FUORI CON VERGOGNA

giugno 25, 2010
Categoria: News

Un’Italia confusa e a tratti impresentabile viene sconfitta per 3-2 dalla modesta Slovacchia, e chiude ultima nel Gruppo F con 2 punti. Dopo un tremendo primo tempo e una scarsa reazione nella prima metà di ripresa, la formazione di Lippi reagisce solamente sul 2-0, accorciando le distanze con Di Natale, prima di vedersi condannare definitivamente da Kopunek. Inutile la splendida rete nel recupero di Quagliarella.

Foto copertina: gli slovacchi festeggiano la qualificazione (foto Ansa)

La peggiore Italia di sempre. Non è la rabbia per un’eliminazione inattesa e imbarazzante a spingerci ad etichettare così l’accozzaglia di reduci e giovani (relativamente ai parametri del calcio italiano, che lancia i ragazzi in Nazionale non prima dei 23-24 anni, abitualmente, cioè più o meno l’età media dell’attacco tedesco) messa assieme da Marcello Lippi, ma la pura e semplice storia: escludendo il 1958, quando fummo spettatori dell’edizione svedese che consacrò Pelé, altre cinque volte l’Italia era uscita nella prima fase (1950, 1954, 1962, 1966 e 1974), ma sempre vincendo almeno una partita. Impresa (…) non riuscita alla spedizione sudafricana, a dispetto di un girone che era probabilmente il più facile fra quelli capitati in sorte alle teste di serie, che lasciava presagire una facile qualificazione, con annesso non proibitivo ottavo di finale con il Giappone, prima del primo big match ai quarti con la Spagna.
Si è detto che sì, siamo stati deludenti, ma che la fortuna non ci ha sorriso. Vero. Come diceva Arrigo Sacchi, però, la fortuna bisogna anche meritarsela. Pensare di acciuffare la qualificazione con un forcing di dieci minuti, dopo 260 minuti di nulla o quasi, sarebbe come provare a vincere un Tour de France correndo tre settimane sulle ruote degli avversari a dispetto di un distacco di alcuni minuti in classifica generale, per poi giocarsi tutto all’ultima occasione buona. Cosa che può anche riuscire, ma per un Carlos Sastre, che dopo due settimane e mezzo di anonimato spiana l’Alpe d’Huez e si prende la maglia gialla parigina, ci sono cento corridori che finiscono per non compiere l’impresa. Il famoso “culo di Lippi” (perdonate l’espressione, ma è stata citata ovunque testualmente per anni), cui molti hanno attribuito il trionfo tedesco di quattro anni fa, non sarebbe servito a nulla senza una squadra ad alto tasso tecnico, fisicamente in palla e con un carattere d’acciaio. Analogamente, la sfortuna che obiettivamente ci ha accompagnati nella atroce prestazione di ieri non sarebbe stata un problema se avessimo giocato novanta minuti perlomeno discreti. Attribuire l’eliminazione alla cattiva sorte sarebbe come – per tornare al precedente esempio di un attacco disperato nel finale di Tour – addebitare il mancato successo ad una foratura nel momento decisivo: non ci si deve rammaricare per la foratura, ma per non essersi mossi prima e più spesso.
Ciò che più infastidisce è che l’eliminazione, pur inattesa nella tempistica (anche questa Italia vecchia e tatticamente confusa avrebbe dovuto asfaltare la più che modesta concorrenza di Nuova Zelanda e Slovacchia, se non del Paraguay), non è di per sé sorprendente. Mai come questa volta, in tempi recenti, era così forte la convinzione di non poter vincere il Mondiale. Da Italia ’90 in poi, si è sempre stati convinti di poter arrivare in fondo (riuscendoci in due occasioni su cinque, e andandoci ad un rigore nella manifestazione di casa). Questa volta, la domanda non era se saremmo usciti, ma quando. Non c’era la consapevolezza della presenza di un Armstrong di turno (facciamo riferimento agli anni 1999-2005), quasi imbattibile in virtù di una superiorità fisica, tattica e mentale, ma il senso di un’inadeguatezza, di un ricambio generazionale incompiuto anche perché non lo si è voluto compiere. E in questo senso, anche se in questo momento sarebbe troppo facile individuare la causa di ciò nel ritorno di Lippi e nei chiari debiti di riconoscenza nei confronti di molti “vecchi”, di certo il ritorno del tecnico di Viareggio sulla panchina azzurra non ha aiutato.
Si chiude dunque mestamente una spedizione partita in tono minore, che si candida a pieno titolo quale maggiore delusione del Mondiale sudafricano (sulla Francia le attese erano forse ancora minori). Una squadra che ha convinto talmente poco che perfino noi italiani, da sempre avvezzi a riversare sui direttori di gara la frustrazione per risultati non all’altezza, a dispetto di alcuni fischi contestabili e contestati, non abbiamo avuto il coraggio di indicare in Webb (arbitro peraltro eccellente, non a caso designato per la finale di Champions League di quest’anno) una delle cause della disfatta. La speranza è quello di un rinnovamento profondo e, soprattutto, mirato e pianificato. Aggettivi che poco si addicono alla formazione vista in queste ultime settimane, apparsa, più che “camaleontica”, secondo i desideri del C.T., decisamente confusa, quando non caotica.

Matteo Novarini

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