NIBALI SOGNA, POI CADE. L’ORO E’ DI VAN AVERMAET

agosto 6, 2016
Categoria: News

Una splendida gara olimpica vede il siciliano al comando in vetta all’ultima salita, in compagnia di Sergio Henao e Rafal Majka. Il sogno della medaglia d’oro sfuma però in discesa, quando Nibali cade insieme al colombiano. Il polacco, rimasto solo al comando, viene raggiunto a 2 km dall’arrivo da Van Avermaet, che conquista l’oro, e Fuglsang, medaglia d’argento, ed è costretto al gradino più basso del podio. L’Italia si deve accontentare del 6° posto di Aru.

A 12 km dal traguardo, la prima medaglia italiana ai Giochi di Rio era quasi cosa fatta. Nibali, magistralmente lanciato da Fabio Aru al penultimo Giro, aveva operato la selezione sperata sull’ultima salita, portando con sé i soli Sergio Henao e Rafal Majka, rimasti agganciati con i denti nel finale dell’ascesa. Dietro, nessuno aveva gregari da spendere, mentre l’Italia poteva contare su Fabio Aru, pur provato dal lavoro svolto in precedenza, in veste di stopper. La conquista dell’oro, viste le limitate doti di sprinter del messinese, sarebbe stata impresa complessa ma non proibitiva, al cospetto di altri due scalatori non noti per il loro spunto veloce.
Il lavoro dell’Italia per mettere il capitano nelle condizioni migliori era cominciato da lontano, quando Alessandro De Marchi era stato tra i primi ad attivarsi nell’inseguimento alla fuga della prima ora, promossa da più di un nome eccellente (Albasini, Kwiatkowski e Pantano su tutti, oltre a Geschke, Bystrom e Kochetkov). Al friulano si erano uniti i soli Erviti e Stannard, ma l’inferiorità numerica non aveva impedito ai tre di riportare entro margini di sicurezza il distacco dalla testa, giunto a toccare anche gli 8 minuti.
Nella lunga fase centrale, svoltasi su un primo circuito, comprendente le salite di Grumari e Grota Fonda, ad animare la corsa è stato perlopiù il vento, che intorno a metà percorso, nel tanto chiacchierato tratto in pavé, ha ad un tratto spezzato il gruppo in tre tronconi, prima del ricompattamento generale. Già in questa fase si sono chiamati fuori dal discorso medaglie atleti di alto livello, fra cui Tim Wellens, già staccato, e Wouter Poels, in chiaro affanno in coda al gruppo. Per l’Olanda si trattava della seconda uscita di scena, dopo il ritiro di Tom Dumoulin nei chilometri iniziali. Da chiarire le condizioni dell’uomo da battere nella prova a cronometro.
Lo scenario è cambiato quando la corsa ha imboccato il secondo circuito, la cui asperità principale, l’ascesa di Canoas, ha subito provveduto a falcidiare il sestetto di testa, riducendolo ai soli Kwiatkowski e Kochetkov. Dietro, l’Italia prendeva in mano la situazione, prima piazzando in testa al gruppo Diego Rosa (in generale al di sotto delle attese, ad onor del vero), utile a lasciare indietro, fra gli altri, Poels, Gilbert e Boasson Hagen; quindi lanciando l’attacco di Damiano Caruso, marcato stretto da Geraint Thomas e Greg Van Avermaet e seguito in un secondo momento anche da Rein Taaramae e Sergio Henao.
Il quintetto non ha mai acquisito un margine tale da impensierire più di tanto i favoriti, ma la sua mera presenza è stata sufficiente a costringere la Spagna ad entrare in azione. Caruso e compagni, nella tornata successiva, sono rientrati sulla testa della corsa, dove Kwiatkowski si era nel frattempo sbarazzato di Kochetkov. Le salite non hanno selezionato granché il plotone, scosso solo, per qualche chilometro, da un contrattacco non troppo minaccioso lanciato da Durasek.
A spaccare la gara ha provveduto invece la discesa, lungo la quale Richie Porte, cadendo, si aggiungeva alla lista dei big fuori gioco: Aru ha accelerato, con Nibali nella sua scia; i soli Fuglsang, Majka e Yates hanno avuto la prontezza di accodarsi, e quando il quintetto così formatosi si è riportato sui battistrada, il vantaggio ha fatto in tempo a salire a 50’’ prima che in gruppo venisse imbastito un inseguimento degno di tale nome. Fondamentale era la presenza in testa di Caruso, Kwiatkowski e Thomas tre, elementi sacrificabili per i leader appena rientrati, benché l’inglese non abbia fornito grande collaborazione e l’iridato di Ponferrada sia stato fermato pochi chilometri più tardi dai crampi.
L’emergenza costringeva intanto la Spagna ad una scelta fra i propri due capitani: Valverde si è sacrificato nell’inseguimento, consegnando i gradi di capitano unico a Purito. E se gli iberici non avessero trovato un inatteso alleato in Cancellara, evidentemente molto fiducioso nelle possibilità di Steve Morabito, la lotta per le medaglie si sarebbe di fatto ristretta ai battistrada già prima dell’ultimo giro.
Il lavoro di Caruso si è esaurito ai piedi dell’ascesa di Canoas, dove ha ceduto il testimone a Fabio Aru. Dietro è stato Kangert il primo a tentare la rimonta, rimbalzando però dopo poche centinaia di metri. Di ben altro spessore, invece, il contrattacco di Rodriguez e Meintjes, capaci di rifarsi sotto proprio mentre Nibali cominciava la sua serie di attacchi. Froome provava a sua volta la rimonta solitaria, arrendendosi però dopo un paio di chilometri. Alaphilippe, dopo aver atteso fin troppo, riusciva allora a saltare il vincitore dell’ultimo Tour e a riportarsi a sua volta nella scia di Purito e Meintjes.
Quella che pareva dover essere l’azione decisiva è nata sulla meno impegnativa delle due salite del circuito, quella di Vista Chinesa: Nibali è partito, Henao ha rilanciato, il siciliano ha ribattuto a sua volta, e il solo Majka ha tenuto botta, perdendo solo una manciata di metri, ricucita con passo regolare. Un ulteriore scatto di Nibali, a un chilometro circa dalla vetta, è parso per qualche istante poter lanciare il messinese verso una cavalcata solitaria, ma Henao ha provveduto con non pochi patemi a ricompattare il trio.
Forti di un margine di una quindicina di secondi al momento dello scollinamento, i tre si sono lanciati in discesa a rotta di collo, mentre Alaphilippe, con un paio di curve disegnate col compasso, riusciva a distanziare di qualche metro il resto degli inseguitori. Davanti, era Nibali a dettare le traiettorie, e l’impressione era che solo il francese potesse almeno ridurre il distacco dai battistrada.
Finché, a 12 km dal traguardo, la prima moto riprese ha mostrato prima Henao a terra, a bordo strada, e poi, pochi metri più avanti, lo stesso Nibali, in condizione analoga. La dinamica della caduta, in mancanza di immagini, dovrà essere ricostruita più avanti, in base alle testimonianze dei protagonisti. Argomento di interesse francamente limitato, al cospetto di una medaglia quasi vinta e sfumata sul più bello. Di lì a poco, sempre senza una telecamera a riprenderlo, anche Alaphilippe, il solo a potersi riportare sul terzetto, è finito a terra, riuscendo però a ripartire in tempi celeri e ad accodarsi al drappello di Aru.
Majka, il meno collaborativo e probabilmente il più stanco dei tre al comando, si è così ritrovato solo al comando nelle più rocambolesche delle circostanze, con una ventina di secondi da gestire. Dietro, per almeno un paio di chilometri, non si è vista neppure una parvenza di collaborazione, e la sensazione, a 6 km dal traguardo, era che l’oro fosse quasi al collo del polacco.
Nella girandola di scatti e controscatti, però, dal drappello inseguitore è evasa la coppia Van Avermaet-Fuglsang, che ha invece trovato subito un accordo impeccabile. La sagoma del polacco, davanti agli occhi dei due, si è fatta via via più grande, fino al ricongiungimento a 2 km dalla conclusione. Nulla poteva più impedire uno sprint a tre, e nulla poteva impedire a Van Avermaet, nettamente il più veloce, di fare polpette dei compagni di avventura.
Non è eresia parlare di una componente di fortuna nell’oro del belga, ma non si deve tuttavia perdere di vista l’impresa compiuta da un corridore che quasi nessuno considerava tra i papabili medagliati su un tracciato tanto selettivo (basti pensare che Sagan, corridore dalle caratteristiche non lontanissime da quelle del fiammingo, ha ritenuto il percorso olimpico così impegnativo da virare sulla mountain bike). E aiuta ad attenuare la delusione per la mancata medaglia azzurra pensare che a vincere sia stato un corridore dal credito sterminato con la sorte.
Fuglsang ha preceduto Majka, mentre Alaphilippe ha vinto l’inutile volata dei battuti, davanti a Purito e ad un ottimo Aru. Quello del sardo è un 6° posto che non può bastare a consolare per la sventura di Nibali, ma che evita almeno all’Italia di non figurare nelle zone alte della classifica, dopo una gara condotta in maniera magistrale, indubbiamente la migliore sotto la guida di Davide Cassani.
Estendendo il discorso, possiamo dire che la prova olimpica è stata di gran lunga la più spettacolare gara per nazionale degli ultimi anni. Merito, oltre che dell’intraprendenza degli azzurri, di un percorso all’altezza, come raramente ne abbiamo visti nei Mondiali recenti; dei 5 corridori (al massimo) per squadra, che ha reso impossibile anche alle compagini più forti un pieno controllo sulla corsa; forse anche della mancanza di radioline, che ha peraltro prodotto una situazione paradossale ad un centinaio di chilometri dal traguardo, quando Chris Froome, costretto ad un cambio di bici, ha dovuto inseguire per alcuni chilometri in compagnia di Geraint Thomas, mentre Cummings teneva alto il ritmo in testa al gruppo. Sarà difficile, però, ricordare la gara di oggi per il bello spettacolo, anziché per la maledetta caduta nell’ultima discesa.

Matteo Novarini

ORDINE D’ARRIVO
1 Greg Van Avermaet (Belgium) 6:10:05
2 Jakob Fuglsang (Denmark)
3 Rafal Majka (Poland) 0:00:05
4 Julian Alaphilippe (France) 0:00:22
5 Joaquim Rodriguez Oliver (Spain)
6 Fabio Aru (Italy)
7 Louis Meintjes (South Africa)
8 Andrey Zeits (Kazakhstan) 0:00:25
9 Tanel Kangert (Estonia) 0:01:47
10 Rui Alberto Faria Da Costa (Portugal) 0:02:29
11 Geraint Thomas (Great Britain)
12 Christopher Froome (Great Britain) 0:02:58
13 Daniel Martin (Ireland)
14 Emanuel Buchmann (Germany)
15 Adam Yates (Great Britain) 0:03:03
16 Brent Bookwalter (United States Of America) 0:03:31
17 Bauke Mollema (Netherlands)
18 Kristijan Durasek (Croatia)
19 Sébastien Reichenbach (Switzerland)
20 Frank Schleck (Luxembourg)
21 Jhoan Esteban Chaves Rubio (Colombia) 0:03:34
22 Serge Pauwels (Belgium) 0:06:12
23 Alexis Vuillermoz (France)
24 Romain Bardet (France)
25 Simon Clarke (Australia)
26 Primož Roglic (Slovenia) 0:09:38
27 Yukiya Arashiro (Japan)
28 Daryl Impey (South Africa)
29 Nicolas Roche (Ireland)
30 Alejandro Valverde Belmonte (Spain)

Greg Van Avermaet grida la sua gioia al traguardo (foto Getty Images Sport)

Greg Van Avermaet grida la sua gioia al traguardo (foto Getty Images Sport)

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