SORENSEN SE LI BEVE TUTTI
A Vittel, città di acque termali e minerali, il danese della Saxo Bank conquista il primo successo di tappa in carriera al Tour de France, grazie ad una lunga fuga. L’azione decisiva ai -22, quando Sorensen si avvantaggia assieme a Calzati, prima di staccarlo a 5 km dal traguardo. La piazza d’onore va a Lefévre, che anticipa Pellizzotti. Il gruppo, regolato da Cavendish, giunge a 6’ e mezzo. Cade nel finale Cadel Evans.
Non sarà stata una girandola di emozioni senza precedenti, ma dopo due giorni da caraffe di caffè ci si può accontentare. A Vittel, città termale nota soprattutto per la sua acqua minerale (indovinello: quale nota marca francese di acqua sponsorizza il Tour de France, comparendo sugli striscioni che indicano i -20, i -15, i -10 e via discorrendo?), la Danimarca è entrata a far parte della ristretta cerchia di paesi che hanno potuto festeggiare una vittoria di tappa in questo Tour (cerchia in cui si nota una quanto mai inusuale prevalenza monarchica: Inghilterra, Norvegia, Danimarca, Spagna), dopo 211 km piuttosto nervosi.
In una tappa in cui già al via da Tonnerre si sapeva che l’unica valida alternativa alla cinquina di Mark Cavendish sarebbe stata una fuga da lontano, tutte le squadre che in questi giorni avevano tutto sommato oziato a centro gruppo si sono mobilitate, dando vita a 70 km di battaglia furibonda per entrare nella fuga buona. A prevalere, quasi per caso, andandosene sull’inerzia di uno sprint per un GPM, sono stati il nostro Franco Pellizotti, unico italiano che finora abbia avuto l’ardire di andare in fuga, Markus Fothen, Egoi Martinez, e la classica batteria di francesi, quest’oggi rappresentata da Lefevre, Calzati e Pauriol. A questi si è unito poco dopo Nicki Sorensen, e il drappello ha preso il largo, lungo i rimanenti tre GPM, su cui Pellizotti e l’attuale detentore Egoi Martinez si sono sfidati per punti per la maglia a pois (pochi, per la verità ).
Superato l’ultimo GPM, il più duro con i suoi 800 metri all’11% di media, con oltre 4’ di vantaggio sul gruppo, e quindi con la pressoché totale certezza di potersi giocare la tappa, il drappello dei fuggitivi si è spaccato a 22 km dal traguardo, quando proprio Sorensen, l’ultimo ad unirsi alla compagnia, è stato il primo ad abbandonarla. L’unico con la prontezza di gambe e spirito per accodarsi al danese è stato Sylvain Calzati, già vincitore di una tappa alla Grande Boucle, a Lorient nel 2006, grazie anche al provvidenziale aiuto di qualche motocicletta patriota. I due hanno acquisito una ventina di secondi di margine, che sono però scesi addirittura sotto quota 10 poco prima dei 5 km al traguardo. Sorensen, rendendosi conto di portarsi a spasso un peso morto, che quando passava a condurre rallentava nettamente l’andatura della coppia, ha allora deciso di giocarsi le proprie carte in solitudine, piazzando un secondo e questa volta risolutivo scatto.
Alle sue spalle, infatti, le gambe e la collaborazione iniziavano a venir meno, e il vantaggio del corridore della Saxo Bank ha sfondato rapidamente il muro dei 30’’, sotto il quale è sceso solamente nel finale, quando già Sorensen era intento a festeggiare. La volata dei battuti è andata a Lefevre, che ha anticipato con relativa facilità un comunque brillante Pellizotti, che si è avvicinato, sia pur di poco, alla maglia a pois. Il gruppo, che nel finale se l’è presa decisamente comoda, ha tagliato a 6’25’’, regolato da Mark Cavendish, che ha rafforzato la sua leadership nella classifica a punti. Per il meno giovane dei due Sorensen in forza alla Saxo Bank, la risposta ciclistica ai due Strobl dello sci alpino (cioè stesso cognome e stessa nazionalità ma nessun rapporto di parentela), si tratta del primo successo al Tour de France, nonché del settimo in una carriera in cui spiccano i due titoli nazionali danesi conquistati nel 2003 e nel 2008.
A 34 anni suonati, questa era forse per Sorensen l’ultima grande opportunità per poter entrare nell’albo d’oro dei vincitori alla Grande Boucle, anche perché, da domani, la Saxo dovrebbe essere interamente a disposizione di Frank e Andy Schleck, che sulle strade dei Vosgi avranno terreno adatto per portare forse il primo vero attacco alla corazzata Astana. Peraltro, il percorso, con il Platzerwasel a 62 km dal traguardo, seguito da altre asperità meno impegnative ma comunque rilevanti, si presta molto ad azioni da lontano. Corridori come Sastre, Evans (che quest’oggi è caduto nel finale, ma il cui distacco è stato neutralizzato), Menchov e, appunto, i fratelli Schleck, troveranno forse domani la tappa che più si addice ad un’imboscata o ad un attacco a sorpresa, forse anche più di qualunque tappa alpina.
E parlando di imboscate e attacchi a sorpresa, non si può non fare un cenno alla questione delle radioline, che l’UCI ha consentito per la tappa di domani, originariamente da disputarsi senza. Se si considera che la maggioranza dei corridori, a quanto pare, non avrebbe nulla in contrario a correre senza oreillettes, appare chiaro che il problema è stato sollevato soprattutto dai direttori sportivi. Evidentemente, senza poter sbraitare tutto il giorno nelle orecchie dei loro corridori, senza poter comandare i loro atleti come automi, i DS non si sentono sicuri. Non siamo tra coloro che pensano che una tappa senza auricolare, se corsa per davvero (cioè non come quella di Issoudun), risulterebbe spettacolare a prescindere, ma una giornata di ciclismo un po’ meno automatizzato, in cui sia il corridore a decidere se è il caso di attaccare o meno, anziché sentirselo urlare nelle orecchie, di sicuro, male non farebbe.
Matteo Novarini