar, spento come questo Tour. Aggiungendo una vittoria di tappa del genere al suo già straordinario 2009, in cui spiccano i secondi posti a Sanremo e Fiandre, Haussler si candida seriamente a sorpresa dell’anno 2009, e va già ad oggi annoverato tra i migliori corridori di questa stagione. Certo è che, vedendo il tedesco in queste condizioni, viene da chiedersi cosa abbia fatto fino adesso in questa Grande Boucle, visto che non ha mai disputato uno sprint né ha provato ad anticiparlo. Comunque sia, tedeschi e australiani hanno di che stare allegri; i primi perché hanno in casa un campioncino, i secondi perché questo campioncino sogna di passare a correre con la loro maglia.
Se le crisi di Chavanel e Feillu hanno dato prova della difficoltà di questa frazione, il 6° posto di Thor Hushovd dimostra invece quanto sia stata blanda l’andatura del plotone, di cui abbiamo già diffusamente parlato. Con questo piazzamento, decisamente inatteso, il vichingo ha ripreso possesso della maglia verde, strappatagli appena 24 ore fa da un Mark Cavendish che potrebbe comunque riappropriarsene già domani, nella facile Colmar – Besançon di 199 km. E parlando di maglie, non si può non fare un cenno alla difesa del primato di Nocentini, che domani toccherà quota 7 giorni da capoclassifica e supererà, anche se, ovviamente, solo numericamente, gli indimenticabili giorni gialli di Marco Pantani. Tutto sommato, anche in una tappa sulla pericolosa per la sua leadership come quella di oggi, Rinaldo, con quel suo nome da prode cavaliere, non ha dovuto invece sostenere chissà quali assalti per mantenersi in cima ad una graduatoria ormai fossilizzata da una settimana a questa parte. E rimanendo in tema di maglie e di italiani, Franco Pellizotti, sull’ultimo colle di giornata, sfruttando la regola per cui l’ultima salita di giornata, quando si tratta di vette Hors Catégorie o di 1a o 2a categoria, assegna punteggio doppio, ha coronato il suo inseguimento ad un Egoi Martinez molto poco brillante, staccatosi sul Platzerwasel, ora distanziato di 3 punti dal friulano (98 – 95). Fossimo un po’ più campanilisti, avremmo di che rallegrarci; da appassionati di ciclismo e di Tour, però, l’amaro in bocca per una giornata così è davvero difficile da cancellare.
Matteo Novarini