ROMA: NON CHIAMATELA PASSERELLA
Potrebbe non trattarsi della tradizionale passerella di fine corsa. Le insidie delle strade romane, sampietrini in primis, avranno il potenziale per rendere meno scontato del solito l’ultimo giorno di gara e anche gli uomini di classifica dovranno tenere gli occhi bene aperti… e non certo per ammirare i monumenti della capitale.
Un circuito cittadino da ripetere più e più volte è il classico “format” delle passerelle di fine giro, ma stavolta non ci sarà il solito clima da ultimo giorno di scuola spensierato. Roma è Roma e il fatto di correre tra i monumenti della “Città Eterna” darà quel “quid” in più al gruppo che si lancerà lungo le strade della capitale certamente con più ardore. Ed anche il percorso ci metterà del suo perché ci sarà un’insidia che l’altimetria non può evidenziare, la presenza dei “sampietrini”, i cubetti di porfido che pavimentano molte strade di Roma e che hanno questo nome in ricordo degli operai che, all’epoca dello Stato Pontificio, erano preposti alla loro manutenzione e che erano stipendiati dalla “Fabbrica della Basilica di San Pietro”. Non è certo il pavè della Roubaix, ma si tratta comunque un fondo stradale meritevole di particolare attenzione da parte del gruppo per la sua scivolosità – soprattutto in caso di fondo stradale bagnato dalla pioggia o in conseguenza della caduta di qualche borraccia – e per le vibrazioni che inevitabilmente saranno innescate dagli spazi tra un blocchetto e l’altro. Ne sa qualcosa il russo Denis Menchov che, nell’affrontare un tratto di sampietrini nel corso della crono conclusiva del Giro d’Italia 2009, scivolò inattesamente a terra percorrendo l’ultimo chilometro, ruzzolone che non gli impedì di imporsi nel “Giro del Centenario”, riuscendo anche a guadagnare una ventina di secondi sul corridore che lo seguiva in classifica, l’abruzzese Danilo Di Luca che poi sarà estromesso dall’albo d’oro di quell’edizione per la positività al CERA. Poiché nel corso di ciascun giro – lungo 11,5 Km cadauno – si dovranno percorrere 4,8 Km sul porfido e sono previste 10 tornate, alla fine di quest’ultima frazione i corridori avranno incamerato quasi una cinquantina di chilometri di pavè, all’incirca la stessa razione di pietre che caratterizza la Roubaix; dunque, la tappa capitolina potrebbe rivelarsi molto più dura del previsto, con cadute e frazionamenti nel gruppo che potrebbero anche avere un certo peso. Se la situazione di classifica fosse decisamente “solida” molto probabilmente scatterà nel gruppo un certo senso di “fair play”, con i corridori di testa che rallenteranno per attendere chi sarà rimasto attardato; ma se ci fossero uomini che da quelle particolari situazioni di corsa potrebbero trarne vantaggio – come il poter entrare nella top ten della corsa (o nella top five, ricordate quel che fece Vinokurov a Parigi nel 2005?) o, addirittura, fare le scarpe a una maglia rosa che abbia un vantaggio risicato – allora la tappa cambierà completamente registro e diventerebbe anche determinante. In caso di corsa particolarmente “accesa” nelle operazioni di recupero potrebbe non aiutare molto nemmeno il disegno altimetrico perché il tracciato prevede una salita nelle fasi iniziali del circuito e sicuramente lì vedremo il gruppo messo in fila indiana, in particolar modo nei tratti più stretti del percorso.
L’ultimo raduno di partenza avrà luogo nella cornice delle Terme di Caracalla, dagli anni ’30 del secolo scorso tornate a “vivere” come luogo di concerti, dalle quali il gruppo si metterà in marcia per percorrere fuori gara il tratto finale del circuito, sino al “chilometro 0” che sarà fissato presso la futura linea d’arrivo, al termine del rettilineo di Via dei Fori Imperiali, la centralissima arteria che fu realizzata in epoca fascista su progetto dell’ingegner Barnaba Gozzi per collegare in linea retta il Colosseo con Piazza Venezia, opera che fu compiuta demolendo il cosiddetto “quartiere Alessandrino”, realizzato alla fine del XVI secolo su iniziativa del cardinale Michele Bonelli nelle adiacenze dei Fori Imperiali. Percorsi i primi 300 metri già sul lastricato si giungerà in Piazza Venezia dove, svoltando a destra, si andrà a imboccare il tratto in salita, diviso in due settori distinti da una breve e ripida discesa. La prima porzione d’ascesa è la più consistente, misura 1,2 Km e sale al 3,8% (primi 400 metri al 7,2%), da percorrere in compagnia dei sampietrini sino a 400 metri dalla scollinamento. Di fatto si tratta dell’ascesa al colle del Quirinale, sul quale il gruppo giungerà dopo esser transitato da Largo Magnanapoli, piazza del rione Monti sulla quale incombe la medioevale Torre delle Milizie mentre a due passi si apre il sagrato della barocca chiesa dei Santi Domenico e Sisto. Allo scoccare del primo chilometro ci sarà il passaggio di fronte al Palazzo del Quirinale, “nato” nel 1583 come residenza estiva dei papi in un’area considerata più salubre rispetto a quella del Colle Vaticano, divenuto dopo l’Unità d’Italia prima residenza ufficiale della famiglia Savoia e poi del Presidente della Repubblica. Si ritroverà l’asfalto nei 400 metri conclusivi di questa prima parte della salita che, costeggiato il fabbricato della “Manica Lunga”, avrà termineall’altezza dell’incrocio delle “Quattro Fontane”, così chiamato per le quattro fontane che ne adornano gli angoli, opera dall’architetto ticinese Francesco Borromini. Qui si svolterà a sinistra per imboccare uno dei tratti più infidi del circuito, la breve discesa in porfido che spezza in due la salita iniziale e sulla quale si affaccia di sbieco l’imponente Palazzo Barberini, che appartenne ad una delle più influente famiglie dell’aristocrazia romana e che oggi accoglie una delle due sedi della Galleria Nazionale d’Arte Antica. Al termine della discesa sotto le ruote s’incontrerà uno “sputo” d’asfalto al momento del passaggio da Piazza Barberini, al cui centro troneggia la berniniana Fontana del Tritone, subito dopo il quale riprenderanno pietre e salita nei 500 metri al 2,4% che condurranno a uno dei luoghi turisticamente più celebri della capitale, la chiesa della Santissima Trinità dei Monti, punto più elevato della scenografica scalinata che sale dalla sottostante Piazza di Spagna. Sfiorata Villa Medici, sede dal 1803 dell’Accademia di Francia, si pedalerà per circa 800 metri sull’asfalto nell’affrontare la breve discesa che, disegnata nelle pendici del Pincio – colle belvedere dal quale ammire il panorama su Roma sorseggiando un aperitivo o un caffè nella neoclassica Casina Valadier – plana con un paio di tornanti su Piazza del Popolo, dove si ritroverà il lastricato nei successivi 400 metri, di fatto costituiti dal periplo di uno dei più celebri spazi aperti di Roma, sul quale si affacciano la basilica di Santa Maria del Popolo e le due chiese “gemelle” di Santa Maria dei Miracoli e di Santa Maria in Montesanto, quest’ultima nota con il soprannome di “Chiesa degli artisti”. Transitando tra questi due luoghi di culto si andrà a imboccare il più lungo rettifilo previsto dal tracciato, coincidente con l’intera Via del Corso. Lunga 1500 metri e totalmente da percorrere su asfalto, è l’ultimo tratto della storica strada consolare Flaminia e deriva il nome dalle corse dei “bàrberi”, cavalli originari dell’Africa settentrionale, che un tempo si tenevano in occasione del carnevale. Vi si affacciano palazzi della nobiltà romana (come il Doria-Pamphili, sede dell’omonima galleria, una delle principali collezioni d’arte private), chiese come la Basilica dei Santi Ambrogio e Carlo al Corso (è la chiesa “nazionale” dei lombardi che risiedono nella capitale), rinomati alberghi e luoghi del potere come Palazzo Chigi, costruito nel 1582 e dal 1961 sede del Governo, fino a quella data ospitato nel Palazzo del Viminale. All’uscita dal “Corso” il gruppo si ritroverà nuovamente in Piazza Venezia, stavolta pedalando sul lato dell’omonimo palazzo – con il celebre balcone di mussoliniana memoria – mentre di fronte si avrà l’imponenza del Vittoriano, il monumento a re Vittorio Emanuele II per realizzare il quale si racconta che l’architetto marchigiano Giuseppe Sacconi si sia ispirato alle scenografie naturali delle Dolomiti. Qui avrà inizio il più lungo tra i sette settori di porfido che s’incontreranno in ciascun giro, 1800 metri all’inizio dei quali i “girini” sfrecceranno tra il colle del Campidoglio e il quartiere del Ghetto, dov’è possibile deliziare il palato con alcune prelibatezze della cucina “giudaico-romanesca” come gli spettacolari carciofi alla giudía. È l’occasione per unire il piacere della tavola alla vista di alcuni tra i monumenti secondari della capitale come il Portico d’Ottavia, il Foro Piscario e il Teatro di Marcello. Si lambirà quindi il corso del Tevere dalle parti del Tempio di Vesta e della fotografatissima Bocca della Verità (è il chiusino d’un antico tombino, esposto nell’atrio della Basilica di Santa Maria in Cosmedin), dove si svolterà in direzione di Piazza di Porta Capena, giungendovi dopo aver costeggiato la cavea del Circo Massimo sul lato del Palatino. Giunti nella piazza dove un tempo troneggiava la Stele di Axum, rinvenuta semi-interrata da soldati italiani nel 1935 durante la guerra d’Etiopia e restituita nel 2005 allo stato africano, inizierà una sorta di “circuito nel circuito”, un anello interamente su asfalto lungo poco meno di 3 Km che si snoderà attorno alle Terme di Caracalla e che ricalca una piccola parte del tracciato del Gran Premio della Liberazione, una delle più prestigiose corse del calendario U23, che si tiene annualmente il 25 aprile e nel cui albo d’oro risalta la vittoria di Gianni Bugno nel 1985, ottenuta pochi mesi prima del suo passaggio al professionismo, mentre l’edizione 2018 è stata conquistata dal 22enne veronese Alessandro Fedeli. Sfiorate la villa dove abitò Alberto Sordi, prossimamente trasformata in un museo dedicato all’indimenticato attore romano, e la chiesa dei Santi Nereo e Achilleo, si farà ritorno in Piazza di Porta Capena all’imbocco della penultima razione di pavè, poco meno di 300 metri lungo Via di San Gregorio, strada che punta dritta come un fuso verso l’Arco di Costantino costeggiando il Celio, uno dei sette colli “canonici” sui quali fu fondata la città di Roma e sul quale si trovano, tra i monumenti più prossimi al tracciato della tappa, la chiesa di San Gregorio Magno al Celio e l’adiacente complesso di oratori. Un altro arco i corridori lo incontreranno proprio accanto al Colosseo, ma non si tratterà di un’opera d’arte, essendo quello metallico dell’organizzazione, emblema della “flamme rouge” un tempo accesa per avvisare i corridori del sopraggiungere dell’ultimo chilometro e che anticiperà il rientro del gruppo sul lastricato dei Fori Imperiali, per uno dei rettilinei d’arrivo più spettacolari della storia del ciclismo. Alto che Campi Elisi!!!
Mauro Facoltosi
RINGRAZIAMENTI
Segnaliamo che le citazioni cinematografiche (nel testo e nella fotogallery) sono frutto della collaborazione con il sito www.davinotti.com, che ringraziamo per la disponibilità.
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