LE ORME DI SCARPONI: IL TOUR DEL 2014

maggio 4, 2017
Categoria: News

Scarponi non ha vinto il Tour ma almeno una manica della maglia gialla di Nibali, trionfalmente portata nell’estate del 2014 dalla britannica Sheffield ai Campi Elisi, gli spetta di diritto. Torniamo a quegli indimenticati giorni con la rilettura di due frazioni di quell’edizione del Tour de France, quella della Planche des Belles Filles che vide il ritorno dello “Squalo dello Stretto” in giallo dopo l’interregno di Gallopin e poi quella conclusiva dell’apoteosi parigini. Sempre nel ricordo di Michele

10a tappa: Mulhouse – La Planche des Belles Filles

FUORI DUE!!! E IL TOUR S’AGGRAPPA ALLA PINNA DELLO SQUALO

Tappa meravigliosa che conclude una altrettanto meravigliosa prima settimana di Tour de France. In una frazione con sette gran premi della montagna, senza un metro di pianura ed ancora una volta corsa sotto la pioggia, Contador cade in discesa e Nibali è prontissimo a riorganizzare i piani della squadra, richiamando in gruppo Westra, che si era inserito nella fuga, e mettendo la squadra davanti per evitare che Kwiatkowski potesse prendere il largo. Sulle ultime due ascese, le più dure, l’Astana prende decisamente in mano la situazione con Michele Scarponi, che fa un grosso lavoro anche dopo una spettacolare caduta in discesa.
La frazione di oggi era di difficile lettura in quanto la situazione creatasi ieri ed il tracciato previsto per oggi lasciavano aperti diversi interrogativi, soprattutto sul ruolo delle squadre in caso di possibili fughe da lontano di uomini di classifica. La risposta che ha dato la corsa è stata anche condizionata dalla caduta di Alberto Contador, che poteva essere oggi protagonista. Il tracciato, infatti, era di quelli che si addicono alle caratteristiche dello spagnolo, con diverse salite di prima categoria sin dall’inizio e le due salite finali brevi ma con pendenze terribili.
La corsa si accende subito e dopo soli tre chilometri dal via evadono Lieuwe Westra (Astana), Giovanni Visconti (Movistar), Arnaud Gérard (Bretagne – Séché), Markel Irizar (Trek), Thomas Voeckler (Europcar), Amaël Moinard (BMC) e Christophe Riblon (Ag2r La Mondiale), mentre successivamente si lanciano in contrattacco Joaquim Rodríguez (Katusha), Jan Bárta (Team NetApp – Endura) e Peter Sagan (Cannondale). Anche Jérôme Pineau (IAM) cerca di agganciare i tre contrattaccanti, ma il fallimento del suo tentativo lo costringe a desistere. Nel corso della prima salita i due gruppi si uniscono ed al comando si forma quindi un drappello di dieci atleti. La IAM, che non è riuscita ad entrare in fuga con Pineau, cerca di alzare il ritmo in seno al gruppo. Già nella prima discesa si assiste al primo attacco importante, quando allungano Reto Hollenstein, Marcel Wyss (IAM Cycling), Rein Taaramae (Cofidis), Michal Kwiatkowski (maglia bianca) e Tony Martin (Omega Pharma – QuickStep), che già ieri aveva lasciato tutti di stucco con una vittoria al termine di una lunghissima fuga, in una tappa non adatta alle sue caratteristiche di passista. Sulle rampe verso il GPM del Petit Ballon i contrattaccanti si riportano sulla testa della corsa, grazie alla potente azione proprio di Tony Martin in aiuto a Kwiatkowski. Il gruppo non sembra preoccuparsi eccessivamente di questo attacco, partito davvero molto lontano dall’arrivo, e la logica del controllo prevale su quella dell’inseguimento. Lungo la discesa bagnata e difficile finisce per terra Alberto Contador che è costretto a fermarsi per farsi medicare. In gruppo ci sono minuti di indecisione sul da frasi: aspettare il rientro di Contador o tirare dritto, anche per evitare che la fuga possa assumere proporzioni preoccupanti. Il dilatarsi del distacco di Contador convince il gruppo a continuare nella azione di controllo della fuga. Sulla terza salita di giornata lo spagnolo è, però, costretto ad alzare bandiera bianca ed a salire in ammiraglia a causa dei postumi della caduta (successivamente sarà rilevata la frattura della tibia). Il Tour dopo Froome perde così un altro protagonista di primissimo piano.
Davanti Tony Martin fa qualcosa di straordinario, tirando il gruppo di testa senza ricevere neppure un cambio; il ritmo è elevato e causa la riduzione del drappello a soli dieci uomini. “Purito” Rodríguez, andando a sprintare su tutti i traguardi valevoli per il GPM, conferma che l’allungo di ieri non era un fuoco di paglia, ma diretto ad inseguire l’obiettivo della maglia a pois, in assenza di mire alla generale: missione compiuta per “Purito” che, al termine della tappa, vestirà la maglia a pois.
Dopo il ritiro di Contador, l’Astana si trova costretta a prendere in mano la situazione poiché i Tinkoff non sono più nella condizione di dare una mano. Dalla discesa del Col d’Odeden in poi il ritmo del plotone sale sensibilmente e, proporzionalmente, si riduce il vantaggio dei battistrada che in venti chilometri è quasi dimezzato, dopodichè abbiamo una fase di stabilizzazione fino all’attacco della penultima salita, quando il ritmo sale ulteriormente sotto la spinta di Michele Scarponi, oggi splendido in appoggio al capitano. Nel gruppo di testa Martin esaurisce il lavoro e sembra non riuscire più a salire, stremato dalla fatica. Prende quindi le redini della fuga la maglia bianca che si porta dietro “Purito” Rodríguez. Lo spagnolo, però, ha un altro passo sulle arcigne rampe del Col de Chevrères, che in certi tratta arrivano anche al 24%, e lascia sul posto Kwiatkowski che viene ripreso e superato anche dall’ottimo Giovanni Visconti che, con passo regolare, va anche ad avvicinarsi al battistrada Rodríguez.
Nel gruppo, frattanto, iniziano a verificarsi defezioni illustri di uomini che non riescono a tenere l’elevato ritmo di Scarponi, su tutti Talanky e la maglia gialla Tony Galoppin che saluta il sogno di tenere la maglia al termine di questa dura giornata.
Nel corso della discesa Visconti Moinard e Kwiatkowski si riportano di Rodríguez e la maglia bianca tenta addirittura un allungo per anticipare l’attacco della salita finale. Nel gruppo, invece, Scarponi fa un dritto causato dalla asfalto viscido e vola oltre le protezioni su un prato al lato della strada. A questo punto prende in mano la situazione Fulsang, continuando a tirare il gruppo degli uomini di classifica, ma Michele Scarponi stringe i denti, risale in bicicletta, si riporta da solo sul gruppo di Nibali e riprende il proprio lavoro sulle rampe dell’ultima ascesa. Davanti, “Purito” alza il ritmo e Kwiatkowski è costretto a lasciarlo andare, mentre il gruppo si avvicina ai battistrada a gran velocità. Poco prima dei due all’arrivo, Scarponi si sposta e parte, in bella progressione, Vincenzo Nibali. Valverde accenna una risposta ma né lui né Porte sono in grado di tenere le ruote del siciliano che va a riprendere e staccare anche Rodríguez, conquistando per la seconda volta, nel giro di pochi giorni, tappa e maglia gialla, aumentando anche il distacco sui suoi diretti avversari che arrivano con un distacco di circa 20 secondi.
Nibali a questo punto ha un vantaggio di 2 minuti e 23 sul secondo in classifica generale Richie Porte e 2 minuti e 47 su Valverde, che occupa la terza piazza.
In base a ciò che si è visto oggi, sembra che Nibali abbia le mani sul Tour de France, ma tutto quel che è accaduto in questi primi dieci giorni consiglia di tenere gli occhi aperti e la testa sulle spalle, in quanto le insidie non mancano mai. Lo stesso Nibali, oggi, ha rischiato la caduta nello stesso punto in cui è finito fuori strada Michele Scarponi. In ogni caso, Valverde e Porte sono avversari tosti e Vincenzo dovrà stare attento agli attacchi che certamente gli verranno sferrati, anche perchè non bisogna dimenticare la lunghissima cronometro del penultimo giorno.
Nibali ha corso con grande intelligenza tattica; ha cercato inizialmente di risparmiare la squadra, tentando di lasciare il compito agli uomini della maglia gialla e a quelli della Tinkoff; dopo la caduta di Contador ha capito che il peso di controllare l’attacco di Kwiatkowski sarebbe ricaduto di nuovo sulla sua squadra, ha fermato Westra ed ha tentato di far collaborare anche altre squadre, a dir la verità con scarsi risultati. In ogni caso, è riuscito a chiudere su Kwiatkowski ed a trovarsi in posizione ideala per raggiungere e superare Rodríguez, andando a conquistare una straordinaria vittoria.
Porte e Valverde hanno hanno accennato una reazione, ma si sono subito resi conto che oggi Nibali aveva un altro passo ed hanno cercato di limitare i danni, riuscendoci anche abbastanza bene. Alla fine il loro passivo sul traguardo si aggira intorno ai venti secondi, ma quel che conta è il distacco nella generale che supera i due minuti.
Nelle prossime tappe il peso di controllare la corsa graverà ancora sulle spalle degli uomini dello “Squalo” e, sotto questo punto di vista, il giorno di riposo previsto per domani si rivela quanto mai opportuno per recuperare le energie spese in una prima settimana ricca di emozioni.

14 luglio 2014

Benedetto Ciccarone

21a tappa: Évry – Parigi

NIBALI, ADESSO E’ FATTA: UN ITALIANO IN GIALLO DOPO 16 ANNI

Jacques Anquetil, Felice Gimondi, Eddy Merckx, Bernard Hinault, Alberto Contador e Vincenzo Nibali; l’esclusivo club dei campioni capaci di conquistare in carriera le tre grandi corse a tappe conta, da qualche ora, un sesto membro, il secondo italiano. Un ingresso in realtà scontato già da alcuni giorni, non fosse che il Tour 2014, forse più di qualsiasi altra corsa recente, ha ricordato a tutti quanto ogni curva sia buona per frantumare certezze e sovvertire gerarchie, come gli imprevisti possano annidarsi nelle pieghe all’apparenza più banali della gara.
Per assicurarsi la diciannovesima e più importante maglia gialla (record in singola edizione dal 1981), Nibali non ha dovuto far altro che tenersi alla larga dai guai una volta di più, come aveva già mirabilmente saputo fare nei primi 20 giorni di gara: un risultato non da poco, in un Tour funestato da cadute, nervosismo e condizioni meteorologiche che poco hanno a che spartire con la stagione in corso. Certo, non è mancato quel pizzico di fortuna necessario a tante imprese sportive di questa portata, ma le ragioni vanno cercate perlopiù in una lucidità mai venuta meno, e in una capacità di guidare la bicicletta che è requisito spesso sottovalutato (come il siciliano ha del resto imparato a sue spese lo scorso anno, al Mondiale di Firenze). Tanto più che nemmeno l’ultima frazione ha rinunciato a distribuire una discreta dose di inconvenienti: Péraud ha visto per un attimo in pericolo la sua piazza d’onore a causa di una caduta, mentre una foratura ha rischiato di escludere Kristoff da una volata della quale sarebbe poi stato grande protagonista.
Nel giorno che ha portato a dieci il computo dei Tour de France italiani, (con sette corridori diversi: altro circolo elitario al quale Nibali viene ammesso; prima di lui, solo Bottecchia, Bartali, Coppi, Nencini, Gimondi e Pantani), a mettere la firma sulla passerella dei Campi Elisi è stato – per il secondo anno consecutivo – Marcel Kittel. Allo sprint si è arrivati secondo il più classico dei canovacci parigini: brindisi e foto ricordo fino all’ingresso sul circuito conclusivo, quindi gara vera e andatura forsennata, con Chavanel, Porte, Serpa, Morkov, Fonseca, Clarke e altri a tentare improbabili colpi di mano, sempre rintuzzati dal plotone.
L’australiano della Orica, evaso a 5 km dal traguardo, è stato l’ultimo ad essere riassorbito, 2 km più tardi, quando i treni dei velocisti hanno alzato il ritmo a tal punto da rendere impossibili tentativi di colpi di mano à la Vinokourov.
Kittel e la Giant hanno fatto tutto quanto in loro potere per gettare al vento la vittoria: il tedesco ha perso all’ultima curva la ruota di Veelers, che ha fatto il suo piantandosi all’imbocco del rettilineo finale, e lanciando così lo sprint a velocità troppo bassa per le caratteristiche del capitano. Il solito Kristoff ha provato ad approfittarne giocando d’anticipo, riuscendo ad affiancare il tedesco e prendendo fino ad una mezza bicicletta di vantaggio; in una dimostrazione di potenza comparabile alla rimonta di Belfast al Giro, però, Kittel ha invertito la tendenza a 100 metri dal traguardo, colmando lo svantaggio e procedendo al contro-sorpasso poco prima del colpo di reni, ribadendo una volta di più – caso mai non fosse sufficientemente palese – il proprio status di velocista principe del gruppo.
La pur interessante volata è stata in ogni caso il preludio all’evento più atteso, ossia la premiazione che ha visto sfilare Rafal Majka in maglia a pois, Peter Sagan in maglia verde, Alessandro De Marchi quale supercombattivo del Tour, la Ag2r al completo come vincitrice della classifica a squadre, Thibaut Pinot in maglia bianca, e soprattutto Vincenzo Nibali in maglia gialla, facendo risuonare l’Inno di Mameli all’ombra dell’Arco di Trionfo per la prima volta nel terzo millennio. Una cerimonia nella quale lo Squalo non ha perso neppure per un istante la compostezza che lo ha contraddistinto perfino nel momento dell’arrivo, quando Michele Scarponi ha dovuto alzare le braccia al suo posto.
Ci fermiamo qui, nel racconto del podio, prima di scadere nella facile e già imperversante retorica sul campione che indica la via ad un paese a forza di sacrifici, sul vincitore umano dopo edizioni dominate da cyborg e sui francesi che si incazzano (cosa peraltro non accaduta, ad eccezione di alcune testate interessate comunque più a cercare il torbido ovunque che ad esprimere astio nei confronti dei cugini; i più, in compenso, hanno dedicato a Nibali le prime pagine anche in giorni, come quello del pavé, in cui i corrispettivi italiani si concentravano sulla semifinale mondiale tra Argentina ed Olanda, tra le più raccapriccianti gare di tale livello mai materializzatesi di fronte agli incolpevoli spettatori).
Meno ancora intendiamo tentare di leggere la vittoria di Nibali nella più generale ottica di un successo del movimento ciclistico italiano, come ha naturalmente e prevedibilmente suggerito alla prima occasione il presidente Di Rocco. Dimenticando forse (ma più probabilmente no) che Nibali è il solo campione all’apice della carriera di un movimento che paga uno spaventoso buco nero tra la generazione dei nati negli anni ’70 e quella dei giovani Aru e Formolo (parliamo di corse a tappe, ma, a livello di classiche, la situazione non è molto più rosea).
Ci sembra giusto, invece, che i meriti della vittoria rimangano circoscritti a Nibali, a chi lo circonda, al suo staff, alla sua squadra, e a chi lo ha seguito nel corso degli anni, fra Sicilia e Toscana. A loro si deve il ritorno del tricolore sul gradino più alto del podio parigino, e da loro passa la possibilità di rivederlo in tempi brevi. Quantomeno – si spera – senza dover attendere altri 16 anni.

27 luglio 2014

Matteo Novarini

Scarponi si felicita con Nibali sul traguardo di Parigi, Tour del 2014 (Getty Images Sport)

Scarponi si felicita con Nibali sul traguardo di Parigi, Tour del 2014 (Getty Images Sport)

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