L’ITALIA NON PARA I GUAY
giugno 15, 2010
Categoria: News
Un primo tempo simile ad una tappa della prima settimana del Tour de France, un secondo a mo’ di inseguimento disperato, riuscendo però soltanto a limitare i danni. Senza tornare una volta di più su scelte discutibili in sede di selezione della rosa, analizziamo in ottica ciclistica l’esordio azzurro ai Mondiali sudafricani; a testimonianza di come sotto lo storico dualismo – tipicamente italiano – fra calcio e ciclismo, sport delle masse per eccellenza, si celino in realtà diversi punti di contatto, connaturati ad una qualsiasi disciplina sportiva.
Foto copertina: De Rossi pareggia il gol di Alcaraz (foto www.sportmediaset.mediaset.it)
In una qualunque corsa a tappe, la prima giornata di gara è abitualmente utile soltanto per scaldare i motori, e ciò che più conta è non gettare al vento secondi o minuti. L’importante è non far danni, insomma, in attesa di costruire il risultato più avanti. Il problema è stabilire quanto si possa perdere, al massimo, per poter affermare di non essersi preclusi ogni possibilità di successo. In una corsa di tre settimane (leggasi: un campionato), anche un avvio lento, lasciando per strada anche un paio di minuti, può essere neutralizzato allorché la condizione sopraggiunge. Quando però la gara in questione abbraccia non più di una settimana (le sette partite della Coppa del Mondo), non è pensabile presentarsi in condizione deficitaria, specie nel caso in cui, dopo tre delle sette tappe, i corridori nella seconda metà della classifica generale venissero tagliati.
Quella di ieri sera è stata una partita che ha ricordato piuttosto da vicino una tappa della prima settimana di Tour de France: partenza lanciatissima, fase di stanca dopo il primo quarto di gara, protrattasi fino al primo vero colpo di scena. Un colpo di scena giunto come un fulmine a ciel sereno, secco, inaspettato, giunto senza alcuna avvisaglia o lavoro preparatorio da parte della squadra. Colpo di scena che si sarebbe peraltro risolto in un nulla di fatto, se non fosse stato accolto, da chi si presumeva controllasse la gara, con un immobilismo degno della tappa dell’Aquila dell’ultimo Giro d’Italia, con dormita al momento dell’attacco, e successivo rintronamento reiterato nei chilometri (minuti) successivi.
Sfortunatamente per Vinokourov, Evans e compagnia, il ciclismo non prevede una pausa a metà percorso per riordinare le idee, e prendersi una meritata strigliata da parte del Direttore Sportivo per una reazione pressoché inesistente alla difficile situazione creatasi. DS sicuramente responsabile, in parte, di tale situazione, in virtù di scelte assai discutibili al momento della scelta degli uomini da schierare al via (facendo finta che la scarsa disciplina e affidabilità sia la ragione dell’esclusione dei due uomini di maggiore talento, pensate cosa si sarebbe detto se qualche anno fa Pevenage, al Tour de France, avesse lasciato a casa il poco professionale Ullrich, o se Lefevre affidasse i gradi di capitano Quick Step alla Roubaix a Devolder per via dei rapporti di Boonen con la polvere bianca), ma senz’altro capace di rimotivare un gruppo apparso più nervoso che determinato dopo la doccia fredda.
Un po’ come il gruppo che recupera minuti su minuti e poi si addormenta quando si è riportato a 1’ dai fuggitivi, la Nazionale ha saputo premere con decisione per gran parte della ripresa, riuscendo però a bucare la difesa paraguayana soltanto grazie al suicidio in uscita di Villar. Un pareggio con il quale, alla fine, in una corsa breve come un girone di qualificazione, non si è scampato il pericolo (mai ci sentiremmo di giudicare come un risultato positivo una X contro una nazionale asfaltata dall’Irlanda a pochi giorni dalla partenza per il Sud Africa), ma ci si è se non altro lasciati concrete chance di recuperare nelle due tappe restanti. Tappe, sulla carta, più facili della prima, ma che, al pari di questa, si prestano a trabocchetti, specie se alcune discutibili scelte di formazione saranno confermate (è vero, in Italia ci sono 60 milioni di CT, ma non serve un luminare del pallone per avanzare dubbi sull’opportunità di schierare un centravanti come ala destra e un interno di centrocampo come trequartista, lasciando in panchina il proprio giocatore più prolifico nell’ultima stagione). Potremmo comparare il nostro girone al contemporaneo Tour de Suisse: nessun ostacolo all’apparenza insormontabile, ma tante giornate insidiose, potenzialmente foriere di sorprese assai sgradite.
Matteo Novarini
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