SUSA – CERVINIA: ULTIME MONTAGNE DA RIBALTONE?
Tappa inutile ai fini della classifica o estrema possibilità di ribaltare il Giro d’Italia con un’impresa che sarà ricordata per decenni? Il tappone di Cervina potrebbe lasciare tutto così com’era se si sarà usciti dalla frazione di Bardonecchia con una situazione di classifica salda e difficilmente scardinabile. Ma se ci saranno gli estremi per rimettere tutto in gioco attendiamoci allora una giornata al cardipalmo per tutti, tifosi e primattori del 101° Giro d’Italia.
Le due crono di Gerusalemme e Rovereto, l’Etna e il Gran Sasso, lo Zoncolan e Sappada, Pratonevo e Bardonecchia. Con tutto questo ben di Dio alle spalle a questo punto la classifica generale potrebbe essere fatta e finita e la maglia rosa di turno potrebbe sentirsi nella classica “botte di ferro”… ma poi c’è Cervinia e qui potrebbe accadere di tutto e il contrario di tutto. Se la leadership fosse ben solida sulle spalle chi avrà l’onore di indossarla questa tappa dovrebbe scivolar via senza troppe sorprese, ma se si vestiranno le insegne del primato con un distacco anche dell’ordine del minuto o del minuto e mezzo allora bisognerà mantenere alta l’attenzione per tutta la giornata. Pur non essendoci né “Mortiroli”, né “Zoncolani” il finale dell’ultima tappa di montagna proporrà 51 Km di salita e quasi 3400 metri di dislivello che sono davvero “tanta roba”, per rubare una sua espressione tipica a Silvio Martinello, il commentatore tecnico delle corse ciclistiche della RAI che esordì in questo ruolo nel 1997, quando ancora correva e il Giro era trasmesso sulle reti di Berlusconi. E in quelle vesti già si trovò a commentare questo finale perché, a parte l’inedita ascesa allo Tsecore, le ultime due salite in programma oggi furono affrontate consecutivamente anche nella frazione che rappresentò il punto di svolta di quell’edizione del Giro, fin lì condotta in rosa da Pavel Tonkov e da quel momento comandata da Ivan Gotti. Il corridore bergamasco attaccò sul Saint Pantaléon e poi andò pian piano a riprendere i fuggitivi di giornata, infine presentandosi tutto solo sul traguardo di Cervinia con un vantaggio di 1’46” sul russo, che perse la maglia per 51” e non raggiungerà più la testa della classifica concludendo quell’edizione del Giro con un passivo di 1’27” da Gotti. Ebbene, in quell’occasione si correva la 14a tappa del Giro e ancora bisognava superare la terza settimana, mentre stavolta Cervina arriverà in coda alla corsa rosa, momento nel quale contano le energie residue ed emergono i campioni dotati di fondo: dunque, considerato quel che accadde il 31 maggio di 21 anni fa ai piedi del Cervino, stavolta si prospetta una tappa dagli esiti ancora più devastanti, se la classifica lo consentirà, con un “ribaltone” che farà storia e andrà ad affiancarsi a quello confenzionato due anni fa da Vincenzo Nibali nella tappa di Sant’Anna di Vinadio.
Oggi le difficoltà saranno “confinate” nel finale di una tappa che non proporrà altro che pianura nei primi 130 Km, muovendosi lungo un falsopiano dolcemente discendente nel tratto iniziale di questa frazione che scatterà da Susa, piccola città d’arte ai piedi della catena alpina nella quale ammirare monumenti d’epoca romana come l’Arco d’Augusto, l’anfiteatro e le ben conservate mura che la cingono, attraverso le quali si aprono le tre porte di Piemonte, di Francia e Savoia. Percorsi i primi 34 Km in direzione Torino ci sarà un brusco cambio di direzione, accompagnato dall’inizio di un tratto a morbidissimi saliscendi disegnato ai piedi del Monte Lera, sul quale si trova l’unica riserva naturale integrale del Piemonte, nella quale è sempre proibito l’accesso (con l’esclusione del 5 agosto di ogni anno) per preservarne la rarissima Euphorbia × gibelliana. Raggiunto l’abitato di Fiano, la corsa supererà il corso del Fiume Stura di Lanzo facendo l’ingresso nel territorio noto con il toponimo di Canavese, vasta regione storico-geografica i cui confini non sono mai stati definiti con precisione e lo stesso vale per il suo nome, che secondo alcuni storici deriverebbe dalla coltivazione della canapa, mentre secondi altri dal termine romano canaba, che indicava un luogo dove adatto all’agricoltura. Il primo centro di quest’area attraversato dal gruppo sarà Ciriè, vera e propria capitale ciclistica del Canavese poiché vi hanno vissuto o ve ne erano originari ben tre vincitori della corsa rosa: il più “prolifico” è stato Giovanni Brunero con tre edizioni conquistate (1921, 1922, 1926), in seconda posizione si classifica Franco Balmamion con i due Giri vinti consecutivamente tra 1962 e 1963, mentre “fanalino di coda” di questa speciale classifica è Giuseppe Enrici, nato a Pittsburgh da genitori ciriacesi e vincitore nel 1924, nella medesima edizione nella quale si classificò al 4° posto un altro corridore originario di Ciriè, Secondo Martinetti. Il ruolo di vera e propria “supremazia” ciclistica di quest’angolo del Canavese oggi è idealmente continuato dal vicino centro di San Francesco al Campo, presso il quale nel 1996 è stato realizzato nel giro di soli quattro mesi il principale tra i tre velodromi oggi esistenti in Piemonte, la cui pista in diverse occasioni è stata “calcata” anche dagli atleti della nazionale. Il tratto successivo vedrà il gruppo attraversare la Vauda, altopiano formatosi ai piedi del ghiacciaio che in epoca remota ricopriva interamentee l’area delle Valli di Lanzo, oggi riserva naturale all’interno della quale ricade anche un ex poligono militare utilizzato dall’esercito per un centinaio di anni.
Raggiunta Favria, dove si trova l’interessante chiesa romanica di San Pietro Vecchio, e poi il vicino centro di Salassa, dominato dai 24 metri dall’altissima porta-torre che sovrasta il ricetto medioevale, si supererà il corso del torrente Orco a nord di Rivarolo Canavese, il comune che nel 2014 accolse l’arrivo della 13a frazione del Giro, traguardo sul quale erano attesi i velocisti ma, invece, per soli 11 secondi andò in porto la fuga di giornata con il successo di Marco Canola davanti al venezuelano Jackson Rodríguez e al francese Angélo Tulik. Si lambirà poi Castellamonte, rimanendo sulla tangenziale che evita l’ingresso nel centro dove si può ammirare la Rotonda Antonelliana, unica parte realizzata di un’enorme chiesa progettata dall’architetto Alessandro Antonelli – lo stesso della Mole torinese – e che, nelle intenzioni originarie poi naufragate a causa dell’esaurirsi dei fondi messi a disposizione, avrebbe dovuto quasi eguagliare le dimensioni della Basilica di San Pietro in Vaticano. Sfiorato il colle sul quale sorgono il borgo di Parella e il suo castello, circondato dai vigneti nei quali si è recentemente tornati a coltivare il vitigno dell’Erbaluce di Caluso DOCG, i “girini” giungeranno alle porte di Ivrea, che per il 2019 s’è candidata per tornare a ospitare un arrivo di tappa della corsa rosa (come già avvenuto nel 2013, quando nella città della Olivetti e della Battaglia delle Arance s’impose lo spagnolo Beñat Intxausti) mentre quest’anno sarà “bypassata” dalla carovana, che imboccherà la provinciale che corre sulla sponda occidentale della Dora Baltea. L’ultimo tratto piemontese del Giro 2018 vedrà la corsa attraversare i centri di Baio Dora e Quincinetto poi si entrerà in Val d’Aosta dalla sua unica porta d’accesso italiana, la cittadina di Pont-Saint-Martin, situata nel luogo dove, secondo la leggenda, il ponte che assegna il nome al primo comune valdostano fu costruito in una notte dal diavolo dopo un patto con San Martino, che gli concedette la prima anima che l’avrebbe attraversato (con uno stratagemma il santo vi farà transitare per primo un cane). Dopo il centro di Donnas, presso il quale è ancora oggi possibile percorrere un tratto dell’antichissima strada consolare romana delle Gallie, il gruppo giungerà ai piedi di uno dei più celebri castelli della valle, autentico biglietto da visita della più piccola regione italiana: è il forte fatto innalzare nel XIX secolo dalla famiglia Savoia sopra la cittadina di Bard, nel 2006 aperto al pubblico dopo un lungo periodo d’abbandono e oggi sede di un museo dedicato alle Alpi. Un altro celebre maniero della valle è quello cubico di Verrès, innalzato nel XIV secolo a dominio dell’imbocco della Val d’Ayas e che oggi “sorveglierà” l’ingresso del gruppo nella fase calda della penultima tappa. È da Verrès, infatti, che inizierà la prima delle tre salite finali, l’inedito colle che sulle cartine del Giro 2018 è chiamato con i meno “tradizionali” dei suoi tre nomi, Tsecore e Mont- Tseuc, mentre i cicloamatori sono prevalentemente abituati a utilizzare il più facilmente ricordabile toponimo di Colle di Zuccore, forse anche per addomesticarne a parole le sue pendenze: la media complessiva è del 7,7%, con una prima parte d’ascesa – fin quando si rimane sulla provinciale della Val d’Ayas – non particolarmente impegnativa (11 Km al 6,6%) e un tratto conclusivo di 5 Km che “sprizza” al 10% medio, reso ancor più selettivo dal ridotto calibro della carreggiata. Novità abbiamo detto, ma non del tutto perché molti partecipanti alla corsa rosa si ricorderanno d’averlo affrontato da dilettante: in diverse occasioni, infatti, lo Zuccore è stato inserito nel tracciato del Giro Ciclistico della Valle d’Aosta, forse la seconda corsa a tappe di categoria più importante del calendario italiano dopo il Giro d’Italia, e c’è già stata anche una “prima volta” professionistica nel 1992 quando la Gazzetta dello Sport, dopo averla valutata e scartata per il percorso della tappa del Giro d’Italia che terminò a Pila, la inserì nel tracciato della frazione di Gressoney-La-Trinité del Trofeo dello Scalatore disputato in quello stesso anno, vinta da Alberto Elli e che vide il calabrese Michele Coppolillo transitare per primo in cima allo Zuccore. Il tratto iniziale della successiva discesa si snoderà attraverso le frazioni più alte del comune sparso di Emarèse, sfiorando la zona dove si trovava una miniera d’oro scoperta in epoca settecentesca, dopo che un contadino aveva casualmente trovato nella terra una pepita del peso di 180 grammi, e sfruttata – ma con poco profitto – per una quindicina d’anni. Successivamente si confluirà sulla strada che proviene dal Col de Joux, continuando la planata in direzione di Saint-Vincent, una delle più conosciute località turistiche della Valle d’Aosta, oggi celebre prevalentemente per il Casino de la Vallée che dal 1921 costituisce la principale attrattiva di un centro che fino a quel momento era frequentato soprattutto per le sue terme, scoperte il 20 luglio 1770 dal parroco Jean-Baptiste Perret e le cui acque furono inizialmente utilizzate anche per azionare la funicolare che portava i pazienti allo stabilmento termale, mediante due cassoni che venivano alternativamente riempiti e svuotati d’acqua per permettere la salita e la discesa delle vetture sfruttando la forza di gravità. Terminata la discesa un breve troncone pianeggiante attraverso Châtillon, centro dominato dal Castello Passerin d’Entrèves (vi è conservato l’archivio di uno dei casati più influenti della valle, gli Challant), “deporrà” il gruppo ai piedi della difficoltà successiva, il Col Saint Pantaléon, che sarà affrontato da un versante in parte diverso rispetto a quello percorso in occasione del citato precedente del 1997: i suoi 16,5 Km al 7,1% furono, invece, percorsi nella loro totalità nel finale della tappa giunta a Cervinia nel 2015 e pure terminata con il successo di uno scalatore “maiuscolo” come Fabio Aru, che l’indomani poi bissò il successo nel tappone del Colle delle Finestre con arrivo a Sestriere. In discesa si attraverserà quindi la località turistica di Torgnon, che ha dato il nome alla Valtournenche (il suo toponimo latino era Tornacus) e presso la quale, in frazione Septumian, si trova il santuario di Notre-Dame de La Salette, teatro di una suggestiva fiaccolata sulla neve nel film Casanova ‘70 di Mario Monicelli, pellicola dove veniva presentato con il fittizio nome di “chiesa di Santa Rosamunda delle Nevi”. Terminata anche l’ultima discesa di giornata non ci saranno più intervalli ma immediatamente si riprenderà a salire verso il traguardo, affrontando quella che sulla carta appare come l’ascesa più facile del trittico finale, presentando una pendenza media del 5,3% e un dislivello che non arriva ai mille metri. Ma delle tre questa è la più lunga – 18,2 Km per la precisione – e, dunque, dopo tutto quanto affrontato finora bisognerà attingere alle residue energie per rimanere a galla in un finale nel quale si salirà costantemente ma si rischierà, al contrario, di sprofondare precipitevolissimevolmente.
Mauro Facoltosi
I VALICHI DELLA TAPPA
Colle di Zuccore (1623 metri). È il nome italiano del Col Tsecore, valicato dalla strada comunale che mette in comunicazione Quincod (Challand-Saint-Anselme) con Sommarese (Emarèse). L’unica corsa professionistica a essere transitata in vetta al Col di Zuccore è stata la tappa di Gressoney-La-Trinité del Trofeo dello Scalatore del 1992 citata nell’articolo.
Colle di San Pantaléon (1645 metri). Quotato 1664 sulle cartine del Giro 2015, è valicato dalla Strada Regionale 42 tra Semon e Torgnon. Il Giro d’Italia l’ha scalato tre volte, la prima volta nel 1992 nel corso della Saluzzo – Pila, vinta dal tedesco Udo Bölts dopo che sul passo era transitato in testa il portoghese Acacio Da Silva. Ci si tornerà nel 1997 nel finale della citata Racconigi – Cervinia vinta da Gotti, mentre il GPM del San Pantaléon era finito nel carniere del colombiano José Jaime González Pico. L’ultima volta risale al 2015 quando, in occasione della Gravellona Toce – Cervinia conquista da Fabio Aru, il colle valdostano era svalicato per primo da Giovanni Visconti.
RINGRAZIAMENTI
Segnaliamo che le citazioni cinematografiche (nel testo e nella fotogallery) sono frutto della collaborazione con il sito www.davinotti.com, che ringraziamo per la disponibilità.
FOTOGALLERY
Susa, Porta Savoia
Monte Lera
Altopiano della Vauda
Favria, chiesa di San Pietro Vecchio
Salassa, l’alta torre-porta del ricetto medioevale
Castellamonte, l’incompiuta Rotonda Antonelliana
Castello di Parella
L’antico ponte di Pont-Saint-Martin
Donnas, l’arco che incornicia un tratto dell’antica strada romana per le Gallie
Forte di Bard
Il castello di Verrès visto da uno dei tornanti della salita verso il Colle di Zuccore
Tratto terminale del Colle di Zuccore
Saint Vincent, Casino de la Vallée
Châtillon, Castello Passerin d’Entrèves
Panoramico tornante lungo la salita al Saint Pantaléon