LE ORME DI SCARPONI: IL GIRO DEL 2011 – PARTE PRIMA
All’inizio della settimana che ci porterà alla partenza della corsa rosa vi proproniamo la lettura degli articoli che pubblicammo durante il Giro del 2011, l’edizione nella quale Scarponi giunse secondo…. per qualche mese perché poi si scoprirà il vincitore Contador positivo all’antidoping e a febbraio dell’anno dopo Michele sarà ufficialmente decretato vincitore, con tanto di consegna della maglia rosa e del Trofeo Senza Fine da parte degli organizzatori. In questa prima parte rivisitiamo le prime tappe “forti” della corsa, la cronosquadre d’apertura a Torino, la tappa degli sterrati terminata ad Orvieto e gli arrivi in salita a Montevergine e all’Etna
1a tappa: Venaria Reale – Torino (cronosquadre)
PINOTTI PRIMO SOVRANO DEL GIRO DELL’ITALIA UNITA
Al Giro dedicato al 150mo anniversario dell’Unità d’Italia non poteva mancare un italiano in rosa fin da subito. Ed infatti la cronosquadre d’apertura, vinta con una bella prova corale da parte degli uomini HTC Highroad consegna la prima maglia rosa a Marco Pinotti. Tra i favoriti della vigilia, insieme a Garmin e Liquigas, gli uomini di Valerio Piva, a differenza di altre squadre, sono stati ben allineati già dalla discesa della pedana di partenza. Dettagli che in una prova contro il tempo fanno la differenza. Ad iniziare la cronosquadre è toccato ai belgi dell’Omega Pharma-Lotto che, partiti alle 15.50, hanno fatto registrare il primo rilevamento cronometrico ufficiale, posto dopo 9,1 Km, con il tempo di 10’04”. All’arrivo, dopo 19,3 Km totali, hanno fermato il cronometro ai 21′21” alla media di 54,23 Km/h. L’ intertempo sarà migliorato per la prima volta soltanto di 2” dalla Rabobank, ottava squadra partita, ma seconda all’arrivo con 4” di ritardo dall’Omega. Fanno peggio l’Acqua&Sapone di Garzelli, la Katusha di Joaquim Rodriguez e l’Astana di Roman Kreuziger con un ritardo rispettivamente di 45”, 42” e 28” dai belgi. Il tempo dell’Omega resiste anche al passaggio degli uomini Sky, al traguardo con 15” di ritardo, nonostante a metà gara avessero il loro stesso intertempo. Stesso identico discorso per le sorti dell’attesissima Saxo Bank di Alberto Contador, a testimonianza quindi della gran bella prova dell’Omega. Ma ecco entrare di scena gli Htc. Grazie alle poderose pedalate di Pinotti e Rabon, ed un’intesa perfetta con gli altri compagni di squadra, riescono a ridurre, dopo soli 9,1Km, l’intertempo dell’Omega di ben 14” ed all’arrivo il loro tempo sarà di 21′00” ad una velocità media di poco superiore al 55 Km/h. Intanto arriva al traguardo la Geox di Denis Menchov con 31” di ritardo e poco dopo la Saxo, sempre indietro, seppur di poco, con uno svantaggio di 8”. Parte la Garmin e subito dopo la Liquigas ed entrambe già all’intertempo sono in ritardo, questa volta dagli HTC, rispettivamente di 9” e 11”. Arrivano intanto al traguardo Garmin e Liquigas con il ritardo rispettivamente di 24” e 22”, (buon per Nibali, che già guadagna 8” da Contador), dalla maglia rosa virtuale Pinotti, primo degli HTC ad aver tagliato il traguardo. Ottima anche la prova dei Lampre di Scarponi, in ottica classifica generale, con 2” meglio dei Saxo di Contador. L’unica squadra rimasta a poter impensierire gli Htc è la RadioShack di Machado e Popovych, forte nelle prove contro il tempo ma che però deve accontentarsi della seconda posizione sia all’intertempo, 8” il loro ritardo, sia all’arrivo con 10”. Prima Htc, seconda RadioShack, terza Liquigas per il primo podio di un Giro d’Italia tutto ancora da gustare!
7 maggio 2011
Antonio Scarfone
5a tappa: Piombino – Orvieto
UN’IMPRESA DAL GUSTO ANTICO
Ritorna il tempo al Giro d’Italia. Il suo conteggio oggi c’è e tutti son pronti ad immergersi in una delle tappe più belle, sotto il profilo tecnico, della corsa rosa. Tutti tranne la Leopard Treck che, ritiratasi dalla corsa, sarà giustamente vicino nel dare l’ultimo saluto, in Belgio, a Wouter Weilandt. Da Piombino a Orvieto la frazione di giornata ripropone, come accade nel 2010, alcuni tratti di strade bianche ed un arrivo in leggera ascesa dopo l’ostico strappo verso Croce di Fighine, al 15% di pendenza massima.
Ci si aspettava una numerosa fuga, visto il profilo mosso della tappa, ed invece a provarci, già dal km 12 è il solo Martin Kohler (BMC). Lo svizzero è autore di una bella prova di coraggio e arriverà a guadagnare fino acirca 13’. Non basteranno, perché alle sue spalle la bagarre tra la polvere delle strade bianche inizia a scatenarsi fin da subito con Yaroslav Popovych (RadioShack) che aggredisce l’ingresso nel primo tratto di sterrato, ai meno 39 dal traguardo, verso il GPM di Croce di Fighine. Il gruppo, composto da tutti i migliori tranne che da un dolorante Giovanni Visconti (fastidi ad un ginocchio per il Campione Italiano) sembra varcare l’ingresso per un mondo tutto nuovo. Arcaico e leggendario. Proprio come avvenne nella tappa di Montalcino di un anno fa. Un tempo la pioggia ed il fango, questa volta il sole che riscalda ogni granulo di ghiaia, arroventandone ogni punta e mettendo così ancor più a rischio le ruote dei ciclisti in gara. A forare saranno davvero in tanti. Ed a render più difficile il tutto è il gran polverone che si alza al passaggio dei ciclisti in gara. Sembrano scomparire uno ad uno. Intanto, a pochi passi dal GPM Kohler inizia a barcollare sulla sella, proprio nel tratto in cui le pendenze sfiorano il 15%, mantenendo un vantaggio sul gruppo di 3’25”. Nessuno scatto in ciò che resta del gruppo, ridotto ad una cinquantina di unità con la “rete” dei velocisti già formatasi tempo addietro. A Croce di Fighine, dietro il battistrada, transiterà in capo al gruppo Kreuziger (Astana). Non c’è la maglia rosa Millar (Garmin), attardato di 35”. Nella discesa successiva però il buon David farà di tutto per rientrare sui migliori, riuscendoci prima dell’ultimo settore di sterrato. Sfinito per l’azione di recupero non riuscirà, però, a seguire Contador, Nibali, Scarponi e compagnia, lasciando così definitivamente la maglia del primato. Giù nella ripida e sterrata discesa prova ad andarsene tutto solo Vincenzo Nibali (Liquigas) seguito a un tenace Tankink (Rabobank). I due verranno ben presto ripresi subito dopo l’inizio dell’asfalto, ormai in pianura, da tutti gli uomini di classifica. Tra questi c’è anche Cataldo che, proprio insieme a Tantink, prova un nuovo contrattacco, reso vano qualche chilometro più avanti da una scivolata per l’italiano e da un problema meccanico per l’olandese. Tutto questo con Kohler che ha ormai solo 1’20” da gestire a 20 Km dal traguardo di Orvieto.
Nell’ultimo settore di sterrato, interrotto da un breve tratto di asfalto, il vantaggio dell’uomo BMC ormai scende sotto il minuto. Fora Garzelli ma viene aiutato prontamente da Codol a rientrare. Un brivido ci percorre la schiena quando le immagini Rai si soffermano su Tom Slagter (Rabobank), caduto in seguito ad un contatto con un uomo del team Euskatel a bordo strada. Nulla di particolarmente grave, per fortuna per lui, comunque costretto a ritararsi dalla corsa per tutti gli accertamenti del caso. Kohler viene assorbito da Gadret e subito dopo prova ad andarsene tutto solo Wenning (Rabobank). Ai – 2,5 Km ha 40” di vantaggio, proprio all’inizio dell’ultima ascesa di giornata, un tratto con pendenza massima al 15%. Su per Orvieto ci prova Scarponi (Lampre). Il marchigiano in un attimo guadagna, nel tratto più impegnativo, una decina di metri ma a mancare è la salita, troppo breve per far sì che si potesse far selezione, troppo facile nella seconda parte. Non c’è più spazio per riacciuffare Wenning, bravissimo a provarci e a dar tutto nei chilometri conclusivi. Secondo è Duarte (Geox), a chiudere il podio è Serpa (Androni). Via via arrivano tutti i migliori con i nostri italiani Nibali sesto e Scarponi ottavo a dar chiari segnali ad Alberto Contador. Guarda caso settimo. Al centro della morsa italiana.
11 maggio 2011
Antonio Scarfone
7a tappa: Maddaloni – Montevergine di Mercogliano
TAPPA CORTA? “VOLATA” LUNGA PER DE CLERCQ. ROCK & ROLL HOOGERLAND NELLA FUGA
Johnny Hoogerland, nome da rockstar, si prende il palcoscenico fino alle rampe finali, poi toccherebbe al “main group” far strillare gli amplificatori e roteare le chitarre come asce da battaglia. Invece i grandi protagonisti attendono – e si fanno attendere – una frazione di secondo di troppo, così il trionfo è tutto per un solista coraggioso e inatteso.
Andiamo con ordine: la “fuga del mattino” oggi è del “primo pomeriggio” visto che si parte alle 14:30, ma nonostante le temperature estive non tira aria di siesta. A differenza delle sterili fughe solitarie che i corridori timidi o spauriti ci avevano proposto ad inizio Giro, si fa sul serio: ma fintanto che si formano drappelli addirittura troppo numerosi, la maglia rosa non si fida a concedere la luce verde, specialmente in una tappa così breve. Pineau (QST) e Canuti (COL) sono tra i più attivi e determinati, sono protagonisti a più riprese fino a che, dopo una mezz’ora volata sul filo dei sessanta all’ora, riescono a prendere il largo assieme a Visconti (FAR), Bak (HTC) e Montaguti (AG2).
La fuga viaggia allegra e veloce, con l’Acqua e Sapone di Garzelli a dare man forte alla Rabobank per controllare il distacco. Sul Gpm intermedio di Serra della Strada provano a fare il balzo Lang (OLO) e Cazaux (EUS), ma è Johnny Hoogerland della Vacansoleil a partire come una scheggia e a saltare i due contrattaccanti in pochi istanti sulle rampe più impegnative (complice un guaio meccanico per Lang all’atto di cambiare). L’impresa si direbbe disperata, visto che il distacco si aggira intorno al paio di minuti, ma al traguardo del Gpm Hoogerland l’ha dimezzato. La fatica dell’olandese si palesa nella sua mostruosità quando un inatteso dentello si frappone tra il Gpm ufficiale e l’agognata discesa, mentre davanti Canuti ha razziato i punti per la maglia verde e se n’è andato in libera uscita fino a che una curva insidiosa non l’avrà portato prima a terra e quindi di nuovo in compagnia dei colleghi fuggitivi.
L’emozione spasmodica è però tutta per il disperato inseguimento condotto da Hoogerland, con fasi quasi drammatiche quando – arrivato pressoché a tiro – l’olandese pare non riuscire più nemmeno a pedalare. Lo spirito del ciclismo si palesa quando Scinto, della Farnese di Visconti, offre da bere all’assetato rivale, pure potenzialmente pericoloso in caso di rientro. Ma evidentemente sotto sotto tutti fanno il tifo per il temerario, a maggior ragione perché in realtà le speranze che la fuga vada in porto sono davvero basse.
Alla fine il gruppetto decide di ammettere il membro supplementare, e rallenta per favorire il rientro: Hoogerland però non deve aver gradito la tardività di questa decisione, o forse vuole rilanciare l’andatura che rischiava di essere fatalmente e definitivamente smorzata dalla pausa realizzata; fatto sta che invece che accodarsi, tira dritto come un colpo di balestra, costringendo i fuggitivi, Canuti in primis, a scuotersi per saltargli a ruota.
Il fantasioso Johnny, genio e sregolatezza da vero rocker, si fa perdonare con le tirate più generose, anche se le speranze di tutti sono ormai al lumicino: alle prime avvisaglie di salita molleranno senza lottare Visconti e Pineau, depressi dalla propria consapevolezza, poi via via tutti gli altri al venir meno delle energie, lasciando il solo Bak al ruolo da lepre.
La trafila dei tentativi è lunga quanto vacua, ci provano in ordine sparso Cherel, Rovny, De Greef, Valls, Pirazzi, ovviamente, col proprio marchio di fabbrica che sembra ormai essere il “doppio scatto”, con un primo tentativo più da lungi e uno più convinto a ridosso del finale (forse potrebbe puntare tutto su uno dei due? Bravo comunque).
Ai meno 5,5km “lancia la volata lunga” De Clercq, dell’Omega Pharma – Lotto: la battuta si giustifica osservando il fotogramma del traguardo, anzi il fotofinish, ove il belga prevale per mezza bici scarsa su Scarponi, dando l’illusione di essersi giocato la volata piuttosto che di essere un “fuggitivo” dell’ultimo quarto d’ora.
Come preannunciato proverà senza fortuna a riportarsi su di lui Pirazzi, e così pure Ochoa: ma il distacco maturato si è allargato in fretta, mentre di converso è proprio – e solamente – nel finale che l’andatura del gruppo si infiamma in un crescendo isterico.
La svolta è nella decisione, azzeccata, da parte di Nibali di far sottrarre i suoi gregari al lavoro di ricongiungimento. Poco sprinter, il siciliano, inutile sprecare energie preziose per regalare abbuoni agli altri.
Si materializza ancora una volta uno dei tratti genetici di questo Giro: mancano i cacciatori di tappe, gli scattisti da giornata secca, e così – con Weening ben contento della situazione (meglio l’abbuono all’innocuo De Clercq che a Le Mevél) – non c’è grande concorso di forze nel chiudere sul belga, il cui margine si continua a dilatare in maniera impressionante fino ai meno 2km.
Solo in conclusione la Lampre comprende che il campo è sgombro di potenziali avversari, e che quindi in palio c’è una tappa disponibile col suo preziosissimo abbuono: l’attacco di Ochoa conferma che Serpa, uno dei papabili per un arrivo veloce, non deve essere così brillante (l’ordine d’arrivo lo confermerà), il Di Luca così minaccioso ieri arranca a fondo gruppo (e pagherà oltre un minuto e mezzo), Joaquim Rodriguez è allergico alle pendenze troppo umili, stai a vedere che tra chi pedala bene lì davanti Scarponi è il più tirato a lucido?
Naturalmente è comprensibile la valutazione sulla lunghezza del Giro, sulla necessità di misurare bene quanto affannarsi, con ben due capitani (domani è occasione per Petacchi, domenica si dannerà la Liquigas di Nibali, va bene, ma Ulissi e Niemec potrebbero fare comodo lo stesso): fatto sta che la sconvolgente accelerazione messa in atto nel finale di tappa si rivela insufficiente per quell’inezia che premia l’audacia di De Clercq e lascia un retrogusto amaro in bocca a Scarponi, che pure mette in cascina un bel po’ di secondi con una progressione tanto maestosa quanto effettivamente inabile – di per sé sola – a fare il vuoto.
Un altro finale appassionantissimo, dopo quello di ieri, con un secondo posto ambivalente sempre per un uomo Lampre. Se però la forma strepitosa di Petacchi si adatta perfettamente a un Giro generoso coi velocisti solo nella prima metà, e nemmeno troppo generoso, visto che concede le volate solo a prezzo di rampe e rampette assortite, l’incognita per Scarponi riguarda la durata di un picco già evidente fin d’ora. Comunque il Giro si vincrà più nel secondo che nel terzo weekend, e mettersi dietro gli altri fa sempre meglio al morale che non il viceversa: i precedenti di Cunego 2004 e Di Luca 2007 non sono scoraggianti.
Il borsino degli altri ci racconta di un Nibali non veloce ma estremamente reattivo (quarto) e, sul podio, di un Kreuziger potente che ha ricordato per certi versi alcuni allunghi del Menchov 2008-2009. Non parliamo certo di scattisti, il che la dice molto lunga sui ritmi devastanti del finale ma anche sulla scarsa competizione in questo specifico settore. Quarto Garzelli che qui si piazza spesso ma proprio non vince. Questi i più in luce. Bravo pure Joaquim Rodriguez su una delle salite a lui meno confacenti, promettente Rujano in vista dei tapponi a venire. Cataldo e Le Mevél pare vogliano candidarsi a un ottimo Giro. Sempre a pari tempo discreti segnali da Kruijswijk e Masciarelli, Menchov (17°) si nasconde così come Contador (che però è comunque nono!), incoraggiante la permanenza nel gruppo d’elite e quindi in classifica di Gadret, Anton e Pozzovivo su rampe da passisti e in un finale coi tamburi rullanti più simile a uno sprint. Nel complesso arrivano assieme 26 atleti, sull’Etna la musica cambierà…
13 maggio 2011
Gabriele Bugada
9a tappa: Messina – Etna
INCENERITI! CONTADOR INFIAMMA L’ETNA: SCARPONI SI BRUCIA, NIBALI DI BRACE
Onoriamo la fuga di giornata, strappata a un gruppo recalcitrante dopo un’ora volata sul filo dei 50km/h: dopo il fallimento, tra gli altri, di Di Luca, se ne vanno invece di prepotenza Savini e Bakelandts, cui si aggregano Cherel, Frank, Horrach e Vanotti (compagni rispettivamente di Joaquim Rodriguez e Nibali), Lastras – maglia rosa virtuale e promettente per la tappa –, Popovych e, dulcis in fundo, Visconti. Le speranze di conquistare almeno il traguardo di giornata reggono fino alle rampe più dure dell’Etna, e si fondano principalmente sull’auspicio di una gara di studio tra i “pezzi grossi”: ma così non sarà, e gli allunghi sfrontati di Bakelandts, che si arrende per ultimo; la generosità di Lastras profusa per tre quarti di tappa; i calcoli tattici di Vanotti (ripreso prima delle fasi calde, qualche tirata per Nibali comunque la darà); la scarsa collaboratività dello svizzero Frank che guizza velleitario rompendo accordi; la regolarità di Savini; soprattutto l’eroismo umile di Visconti che si danna l’anima per brillare in una tappa che non gli appartiene; ebbene, tutto questo sparirà in fumo quando la sfida di alta classifica si farà incandescente.
L’inseguimento, su e giù tra pendici del vulcano e mare, racconta di una differenza trattenuta tra i tre e i cinque minuti, dice di una Lampre che si fa carico quasi da sola della gestione di gara (esemplare Petacchi), sporadicamente supportata da Liquigas e Astana quando si tratta di dare un giro di vite in fondo alla prima lunga discesa dell’Etna. In cronaca, l’abortito rientro di Belkov della Vacansoleil, che tenta senza esito di imitare il compagno Hoogerland visto a Montevergine, ma dopo aver recuperato tutti i minuti – tranne uno – sul primo Gpm, fallisce l’aggancio in discesa e viene riassorbito.
Dopodiché, è l’Etna. Di nuovo, ma stavolta “davvero”: più in alto, più forte. Strada larga, vento tagliente, distese di sabbia lavica in cui i corridori appaiono ancora più spersi.
La Lampre, ancora la Lampre, dà il “la” all’accelerazione che segna fatalmente il destino della fuga, prima Marzano, poi le prime fiammelle di Niemec: la maglia rosa Weening precipita in un abisso infernale di fatica e sofferenza quando ancora mancano dieci km all’arrivo. Arriverà con oltre sei minuti e mezzo di ritardo. Anche Pinotti arranca, e abbandona ogni velleità di classifica. Ci si scotta ancor prima che il rogo sia esploso.
Ai -10 km si avvicinano le rampe più dure e Rujano e Nieve tentano di avvantaggiarsi, ma solo il piccolo venezuelano riuscirà a tenere il naso fuori, per quanto sempre nel mirino di Niemec. Numerosissimi gli Astana in “posizione di sparo” (Kreuziger, Kiserlovski, Masciarelli, Tiralongo), preoccupante l’isolamento di Nibali, spesso alle spalle di un sorprendente Garzelli che si mantiene costantemente nelle primissime posizioni del gruppetto.
A breve però la parola “isolamento” acquisirà un significato completamente diverso.
Contador è ancora accompagnato da Jesus Hernandez, e l’ascesa mancante è ancora lunga, soprattutto per un atleta spesso accusato di sfoderare le proprie rivoltelle quando alla linea non mancano più di tremila metri, tanto da far assumere ai 5 km di Verbier i connotati del memorabile. Di fatto però la salita è ancora più lunga, e non tanto per le distanze da affrontare ma perché “facile” (Rujano: “oggi la salita era troppo facile per me”), da scia. E ancor più “da scia” perché sferzata da un vento impietoso. Specialmente perché il drappello dei migliori è ancora corposo, ricco di capitani che con un’altra preda magari si guardarebbero troppo, ma con un fuggitivo di lusso non farebbero alcuna fatica ad accordarsi e trasformarsi in una muta di segugi: a maggior ragione perché non di soli capitani si tratta, ma anche di gregari, ovviamente di lusso, vale a dire Niemec e il gruppo Astana.
Tanti fattori da computare, e il bilancio fatto da un dovizioso ragioniere suggerirebbe di accomodarsi a ruota.
Ma oggi Contador non ha intenzione di soffermarsi a fare troppi conti, sente il fuoco nelle “piernas”, e ai -7km dall’arrivo, sulle rampe più impegnative (ma non poi così tanto, intorno all’8-9%), scarica sulla moltiplica grande tutta la veemenza di un’eruzione vulcanica.
Scarponi è l’unico a tentare di reagire, lungo rapporto anche per lui e un rientro il più veloce possibile per potersi agganciare al carro posteriore dello spagnolo: Contador è propenso a collaborare, chiede un cambio, ma Michele è in apnea. All’atto di rientrare su Rujano (che saggiamente doveva aver allentato l’andatura, probabilmente proprio nella speranza di favorire qualche rientro), il pistolero fa di nuovo fuoco, e a Scarponi non resta che scivolare nel gruppetto all’inseguimento con i muscoli disperatamente in fiamme e ogni sirena d’allarme che strilla invano.
Lo scalatore venezuelano si acquatta alla ruota di Contador, stringe i denti, non è ovviamente in grado di dare neppure mezzo cambio. Il vantaggio si dilata comunque.
Dietro è soprattutto l’Astana ha lavorare sodo, dopo che Niemec si sgancia avendo offerto l’estremo contributo. Provano ad uscire Gadret e Sivtsov, ma il ritmo è alto e non c’è spazio. Contador soffre nei tratti controvento, naturalmente il suo margine non si spalanca più, ma d’altro canto nemmeno si contrae, assestandosi intorno al minuto e oscillando col favore o meno delle brezze. Emergono le doti di cronoman ancor più di quelle da scalatore, la postura è spesso seduta, in punta di sella, con un ghigno tremendo sul volto mentre la pedalata tradisce l’erogazione della massima potenza, pur nei limiti della consueta agilità, ora meno esasperata.
Tornante, giro di strada e giro di vento, Contador accelera, si volta, Rujano non c’è più, o meglio è lì, sempre lì, tenace e grintoso, ma staccato di qualche metro. Non c’è tempo per attendere, l’abbiamo detto, questa ormai è una cronometro.
Bang, arriva la linea, e Contador solleva con fatica estrema un braccio solo, e bang, spara, e bang un sorriso gli trapela sul viso.
A tutta velocità arrivano gli altri, Nibali ha covato come brace sotto la cenere lungo tutto il vulcano e azzarda uno scatto bellissimo poco prima dell’ultimo chilometro, ma Arroyo, un Arroyo fenomenale evidentemente esaltato dai suoi trascorsi in rosa, si spreme per stopparlo. Sarà volata, con Garzelli che si scorna fin sulla riga con il messinese, prevalendo infine per la propria maggiore freschezza (non ha provato attacchi) oltreché per lo spunto decisamente superiore: terzo posto con abbuono, ma pure punti preziosi per le maglie rossa e verde.
Nibali comunque dimostra con questo finale di stare bene, sopravanza Kreuziger che era apparso in precedenza più potente e reattivo, chiudono il più selezionato gruppetto – lasciandoci un po’ stralunati – Arroyo e Sivtsov, che dopo il proprio tentativo a vuoto era sembrato in grande difficoltà ma si deve essere ripreso.
Igor Anton, che forse qualche pensiero alla classifica lo fa, è subito dietro, distanziato solo nella foga della volata, specialità che proprio non fa per lui.
L’innesco di Contador ha fatto diventare tremendamente selettivo un arrivo pronosticato per una quindicina di atleti, mentre già Scarponi, peraltro sopravvissuto vista la crisi allucinante sul cui limite si è mosso, è già a quasi venti secondi da Nibali. Bene anche Gadret, tra gli scalatori purissimi, mentre Pozzovivo patisce la salita e giunge con oltre quattro primi di distacco. Tra i favoriti soffrono assai Menchov e Joaquim Rodriguez, a oltre due minuti (comunque quasi uno e mezzo da Nibali), così come – volendo includerli – Sastre e Lovkvist (anzi, peggio).
Tiene molto bene Le Mevél, scalzato dai dieci solo da un inaspettato Dupont, anche lui dell’Ag2R come Gadret. Nel medesimo gruppetto Serpa e Carrara. Masciarelli, Kiserlovski e Tiralongo si immolano per Kreuziger (e anche per tutti gli altri, e per il Giro!, a questo punto…), solo il giovane Francesco contiene il distacco entro il minuto e mezzo, vale a dire una trentina di secondi dai comuni mortali.
Il Giro è lungo, è la cantilena di tutti, ma adesso tocca agli altri dare fuoco alle polveri, e soprattutto capire che se si porta Contador alla salita finale correndo con linearità tattica e senza sussulti sulle prime ascese, questo Giro lo spagnolo lo può perdere solo se la luce si spegne a lui. O se qualcun altro gliela spegnerà a posteriori, ma questo farebbe solo male al ciclismo, e quindi anche a tutti gli altri atleti che pure ne godessero nell’immediato.
Gabriele Bugada