PELLIZOTTI, CHE PECCATO!
Pierrick Fédrigo vince la 9a tappa del Tour de France, 160,5 km da Saint-Gaudens a Tarbes, battendo in uno sprint a due Franco Pellizotti. La coppia, dopo aver scalato l’Aspin e il Tourmalet, resiste negli ultimi 50 km alla rimonta del gruppo, mantenendo 34’’ sul plotone, regolato da Freire. I big non si muovono, e Nocentini resta così in giallo con 6’’ su Contador. Domani primo giorno di riposo.
L’Aspin come antipasto, il Tourmalet come piatto forte, il tutto condito dalla tradizionale calura pirenaica, nell’aria quel piacevole aroma di imprevedibilità lasciato ieri dagli attacchi di Cadel Evans e Andy Schleck addirittura dalla prima salita. Se ci fermassimo qui, il menù della 9a tappa di questo Tour de France sarebbe quanto mai appetitoso. Ma come in cucina basta un ingrediente sbagliato per rovinare un piatto altrimenti eccellente, anche nel ciclismo un solo errore nel disegnare una tappa può trasformare una giornata di attacchi e spettacolo in alta montagna in una processione, perlomeno da parte degli uomini di classifica. Se poi questo errore è tale da vanificare tutto quanto di buono c’era nella tracciatura, e anche le bestie che pascolano sui brulli paesaggi pirenaici se ne renderebbero conto, ecco che alla naturale delusione per un simile potenziale sprecato si aggiunge una certa rabbia. Perché se una frazione così, con due colli sacrificati ad una tale distanza dall’arrivo, può anche essere giustificata come un tentativo di favorire fughe e corridori con un po’ di fantasia, proporne due di fila è francamente incomprensibile.
Sarebbero riflessioni ovvie, quasi superflue, se non fosse che, nella presentazione della tappa, addirittura il megadirettore galattico della Grande Boucle, Christian Prudhomme, arrivato a capo della corsa come un salvatore dall’obsolescenza dei Tour di Leblanc, e che quest’anno ci ha invece propinato un disegno degno del peggior Jean Marie, si può leggere (traducendo, liberamente e come meglio possiamo, dal francese): “Con le salite verso il Col d’Aspin e il Col du Tourmalet, per di più avvicinati l’uno all’altro rispetto al solito, chi si sentirà ispirato a dare spettacolo prima del giorno di riposo disporrà di un terreno ideale.” Talmente ideale che, alle spalle dei due corridori che hanno salvato la giornata e di cui tra poco diremo, si è piazzato Oscar Freire, notoriamente l’erede designato di Bahamontes, Ocana, Fuente, Delgado e tutti i grandi scalatori spagnoli. Forse bisognerebbe spiegare a Prudhomme che rispetto agli anni in cui il Tour fece tappa a Tarbes (1933, 1934 e 1951), sempre in frazioni “pirenaiche” (scegliete voi la quantità di virgolette), con salite ben lontane dall’arrivo, la situazione è lievemente cambiata, o quantomeno, se proprio di tappe così non si può fare a meno (ma chissà, magari l’anno prossimo, senza Armstrong, spariranno magicamente), perlomeno potrebbe evitare di prendere in giro gli spettatori.
Due uomini hanno però salvato la giornata, dicevamo. Due uomini che rispondono ai nomi di Franco Pellizotti e Pierrick Fédrigo, due classe ’78, uno votatosi alla classifica con successo, ma riciclatosi come cacciatore di tappe dopo i 14’ di ritardo accusati ieri (ma a giudicare da quanto ha fatto oggi, viene il dubbio che il nativo di Latisana abbia scientemente deciso di uscire di classifica per poter puntare ad un successo parziale), l’altro dedito da una vita a galoppate, che nel 2006 gli avevano fruttato una vittoria al Tour de France.
I due se ne erano andati, in compagnia di Voigt e Duque, dopo una trentina di chilometri, vincendo la feroce battaglia per entrare nella fuga buona. Sono però bastati pochi chilometri del Col d’Aspin per mettere fuori gioco il sudamericano, lasciando così davanti l’italiano, il francese e il tedesco (detto così, sembrano i personaggi di una classica barzelletta). A metà Tourmalet anche il sempre belligerante Voigt ha dovuto alzare bandiera bianca. In cima al colle più scalato nell’ultracentenaria storia del Tour de France, che, avesse una voce, siamo certi griderebbe tutto il suo sdegno per essere stato mortificato in questa maniera, Pellizotti e Fédrigo avevano poco meno di 3’ su un drappello scappato sull’Aspin, comprendente tra gli altri Moncoutié, Garate, Voeckler, Van Den Broeck e Ten Dam, poi volato a terra in discesa, mentre il gruppo maglia gialla pagava 5’.
I contrattaccanti sono stati riassorbiti poco dopo la fine della discesa, a 40 km circa dal traguardo, quando era ormai già iniziato da una decina di chilometri l’inseguimento che ha dato un senso all’aver passato oltre 4 ore di fronte alla TV. I 5’ di vantaggio dei due uomini al comando erano stati infatti già dimezzati a 30 km dal traguardo, grazie al lavoro di Caisse d’Epargne e Rabobank in particolare. Per Pellizotti e Fédrigo sarebbe stato facile smettere di crederci e proseguire per inerzia, andando incontro ad un pressoché sicuro ricongiungimento. I due ci hanno invece creduto, e sono stati premiati da un improvviso rallentamento del gruppo, che ha smesso di recuperare per 5-6 km, e ha riacceso la luce della speranza nei due coraggiosi.
Normalmente, mettere assieme un italiano e un francese non è una grande idea, se è richiesta totale collaborazione, dati i non idilliaci rapporti di vicinato fra transalpini e transalpins (dipende dal punto di vista). Ma come Edgar Lee Masters insegna, se neppure un chimico può sapere con esattezza cosa risulterà dall’unione di fluidi e solidi, nessuno può sapere come reagiranno tra loro gli uomini. E così, in barba ai luoghi comuni e alle bandiere, l’italiano e il francese hanno proseguito con un accordo e un’armonia assolutamente perfetti, dividendosi equamente il lavoro fino agli 800 metri finali, quando il distacco, fossilizzatosi ormai da 2 km sui 40’’, era tale da permettere a Pellizotti di non dare il cambio a Fédrigo, e di provare a giocarsi la volata partendo da dietro.
Scelta assolutamente corretta, che però l’alfiere della Liquigas non è però stato in grado di capitalizzare. Pellizotti ha infatti anticipato il francese ai 300 metri, volendo a tutti i costi uscire in testa dall’ultima curva; Franco è riuscito nel suo intento, ma aveva evidentemente sottovalutato l’ultimo rettilineo, in cui Fédrigo, che pure aveva affrontato la curva meno bene del friulano, ha fatto in tempo a tornargli a ruota, affiancarlo e scavalcarlo, andando a cogliere il secondo successo di tappa in carriera al Tour de France, dopo la già citata affermazione a Gap di tre anni fa.
Oggi come allora, è stato un italiano ad essere castigato dallo spunto veloce del corridore della Bouygues. Per fortuna, Pellizotti, a cui resta la consapevolezza di aver compiuto uno splendido gesto atletico, e forte di un 3° posto al Giro che rende già pienamente positiva la sua stagione, ha preso la sconfitta molto meglio di quanto non fece tre anni fa Totò Commesso, che d’altro canto non alzava le braccia dal 2002. Per Fédrigo, ex campione nazionale, è la diciassettesima vittoria in carriera, curiosamente, per lui che è soprattutto uomo da classiche, fughe e percorsi vallonati, la seconda consecutiva in tappe di alta montagna (questa, malgrado tutto, era classificata come tale), dopo quella di Briançon del recente Giro del Delfinato, nella tappa dell’Izoard.
Domani, la Grande Boucle si fermerà (o meglio, si trasferirà in aereo) per il primo giorno di riposo. Riposo meritato, visto che, malgrado il ritmo non certo folle della frazione odierna (ma questa volta, a differenza di venerdì, non possiamo prendercela con i corridori e con la mancanza di coraggio), e dei Pirenei sprecati, che hanno detto tutto sommato poco, in questa prima settimana di Tour non si è avuto un giorno di respiro, tra cronometro individuali e a squadre, ventagli, cadute e salite. Nonostante per trovare una vittoria azzurra senza asterisco accanto sia ancora necessario tornare al 23 luglio 2007 e allo sprint vincente di Bennati sui Campi Elisi, l’Italia che pedala si imbarcherà sul volo per Limoges, sede di partenza della tappa del 14 luglio, vestita di giallo. Anche oggi, infatti, Rinaldo Nocentini, che si è fatto vedere seguendo una apparentemente immotivata sgasata di Armstrong su uno zampellotto ad inizio tappa (il texano si è infatti rialzato appena è stato raggiunto un gruppetto che inseguiva Pellizotti, Voigt, Fédrigo e Duque, in cui il meglio piazzato in generale era Riblon), non ha avuto problemi a conservare la maglia gialla. Con l’arrivo più vicino all’ultimo colle, probabilmente non sarebbe stato così. In fin dei conti, patriotticamente parlando, questo percorso senza senso è servito a qualcosa.
Matteo Novarini