FEILLU DI VIA (LIBERA) ALLA FUGA RINALDO CAVALIERE IN GIALLO

luglio 10, 2009
Categoria: News

Un arrivo in salita così monotono spicca – in negativo – persino al Tour. Non per niente nella dozzina dei migliori abbondano i carriarmati, che hanno aperto il gas nei due km pedalabili o addirittura di falsopiano con cui culminava l’ascesa, non proibitiva ma condotta a passo di marcetta da un’Astana in sfilata; fino allo sparo di Contador. Appassiona allora la vicenda della fuga di giornata…

C’è una fuga, là davanti, una fuga con oltre dieci minuti di vantaggio, ma per oltre 200km nessuno si danna per andare a pizzicare i quattro evasi. L’Astana gestisce l’ordinaria amministrazione, mentre la Saxo sbriga la pratica impostagli dalla maglia gialla, reale ma ormai pressoché virtuale, di Cancellara.
Là in fuga ci sono nove uomini, agglomeratisi attorno al bel tentativo di quarto chilometro operato da due spagnoli di robusta caratura, Egoi Martinez (EUS) e Ivan Gutierrez (CdE) che vengono scortati per obbligo di firma dal questurino francese di turno, il bravo Riblon (A2R) affamato di punti a pois. A loro si aggiungono un altro terzetto di transalpini, Feillu (AGR), Kern (COF) e Pineau (QST), nonché Nocentini che va a comporre un bel duo per l’Ag2R, Kuschynski della Liquigas che concede spazio a qualche bizzarro sogno di appoggio in verde e il tedesco Frohlinger nel vano tentativo di dare un senso alla stagione della ancor balbettante Milram.
L’azione procede in bellissimo accordo, con una doppia fila pulita ed efficace, tanto da far lievitare il vantaggio con l’indubbia complicità di un inseguimento non certo indiavolato. Non c’è gran mischia se non in occasione dei Gpm, collezionati con scrupolo da un Riblon che verrà poi beffato nel finale rispetto alla possibilità per la sua squadra di fare addirittura doppia maglia: ma le spoglie si spartiscono, da che mondo e mondo, e così verranno spartiti anche i miseri resti di un arrivo in salita ridotto a baruffa.
È solo quando la strada comincerà a opporre falsipiani tignosi, già prima degli ultimi 10km di salita vera, con duecento chilometri abbondanti macinati nelle gambe, che la muta di bracchi Astana si scaglierà sulle piste dei nove.
Si vive così nell’incertezza dei calcoli e delle stime, tra l’ottimismo dei nazionalisti che scoprono un Rinaldo potenziale giallo e il pessimismo della – pessima, ormai è abitudine di quest’anno – regia francese. Solo quei numeri, per quanto aridi, riscattano una fase di stanca senza spunti.
Poi inizia la salita, e dietro la stasi continua, anzi si aggrava in inerzia, mentre sul fronte più avanzato dei fuggitivi fibrilla un fuoco di fila di scatti e scattini frizzanti. Svanisce presto Kuschynski, e con lui le speranze di assistere ad alcunché di inventivo.
L’azione vincente è quella di Brice Feillu, noto fin qui come fratellino minore (di un anno solo) di Romain, tanto che L’Equipe dedicò a Brice un anno orsono un articolo intitolato “l’autre Feillu”: e non che il Feillu maggiore sia poi una celebrità (anche se ruota veloce promettente, spesso piazzato, e portatore per 24 ore di una maglia gialla e bianca un anno orsono)! Il Feillu minore è però di parecchie taglie più grande, e rasentando il metro e novanta sta una buona spanna sopra al maggiore; sebbene una silhouette scheletrica gli consenta di registrare pochi kg in più sulla bilancia. Così, di primo acchito, ci verrebbe da dire che proprio Brice è atteso da prospettive più luminose: se la scena dei velocisti compatti è a dir poco occlusa da numinose presenze d’Oltremanica – e Romain sembra finanche troppo esile per competere con certi torelli tutto nerbo – Brice pare appartenere a una categoria di gran moda, quella giacomettiana di atleti stirati o trafilati, lungagnonissimi quanto prosciugati fino all’osso (Gesink, Andy Schleck, in minor misura Kreuziger ne sono i principali esponenti).
Una buona Vuelta Asturias, conclusa con la maglia di miglior scalatore, è stata per Brice il prodromo di questa tappa pirenaica coronata pure qui dalla maglia che onora i grimpeur: praticamente – in Francia – una professione a sé stante già consegnata nelle manone affusolate di quest’altro fratellino da annoverare nel numero dei minori arrembanti, da Francesco Masciarelli al già citato Andy (ci sarebbe da capire chi è il fratello minore tra i gemelli Efimkin!).
Otto anni d’età separano il giovane trionfatore di giornata e l’altro vincitore di oggi, Rinaldo Nocentini. Li accomuna una simpatia per le Asturie, perché sul Naranco (nel 2005) Rinaldo riportò una delle sue non moltissime ma spesso pregiate vittorie. Otto anni sono trascorsi dall’ultima maglia gialla indossata da un italiano, Elli, che si tenne in prestito per qualche tappa appena increspata il simbolo del primato, a differenza di Rinaldo però perdendolo proprio alla prima ascesa. D’altronde basti pensare che Bettini era allora maglia a pois e Commesso il miglior giovane… Prima di questi, Marco Pantani, che la indossò per condurla a Parigi. I primi novanta erano trascorsi anch’essi senza grandi abbagliamenti gialli, ma solo con le comparsate importanti sì ma di corto respiro di Cipollini (c’erano gli abbuoni), Gotti o persino Vanzella.

Rinaldo Nocentini ripensa trasognato all'impresa appena portata a termine (foto EFE)

Rinaldo Nocentini ripensa trasognato all'impresa appena portata a termine (foto EFE)

Nocentini non è certo ciclista da tre settimane, la sua qualità risiede nella fiammata di giornata, su salite anche da intenditori, come il Mont Faron, il già citato Naranco, l’arrivo del GP Indurain (ricordiamo anche il secondo posto sul Ventoux). Così come sono da palati sopraffini le sue vittorie nelle semiclassiche, a Lugano, al Veneto, all’Appennino o alla Coppa Placci. La gran maggioranza delle sue stoccate tra i pro testimonia di una qualità da cesellatore.
Sono pochissimi i secondi che lo antepongono a Contador, è risentire degli sforzi odierni sulle salite del fine settimana, dure, benché lontanissime dal traguardo, gli lascerebbe questo retrogusto di limone, giallo ma asprigno, e nulla più. Un buon supporto di squadra (l’Ag2R cresce negli ultimi anni, e Riblon oggi è stato encomiabile) e una tenacia tutta da temprare però potrebbero lanciarlo sempre in testa fino a Colmar, o chissà perfino Verbier!
Il “gruppo dei migliori” ha offerto invece uno scenario da pompa funebre, consono forse a un ciclismo che sembra davvero aver perso la stella polare. L’Astana scandisce un passo risibile con Paulinho e poi con Zubeldia, la prima metà di salita, quella più impegnativa (che quindi esalterebbe la VAM…) se ne va 1500m/h. Nessuno osa attaccare.
Paura di esporsi? Troppo da perdere? Che cosa, poi?
Uno spettacolo deprimente: e non si dica che prevale la stanchezza di una prima settimana dura (psicologicamente, più che altro, o fisicamente per chi è cascato) , perché poi invece, agli ultimi tremila metri, i wattaggi sono schizzati alle stelle.
Dal quinto chilometro trascorrono altri duemila interminabili metri in queste ambasce, senza che si capisca se la maglia gialla interessi a qualcuno o meno, non parliamo poi della tappa che apparsa afferrabile presso Andorra città sfuma e viene regalata agli evasi. Si insegue o si molla quasi a comando, pensando che cosa si regala a chi. Ma che fine fa così l’agonismo, lo spirito di competizione? Siamo finiti su una piazza di commerci e grandi diplomazie, con i perdenti del tutto succubi dei padroni della corsa.
Ormai ai meno tre ci prova Evans, ma la sparata non è abbastanza violenta: l’australiano scattista non è, e tutti i grandi sono ancora in forze. Poi il suo giovane compagno Van de Broeck gioca la propria carta, e inesorabile si riporta sotto il gruppo (forte ancora di 30-35 unità, sulle 50 che iniziavano la salita: nemmeno una gran selezione da dietro, e per – poca – forza, a questo ritmo!). Questa scintilla di gioventù però innesca l’unico lumicino in questo cupo panorama. Brilla la fiamma di Contador, che in un istante arraffa le centinaia di metri necessarie a privare gli inseguitori della sua scia. È la mossa cruciale il primo a tentare una risposta è Andy Schleck, che però appare subito non all’altezza. Armstrong non molla mai un metro da chi va in caccia del madrileno, e ringhia come un mastino, protetto da Kloeden che lavora da ambiguo gregario (aiuta Lance a chiudere sui contrattaccanti, ma così la velocità di tutto il plotoncino che segue si alza). Sono solo un paio di chilometri, come nella tradizione armstronghiana del balzo finale per raccattare la ventina – duplicata dall’abbuono nell’era Lance –. Impossibile scavare abissi. Però Contador si mostra più forte, unico capace di fare una pur piccola differenza.
Alle sue spalle, una sporca dozzina di irriducibili, per lo più passisti inventatisti scalatori nonostante fisici cubici da rouleuer vecchia scuola. Vande Velde, Karpets, Martin, Wiggins, è tutta gente che dichiara chiaro e tondo di come la salita ormai sia altra cosa che non terreno da grimpeur. Wiggins, poi, è il più assatanato, è lui a trascinare il gruppetto sulla riga con una trenata che da sola vale quasi dieci secondi. Da segnalare l’affanno inatteso di Kreuziger in casa Liquigas, l’eccelsa difesa di Nibali (punito dalle regole per l’assegnazione dei tempi), la rinascita senza acuti dei reduci dal Giro, Sastre e Menchov, mentre appena appena più appannato è Pellizotti. Evans c’è, ma gli manca il sacro fuoco benché non la grinta, gli Schleck sono appaiati, il che significa delusione per Andy, sorpresa positiva per Frank.
Entro un minuto scarso, comunque, arrivano trentaquattro atleti. Poca più selezione di San Martino di Castrozza, molta meno che all’Alpe di Siusi, per dare un termine di paragone. E un andamento della corsa degno del Bunraku, il teatro dei burattini giapponese. Ma con molto, molto meno pathos.

Gabriele Bugada

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