BORMIO – PONTE DI LEGNO / TONALE: SI PLACHERA’ LA VENDETTA DEL “DUCA”?
Se lo è per davvero legato al dito il Gavia per quel trentennale oblio nel quale l’aveva cacciato Vincenzo Torriani, che l’aveva sedotto e abbandonato dopo la prima storica scalata del Giro 1960. Da quando la corsa rosa è tornata sul passo valtellinese si può dire che non ne è mai andata giusta nessuna: prima la tremenda tappa del 1988, poi passaggi sempre più interlocutori, soffocati dalla presenza del Mortirolo. Forse, però, quest’anno sarà l’occasione buona per rivedere una grande giornata di ciclismo vissuta sulla strada del Gavia, resa ancor più particolare dal disegno di gara, che per la prima volta proporrà in discesa l’impegnativo versante di Ponte di Legno, lungo il quale difficilmente si riuscirà a recuperare il terreno perduto in salita. E poi, dulcis in fundo, a complicar la vita interverrà l’ultimo arrivo in quota del 93° Giro d’Italia.
Se esistesse una gerarchia nobiliare delle salite e se il Mortirolo è il re delle ascese italiane – con lo Zoncolan nei panni del kaiser e lo Stelvio che, dall’alto dei suoi 2758 metri, può ben definirsi il patriarca – allora al Gavia spetta a pieno titolo la nomina a duca. Un duca rigolettiano, però, che si è ampiamente vendicato di un Giro che l’ha sovente bistrattato, prima lasciandolo nell’oblio per quasi trent’anni e poi riducendolo al comprimario ruolo di “spalla” del Mortirolo. La vendetta, si sa, è un piatto che va consumato freddo e il duca Gavia l’ha servito addirittura gelido quel 5 giugno del 1988, in occasione dell’ultima storica giornata di maltempo vissuta sulla pelle dei “girini”, una giornata che riuscì ad affievolire il ricordo della tappa del 1960, quella della vittoria di Gaul a Bormio e della sfortuna di Massignan, primo in vetta e poi appiedato da tre forature nella discesa. Dopo il nulla: respinta la corsa rosa nel 1989, spariti gli ultimi tronconi sterrati, nei successivi sei “ritorni di fiamma” il Gavia ci negò azioni importanti, neppure quando era ascesa principale di tappa e col traguardo a portata di mano.
Adesso, però, a 50 anni spaccati dalla prima scalata, l’incantesimo potrebbe spezzarsi, complice l’idea – apparentemente balzana – di Zomegnan di proporre il Gavia alla rovescia, salendo dal versante più facile (anche se non lo è per nulla) – per poi lanciarsi in direzione di Ponte di Legno, affrontando la più difficile discesa del Giro 2010, una picchiata dove nemmeno un “falco” alla Savoldelli si sognerebbe di mettersi a far pazzie. Non è più la mulattiera del 1960, non c’è più lo sterrato e la strada è stata allargata, ma il lavoro dell’uomo non ha potuto cancellare i burroni, limitandosi a porre, dove necessario, delle protezioni nei tratti più esposti. Con queste premesse è facile intuire quel che accadrà: i distacchi che i cronometristi registreranno ai 2618 metri della Cima Coppi subiranno poche variazioni e si mostreranno immutati al passaggio per Ponte di Legno. La situazione, poi, non potrà che peggiorare poiché, una volta terminata la discesa, subito si riprenderà a salire alla volta del Passo del Tonale, sesto e ultimo arrivo in quota. La pendenza è lieve ma in maniera inversamente proporzionale alla fatica, che si farà sentire al termine dell’ultima tappa montana di un Giro molto esigente, a sua volta molto dispendiosa con le sue quattro ascese “over 2000”, che si porteranno in dote quasi 4000 metri di dislivello complessivi, contando anche il “basso” Tonale.
La penultima frazione prenderà le mosse da Bormio, centro principale dell’Alta Valtellina, frequentato fin dall’epoca dei romani per le sue terme, che furono citate da Paracelso, Cassiodoro e Plinio il Vecchio. Nel suo “Codice Atlantico” le menzionò anche Leonardo da Vinci, che le vide nel dicembre del 1493, quando transitò per Bormio al seguito del corteo nuziale di Bianca Maria Sforza (maritatasi per procura con Massimiliano I d’Asburgo) diretto da Milano a Innsbruck attraverso il Passo dello Stelvio. “A Bormi sono i bagni… in testa alla Valtolina è le montagne di Bormi, terribili e piene, sempre di neve. Qui nasce ermellini”. Se, dunque, fu Carlo Magno il primo uomo al comando sul Mortirolo, sarà il genio toscano la prima personalità di spicco a scollinare sul passo più alto d’Italia, già all’epoca utilizzato per comunicazioni e commerci nonostante non esistesse ancora una vera e propria strada d’accesso, che sarà realizzata solo 300 anni più tardi, su iniziativa d’un altro Asburgo, l’imperatore Ferdinando I d’Austria.
I “girini” faranno ritorno a Bormio dopo circa quattro ore di gara, completato un circuito di circa 120 Km, nel corso del quale si sconfinerà nella vicina Svizzera e si dovranno superare le prime tre ascese. Non s’incontreranno difficoltà, però, nei primi 40 Km, tracciati sulla statale che scende dolcemente verso Tirano. Il tratto iniziale si svolgerà in piano attraverso la Valdisotto, la porzione di Valtellina che maggiormente fu colpita dalla catena di calamità naturali che colpì la provincia di Sondrio nell’estate del 1987. Il mattino del 28 luglio una ciclopica frana si staccò dal Monte Zandila, 40 milioni di metri cubi di materiale in caduta libera che provocarono lo sbarramento del fiume Adda (con la conseguente formazione di un lago naturale) e la distruzione di quattro abitati, compresa la millenaria chiesa di San Martino di Serravalle, della quale si salvarono solo gli affreschi perché, bisognosi di restauro, tempo prima erano stati trasferiti a Milano, presso l’Accademia di Brera. Fu miracolosamente aggirata l’altra chiesa di San Bartolomeo de Castelaz, che conserva dipinti del XIV secolo e la cui mulattiera d’accesso fu asfaltata a tempo di record, per aggirare il corpo dell’immenso smottamento e consentire ai soccorsi l’accesso alla conca bormiese. È proprio in quell’occasione che fu migliorata anche la strada d’accesso al Gavia, di fatto consentendo al Giro di tornare sul celebre passo.
Iniziata la discesa, la corsa sfiorerà Sondalo, centro incorniciato dalla vasta Pineta di Sortenna, salubre luogo che il regime fascista individuò per crearvi un vasto complesso sanatoriale, pensato per la cura del “mal sottile” (la tubercolosi) e oggi in parte trasformatosi in un ospedale che, oltre ad essere il principale della provincia, è anche uno dei più attrezzati d’Italia per la cura delle patologie polmonari.
Si giungerà quindi a Grosio e Grosotto, tra i quali si rasenterà lo sperone roccioso sul quale sono state scoperte negli anni ’60 interessanti incisioni rupestri, “figlie” di quelle più celebri della non lontana Valcamonica: l’area è compresa all’interno di un apposito parco, istituito anche per salvaguardare due antichi castelli, il Nuovo e il Vecchio.
Raggiunta Mazzo non si potrà fare a meno di gettare l’occhio verso sinistra ed esprimere un pensiero memore alle fatiche profuse il giorno prima, lungo quella stradaccia infame, che si snoda nascosta tra quelle pendici boscose e che molti avranno maledetto. Così fece nel 1996 lo spagnolo Olano quando, giunto stremato all’Aprica, disse che bisognava impiccare chi aveva pensato d’asfaltare le rotte verso il Mortirolo!
La fase d’avvio si concluderà col passaggio nell’importante centro di Tirano, il cui cuore pulsante è però rappresentato dalla frazione di Madonna, sorta in prossimità del confine di stato e sviluppatasi attorno all’imponente santuario eretto sul luogo di un’apparizione mariana avvenuta il 29 settembre del 1504. Tra i numerosi fedeli qui giunti nel corso dei secoli ci fu anche un messo del celebre Richelieu, che nel 1636 recò al santuario in dono i ricchissimi paramenti liturgici personali, ricamati in oro e argento, del potente cardinale francese: fu una sorta di ringraziamento alle popolazioni locali per aver sopportato la presenza francese in valle, occupata allo scopo d’impedire agli spagnoli e agli imperiali il controllo dei passi alpini.
È arrivato il momento d’affrontare il primo dei quattro valichi di giornata, l’interminabile Forcola di Livigno. Dall’inizio dell’ascesa allo scollinamento ci saranno ben 34 Km di strada, quasi per intero da percorrersi in territorio elvetico, anche se non saranno tutti all’insù. Affrontati i primi 7,8 Km al 6,8%, infatti, la strada spianerà per quasi 8 Km costeggiando il lago di Poschiavo e poi portandosi nell’omonimo centro, il principale di una delle quattro vallate di lingua italiana del Canton Grigioni (le altre sono la Bregaglia, la Mesolcina e la Calanca, oltre al centro di Bivio, che si trova in Val Sursette). Decisamente più acclivi i restanti 18 Km, che condurrano a 2315 metri di quota superando un dislivello di 1278 metri, una pendenza media del 7,1% e una massima del 13%, raggiunta nel tratto terminale, una volta abbandonata la strada principale, che sale verso il celebre Passo del Bernina.
Rientrati in Italia, si planerà – inizialmente rapidamente e poi con dolcezza – nella conca percorsa dal torrente Spöl (localmente conosciuto come “Aqua Granda”, con il friulano Slizza e l’altoatesina Drava sono gli unici corsi d’acqua italiani a terminare il loro cammino nel Mar Nero e non nel bacino mediterraneo) e nella quale si adagia per parecchi chilometri il lungilineo abitato di Livigno, comune che vanta due primati, quello di centro più settentrionale della Lombardia e quello del più popoloso tra i 26 comuni italiani situati oltre i 1500 metri sul livello del mare. È noto anche per il suo status di “zona franca”, conseguito per la prima volta nel 1538 a seguito di speciale deroghe pattuite con l’allora Contea di Bormio e in seguito confermate dallo stato italiano, retaggio del tempo nel quale la conca di Livigno era isolata dal resto della Valtellina per l’intero periodo invernale. Infatti, la strada del Foscagno, aperta tra 1912 e 1914 per soli scopi militari, era inizialmente percorribile solo nei mesi estivi e lo rimarrà fino all’ammodernamento apportato negli anni ’50. Sarà questa la prossima meta che i “girini” raggiungeranno, passando per l’intermedio – ma più impegnativo – Passo di Eira: si salirà a quest’ultimo con 6,2 Km di strada al 6,4% per poi giungere ai 4,6 Km al 5,9% del Foscagno dopo aver affrontato una breve discesa di 3 Km, nel corso si toccherà la frazione livignasca di Trepalle. Come la città madre detiene anch’essa due record, quella di centro abitato e di parrocchia più alta d’Europa (2069 metri), mentre ha recentemente perduto quello di luogo più freddo in assoluto della nostra penisola, stabilito nell’inverno del 1956 quando fu qui registrata una temperatura di -45° C (proprio nello scorso inverno, nella Busa di Manna, sulle Pale di San Martino, la colonnina di mercurio è scesa di due tacche più in basso). A controbattere i rigori di questo luogo, ci pensò negli anni ‘50 il battagliero parroco locale, don Alessandro Parenti: era un sacerdorte dal grande cuore ma burbero nelle maniere e nelle prediche, al punto che la curia lo spedì in questa località sperduta nel cuore delle alpi, dove entrò in conflitto col parroco comunista. Giovanni Guareschi, che ebbe modo di visitare questi luoghi, s’ispirò a Trepalle e alle sue vicende quando creò i personaggi di Don Camillo e Peppone: molti sacerdoti romagnoli si sono definiti gli ispiratori di Guareschi ma sulle pagine di “Mondo Piccolo”, i racconti di satira politica che avevano per protagonisti i due personaggi in seguito portati al successo da Fernandel e Gino Cervi, si fa riferimento al fantomatico paesino montano di “Trebilie”, toponimo chiaramente ispirato al paesino valtellinese.
Scendendo per la Valdidentro, bagnata nel suo tratto terminale dal fiume Adda (le sorgenti del più lungo affluente del Po si trovano nella soprastante Valle di Fraele), si farà ritorno a Bormio, dove si attraverserà il centro storico, rasentandone il suo monumento più rappresentativo, il “Kuérc”. Con questo termine di chiara genesi dialettale (significa coperchio) è identificata la tettoia posta nel cuore della centralissima Piazza Cavour, luogo dove un tempo si tenevano le assemblee e si amministrava la giustizia. E giustizia si farà anche al Giro perché è giunta l’ora di arrampicarsi su per la valle del Frodolfo, verso il Gavia, al cospetto delle cime del gruppo dell’Ortles-Cevedale. Su tutte spiccherà il Gran Zebrù, una delle vette più elevate della Lombardia, legata alla leggenda del sovrano Johannes Zebrusius che si sarebbe isolato su questo monte dopo esser tornato da una crociata in Terrasanta, alla quale aveva partecipato per far colpo sul padre della sua amata ma che, in sua assenza, aveva fatto maritare con un altro pretendente.
Il nome del monte derivò dall’iscrizione tracciata sul masso col quale il sovrano, sentendo prossima la fine, autosigillò la propria tomba (“Joan(nes) Zebru(sius) a.d. MCCVII”) e che è visibile al limite inferiore del Ghiacciaio della Miniera.
Il lato “B” del Gavia non ha una grande pendenza media complessiva, che risulta appena del 5,6%, un risultato che quasi “stride” con il 7,9% del lato “A”, dove si registra pure un’inclinazione massima più elevata di due punti (16%). Ma il versante bormiese non è per nulla una passeggiata e vince alla grande il confronto sul piano del chilometraggio e del dislivello, dovendosi superare strada facendo un gap altimetrico di 1399 metri (36 di più) in un lasso di poco meno di 25 Km, ben 8 in più rispetto a quelli che si affronterebbero salendo da Ponte.
L’approccio è dolce e nei primi 4 Km, che salgono al 3,2%, l’unica reale insidia è rappresentata dalla strettoia tra le case di Uzza, la prima e più bassa delle sette frazioni che compongono Valfurva, il comune dei “Compagnoni”. È il cognome più diffuso nella valle, reso celebre nel mondo da personaggi quali la campionessa di sci Deborah e il mitico alpinista Achille, l’eroe del K2.
Bisogna transitare per sede municipale, la frazione di San Nicolò, e poi attendere ancora un breve tratto prima che la salita si faccia più decisa, senza però proporre ancora grandi pendenze: con 7,7 Km al 5% si giungerà nella celebre stazione turistica di Santa Caterina, posta nel luogo ove la Valfurva ha termine sdoppiandosi nelle valli dei Forni (dove si trova l’omonimo ghiacciao, uno dei principali d’Italia, purtroppo dimezzatosi nelle dimensioni a causa del surriscaldamento) e del Gavia, percorsa dall’omonimo torrente. È ovviamente lungo quest’ultima che si svolgeranno le fasi più interessanti di questa frazione, arrampicandosi per 11 Km al 7,3%, lungo una strada nel frattempo divenuta più stretta e tortuosa. Quando i “girini” avranno raggiunto il Rifugio Berni potranno considerare terminata l’ascesa, anche se al passo mancheranno ancora poco di 2 Km, piuttosto teneri.
Giungerà ora il momento più difficile della giornata, una discesa da vivere a denti stretti e freni tirati percorrendo quella che, fino all’8 giugno del 1960 era un itineriario noto solo ai militari, realizzato in occasione della prima guerra mondiale – quando vi si svolsero numerosi scontri – tornando a calcare antichissime e abbandonate rotte, frequentate già nel XIII secolo, periodo nel quale il Gavia costituiva uno dei rari passi praticabili per i commerci tra la Serenissima Repubblica di Venezia e l’Europa del Nord.
Quasi nessun “comune mortale” osava avventurarsi lassù e ne sa qualcosa quel giovane viandante che nell’autunno del 1929 tentò di valicare il passo e, sorpreso da un’improvvisa e violenta bufera di neve e rischiata la vita, ringraziò Dio d’avergli salvata la pelle facendo erigere il bel crocefisso intagliato che si nota sulla riva del Lago Bianco, all’inizio del versante valtellinese.
Le cronache tornarono a parlare del Gavia nel 1954, raccontando di una tragedia avvenuta al momento del transito di un autocarro nel punto più esposto della discesa verso Ponte: la massicciata cedette improvvisamente e il mezzo precipitò nel burrone, provocando la morte di 18 dei 23 alpini che si trovavano sul mezzo. Un cippo ricorda quel tragico evento ma i corridori, fortunamente, non lo vedranno poiché scendendo oggi si percorre una variante in galleria, realizzata negli anni ’80 proprio per evitare quel rischiossissimo tratto di strada, l’unico rimasto a presentare ancora l’originario fondo naturale.
Giunti a Ponte di Legno, dello stesso materiale i corridori si ritroveranno muscoli e gambe con tutti i “virages” stretti ai quali saranno stati fin lì obbligati dalle difficoltà della discesa. E proprio ora si dovrà ricominciare a pedalare all’insù, per gli ultimi 12 Km al 5,2% che condurrano ai 1883 del Tonale, altro testimione delle vicissitudini della Grande Guerra, tramandate dal ricordo degli oltre 800 caduti che riposano nel locale sacrario. A 95 anni dalla fine dei combattimenti, altre battaglie torneranno a imperversare tra l’Adamello e l’Ortles…. ma stavolta saranno sparati solo pacifici colpi di pedale.
I VALICHI DELLA TAPPA
Forcola di Livigno (2315m). Valicato dalla strada (SS 301, “del Foscagno”) che mette in comunicazione Livigno con Poschiavo (Svizzera) e la strada del Passo del Bernina. Vi transita il confine di stato. Si tratta di una prima assoluta per il Giro d’Italia, che l’aveva già in programma nell’edizione 2005 ma era stato costretto a rinunciarvi per il maltempo, spostando da Livigno a Madonna di Tirano la partenza della frazione di Lissone.
Passo Eira (2208m). Valicato dalla SS 301 “del Foscagno”, tra Livigno e Trepalle. Quotato 2211 sulle cartine del Giro 2010. La corsa rosa vi è salita due volte, nel finale delle tappe livignasche del 1972 e del 2005. Il primo anno scollinò in testa lo spagnolo José Manuel Fuente (primo al traguardo Eddy Merckx), mentre cinque anni fa, quando a Livigno giunse primo il colombiano Iván Parra, il passaggio sull’Eira non era considerato GPM.
Passo di Foscagno (2291m). Valicato dalla SS 301 “del Foscagno”, tra Trepalle e Valdidentro, funge da spartiacque tra il bacino del Po (Adda) e del Danubio (Inn). Nei due citati precedenti del 1972 e del 2005, il GPM fu conquistato da Fuente e da Parra.
Passo di Gavia (2621m). Aperto tra il Corno dei Tre Signori e il Monte Gavia, è attraversato dalla SS 300 “del Passo di Gavia” e costituisce lo spartiacque tra la Valtellina e l’alta Valcamonica. E’ quotato 2618 sulle cartine del Giro, che l’ha inserito 11 volte nel percorso, ma in tre occasioni è stato costretto a rinunciarvi: nel 1961 la tappa Trento – Italia 61 (Passo Resia) prevedeva anche lo Stelvio ma a causa della neve si corse su di un tracciato totalmente ribaltato, con arrivo a Bormio, Stelvio al contrario e Gavia sostituito dai passi di Pennes e Monte Giovo; nel 1967 la tappa Trento – Tirano proponeva lo Stelvio come percorso principale e il Gavia come alternativa, ma andò a finire che non si riuscì a salire su nessuno dei due passi e si andò al traguardo passando dall’Aprica; nel 1989, infine, la tappa Trento – Santa Caterina Valfurva fu annullata poiché non sussisteva la possibilità di andare al traguardo per altra strada. Gli effettivi scollinamenti portano il nome di Imerio Massignan (1960, Trento – Bormio, primo il lussemburghese Charly Gaul), dell’olandese Johan van der Velde (1988, Chiesa Valmalenco – Bormio, primo il connazionale Erik Breukink), dei colombiani Hernán Buenahora (1996, Cavalese – Aprica, primo Ivan Gotti) e José Jaime González Pico (due volte, nel 1999 e nel 2000; tappe vinte rispettivamente dallo spagnolo Roberto Heras all’Aprica e da Gilberto Simoni), del croato Vladimir Miholjevic (2004, tappa Cles – Bormio 2000, primo Damiano Cunego) , dello spagnolo Juan Manuel Gárate (2006, tappa Trento – Aprica, primo Ivan Basso) e del messicano Julio Alberto Pérez Cuapio (2008, tappa Rovetta – Tirano, primo Emanuele Sella).
Passo del Tonale (1883m). Ampio valico prativo aperto tra il Monticello e la Cima di Cadì, costituisce anche il punto di separazione tra i massicci dell’Adamello e dell’Ortles-Cevedale. Sede della principale stazione di sport invernali della provincia di Trento, è valicato dalla SS 42 “del Tonale e della Mendola”, tra Ponte di Legno e Vermiglio. Vi transita il confine tra Lombardia e Trentino-Alto Adige. Nel 1933 è stata l’ultima delle quattro salite chiamata a decretare la prima classifica degli scalatori, istituita quell’anno e conquistata da Alfredo Binda, che fece suo anche il GPM del Tonale e la relativa tappa (Bolzano – Milano), oltre alla maglia rosa finale. In seguito ci si è tornati altre 22 volte, mentre non si riuscì a salire nel 1989, quando fu annullata la tappa di Santa Caterina. L’ultima volta scollinò in testa lo spagnolo Juan Manuel Gárate, nel corso della citata frazione di Aprica del 2006. Nel 1997, prima e finora unica volta, ci fu l’arrivo di tappa: salendo dal versante trentino s’impose il colombiano José Jaime González Pico, noto nell’ambiente col soprannome di “Chepe”.
Mauro Facoltosi
FOTOGALLERY
Foto copertina: Il Giro 1988 sul Gavia (foto Biblioteca Panizzi)