GLI PIACE VINCERE FACILE:CAVENDISH CRUMIRO!

luglio 14, 2009
Categoria: News

Concediamoci all’ironia per insaporire una tappa narcotizzata dallo sciopero dei due terzi di gruppo contrari al “silenzio radio” che si prevedeva di sperimentare oggi. Così Cavendish, cuore a vapore del trenino giallo, va a stravincere senza patemi la volata (banale) che chiude l’insulsa passeggiata odierna.

E due: ormai è un vizio. Per fortuna che – tra tutte le sue vittorie! – la coppia di gettoni staccati in occasione delle serrate di gruppo svaniscono nel mucchio di monete d’oro, altrimenti la coincidenza farebbe pensare a un accanimento anti sindacale…
Naturalmente “crumiro” si fa proprio per dire, perché la Columbia era in prima linea nella protesta odierna, e con una bella dose di furbizia ne ha pure approfittato. Braccia incrociate, ma stipendio recepito in pieno, anzi magari con un bel premio produttività.
Già a Milano l’inglese si era goduto i ritmi blandi per sprigionare la propria potenza intatta in un finale senza storia (anche nel senso di “preceduto dal nulla”): oggi la assenza-di-storia si ripete, con la variazione sul tema di una fuga per tre quarti aborigena appesa lì a un minuto, senza illusioni, senza nemmeno l’illusione di un’illusione, perché in gruppo si danno il cambio in testa a tirare almeno una decina di formazioni.
Vaugrenard (FDJ), Dumoulin (COF), Hupond (SKL) si incaricano di celebrare la festa nazionale con toni meno sanguigni che l’abituale marsigliese rintoccata in questa data sulle vie della Grande Boucle (certo, sappiamo che spesso di sceneggiata ben concordata trattatavasi: nondimeno sceneggiata godibile e animata), mentre Ignatiev (KAT) si riveste della già indossata mimetica del guastatore, poco conciliante verso i piani prestabiliti ai piani alti. Dapprima obbedisce al team, che impone di non tirare, ma poi nel finale fa di testa sua e regala qualche poderosa accelerazione che insaporisce il ricongiungimento. Come per tutti gli indisponenti, temiamo non lo aspettino grandi ricompense su questa terra.
Dicevamo del rovesciamento rispetto al copione consueto in questo Tour 2009, nel senso che sulla carta in una tappa così il lavoro sporco sarebbe toccato tutto agli uomini di Stapleton, col rischio poi di non riuscire ad organizzare quel treno che rende Cavendish più invincibile. Sì, “più invincibile” è un solecismo perché l’invincibilità non ammette comparativi: però saremmo curiosi di veder battagliare Mark in un confronto ad armi pari, un giorno di questi.
Quel giorno a quanto pare non doveva proprio essere oggi, un’altra tappa da iscrivere nella lista già numerosa delle frazioni che in questo Tour fin qui troppo spesso inguardabile si sono trotterellate ad andatura, appunto, turistica: peccato che il turismo fosse una volta l’ultima pratica cui i corridori potessero dedicarsi in terra di Francia. Ma i tempi cambiano, forse affinché i protagonisti restino. La prevedibilità, in fondo, contro ogni intuizione di buon senso, vende bene, anzi meglio.
Proprio in nome della prevedibilità si è consumata la protesta odierna. Ben riuscita peraltro, anche meglio di quella al Milano Show, perché stavolta l’interesse primo da tutelare era quello dei direttori sportivi: una categoria che fa decisamente meno fatica di quella dei pedalatori a compattarsi e a imporre le proprie priorità.
Comunque due bombe mediatiche ben mirate, in due tappe simbolo: la kermesse milanese, ingarbugliata in un nodo di tradizione e questioni aperte (Milano arrivo storico, sede della Gazzetta, ma Milano nemica delle bici; corse nelle città per il pubblico generalista, o per il loro odio; domenica montana o urbana… e via così); oggi, la festa nazionale e il suo legame con il Tour.
In questa maniera, di contro alla sperimentazione che proibiva l’impiego di radioline tra ammiraglia e atleti, si è imbastita una collaborazione collettiva che spegnesse qualsiasi tentativo di movimentare gli eventi. Si badi bene: questo sarebbe comunque potuto essere uno degli esiti del silenzio radio; una corsa chiusa, controllata oltre ogni misura per sigillare ancor più del solito le fessure attraverso cui fischia il vento dell’imprevisto. Però, ammettiamolo, una simile unità di intenti non sarebbe stata altrettanto facile da raggiungere come invece è stato elevando a totem le bandiere della protesta sindacale.
La “sicurezza”, si è invocata. Che coraggio. Dopo aver ingoiato i rospi di una cronosquadre su strade strette e sporche (di quelle dove sarebbe meglio correre le tappe in linea, piuttosto), di volate imperlate – “impirlate”? – di rotonde o curve ai meno duecento, adesso si eleva l’albero sacro della sicurezza per giustificare le radioline con cui i corridori vengono radiocomandati sulla base di ammiraglie dotate di monitor tv, radiocorsa e magari internet wi-fi.
C’è traffico di auto “nel gruppo”? Basta proibirlo. Ma chi l’ha detto che si debba chiedere per filo e per segno ogni singola istruzione al direttore sportivo. Se si riesce a entrare in contatto – in una fase di gara tranquilla, a turni, o quel che sia – ben venga. Se no, che si accenda il cervello.
E si badi: non si tratta di sminuire il ruolo tattico essenziale del “mister” nel disegnare una strategia di gara, ma di lasciare qualche spazio in questo senso al singolo corridore per rimettere in gioco quelle capacità essenziali una volta indispensabili per un ciclista di spicco che sono l’intelligenza tattica, il fiuto, l’azzardo perfino.
L’abilità del ds si può ben – anzi meglio – esprimere nel pre/vedere, nel pre/parare, nel pre/disporre lo svolgimento della tappa. Del senno di poi sono piene le fosse, ma anche il senno del “durante” abbonda, il senno ovvero della “diretta tv”. Un conto è capire il da farsi sulla base di un distacco sulla lavagnetta che arriva di tanto in tanto, un conto è vedere in faccia gli atleti scappati, capire se spingano o no, vedere immediatamente quando l’armonia della fuga si disunisce o quando c’è una doppia fila da inseguire a tutta.
Ma non è opportuno nemmeno dilungarsi troppo: gli appassionati sanno bene di che cosa stiamo parlando. E riesce addirittura sfacciato Pozzato nel rinfacciare agli spettatori di aver invocato questo tipo di “prove”.
Perché di prova, dopotutto, si trattava. Di sperimentazione. Certo, sarebbe stato bello farla di comune accordo: ma quale accordo ci potrebbe mai essere a fronte di un’iniziativa che in effetti “complica” le cose?
E adesso non valga questo episodio per condannare il tentativo. Proprio la deliberata serrata del gruppo va a privare i fatti di ogni valore dimostrativo. Non si tratta di verificare se ci sia stato più o meno spettacolo, perché qui abbiamo visto solo un braccio di ferro. Si può discutere, e ben venga, si può negoziare – e questo è doveroso – ma l’idea è buona, è va perseguita: l’ostilità dei ds ne dimostra anzi il potenziale.

Concludiamo con la cronaca della volata.
La Columbia si mette al lavoro all’ultimo chilometro. Martin breve e intenso mette in fila il gruppo, nonno Hincapie lo allunga, Renshaw lo spacca. C’è di mezzo la solita caduta, ma stavolta ancor più merito va agli alfieri di Cavendish, con la cortese collaborazione dei Garmin (per chi avesse dubbi sulla sinergia “postale” tra Stapleton, Bruyneel e Vaughters). In pratica Hushovd deve fare una prima volata per riportarsi sul trio di testa, ovvero Renshaw, Cavendish e Farrar. Un Garmin intenzionalmente o no ha fatto il buco, e Hushovd deve volare per tornare a ruota di Mark. La seconda volata per uscire di scia nemmeno la prova. Insomma: quando i Columbia sono freschi, stanno freschi gli altri, ben freschi al vento perché nemmeno riescono a tenere le ruote. Tra i comuni mortali bravo Duque – cui durante la fuga pirenaica la nazionalità colombiana era valsa l’appellativo di “scalatore tipico” da parte dei nostri baldi commentatori tv – e bene Rojas, che giustifica la fiducia datagli dalla Caisse l’altro giorno lavorando per riprendere Fedrigo e Pellizotti.

Insomma, un Team Columbia fenomenale, che però finora ha conseguito tutte e tre le vittorie in un modo così rocambolesco (caduta di massa, volata ristretta dal ventaglio, sciopero) da mantenere un retrogusto di insoddisfazione, un desiderio di testa a testa un po’ più sportivi e aperti. Con o senza radioline.

Gabriele Bugada

Cavendish trionfa sul traguardo di Issoudun (foto AFP)

Cavendish trionfa sul traguardo di Issoudun (foto AFP)

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