AVELLINO – BITONTO: LA TAPPA “TERRONA”
Carissimi lettori del sud, non ne abbiate a male. Nulla di spregiativo vi è nella dedica che abbiamo rivolto alla decima frazione della corsa rosa. “Terrone” lo sono per davvero le strade che si percorreranno e che testimoniano dietro ad ogni curva secoli di sudore scorso sulla fronte dei lavoratori di queste terre difficili da addomesticare, spesso ribelli. L’origine stessa del termine, lontana da significati negativi, va proprio cercata tra i latifondi del meridione, tra le masserie e i campi che per molti chilometri saranno oggi compagne di viaggio dei “girini”. Per loro si prospetta tutt’altra vita, invece, essendo questa una frazione di trasferimento abbastanza tranquilla, movimentata da cinque salite collocate ben lontane dal finale. La risalita al nord comincerà con un’altra tappa destinata all’epilogo in volata.
Non si offendano gli amici del meridione d’Italia per l’uso che abbiamo fatto di questo termine, sovente – e come tale riconosciuto dalla Corte di Cassazione, in una sentenza emessa cinque anni fa – utilizzato a titolo spregiativo, ma che nel campo ciclistico aveva perso queste connotazioni già nel 2007 quando, sul podio di Milano, Danilo Di Luca l’aveva sdoganato proclamandosi “strafelice di essere il primo terrone in rosa“. Il viraggio verso accezioni negative è iniziato negli anni ’70, facendo dimenticare la storia etimologica di questa parola, comparsa nel vocabolario degli italiani nel XVII secolo, quando fu coniata per identificare i latifondisti, ricchi proprietari di vaste prozioni di terra, generalmente mal coltivata e adibita a colture estensive alternate a pascoli e affidate alla manovalanza contadina.
Dunque, è questa l’origine della speciale “dedica” che abbiamo fatto alla decima frazione della corsa rosa, che si snoderà attraverso terre un tempo poverissime, che l’uomo – per trarne la necessaria sussistenza – è stato costretto a “domare”, spesso in condizioni avverse, data la geografia montuosa di questi luoghi. Terre che, spesso, non hanno ripagato l’uomo con la stessa moneta da lui profusa e invece si sono quasi ribellate, costringendolo a emigrare o, peggio, a sfollare, quando le forze della natura si scatenavano indiavolate. Sono le strade – un tempo impastate di polvere e sudore – dell’Irpinia quelle che il Giro attraverserà, nel trentennale del tremendo terremoto, nelle fasi iniziali di una tappa che si adagierà tra i monti, senza rispecchiare nelle sue caratteristiche tecniche i trascorsi di durezza patiti dai suoi abitanti. Sarà, infatti, un’altra giornata pensata a uso e consumo dei velocisti, altimetricamente più movimentata rispetto a quella proposta il giorno precedente a Cava, ma con le difficoltà piazzate lontano dal traguardo. Cinque le ascese da affrontare muovendo dalla Campania alla Puglia, con il solo Valico dell’Imbandina a presentare inclinazioni impegnative (infatti, sarà l’unico ostacolo del menù a essere coronato dal GPM), poi i treni degli sprinter avranno campo libero, quasi totalmente sgombro anche da zampellotti, negli ultimi 60 Km, che offriranno anche il vantaggio di un circuito finale che consentirà di prendere le misure del rettilineo d’arrivo. A questo punto, anche la salitella da superare nei 300 metri che precederanno il traguardo costituirà un problema di poco conto, mentre la vera insidia di questo finale potrebbe arrivare dal vento. Le folate hanno spesso dato parecchio filo da torcere al gruppo e sovente hanno finito per risultare decisive al Giro di Puglia. Lo stesso Pantani rischiò di rimanere vittima di un ventaglio nella frazione di Lecce del Giro che vinse nel 1998 e riuscì a tornare in gruppo solo con l’aiuto della sua squadra, la mitica “Mercatone Uno”, dopo un lungo e affannoso inseguimento pancia a terra.
Tornando alle salite, la prima delle cinque in programma dovrà essere affrontata subito dopo il via da Avellino. Primissimi chilometri in piano poi, attraversata Atripalda (anticamente detta Sabathia perché una fantasiosa leggenda ne attribuisce la paternità della fondazione a Sabatio, pronipote del biblico patriarca Noè), s’inizierà docilmente a salire con pendenze trascurabili verso la Piana del Dragone, conca situata ai piedi dell’abitato di Volturara Irpina e del Terminio, una delle principali elevazioni della catena dei Monti Picentini, attrezzata per la pratica degli sport invernali e caratterizzata dai fenomeni carsici degli inghiottitoi, punti di penetrazione delle acque nel sottosuolo. Tra questi ultimi, il più interessante è proprio la Bocca del Dragone, la cui regolazione permise di bonificare la paludosa conca di Volturara che d’inverno torna a trasformarsi in un lago e che i “girini” raggiungeranno dalla strada più comoda, una variante della storica Via Appia, praticamente una superstrada che porterà velocemente a quasi 700 metri di quota evitando il tortuoso passaggio attraverso i centri di Parolise e Salza Irpina. Breve tratto in quota, poi si scenderà verso Cassano Irpino e quindi si andrà ad affrontare la seconda ascesa di giornata, circa 3500 metri al 5,4% ancora sulla variante, in direzione dello svincolo di Nusco, il terzo comune più alto (914m) della provincia di Avellino dopo Guardia Lombardi (998m) e Trevico (1094m), noto come “balcone dell’Irpinia” per lo stupendo panorama che offre sui monti circostanti e per essere il paese natale di Ciriaco de Mita, presidente del Consiglio dall’aprile 1988 al luglio 1989.
Poco dopo si entrerà in uno dei dieci centri – contando anche Avellino e Bitonto – toccati direttamente dal tracciato di questa frazione abbastanza “spartana” sotto quest’aspetto: i “girini” attraverseranno Lioni, uno dei comuni più colpiti dal sisma irpino, ma che non ha perduto il suo piccolo patrimonio artistico, prontamente restaurato e imperniato attorno alle due chiese dell’Annunziata e di Santa Maria Assunta e al Santuario di San Rocco, patrono del paese. Seguendo il corso dell’Ofanto si pedalerà in direzione dell’epicentro del terremoto del 23 novembre 1980, localizzato a Conza della Campania, centro che fu letteralmente “trasfigurato”. Da uno che era, ne scaturirono tre: il nucleo dei prefabbricati (tuttora abitati), la città moderna sul piano e l’abbandonato centro antico, completamente diroccato e posto in collina, in posizione dominante sul sottostante lago artificiale realizzato negli anni ’90 e che costituisce una delle principali fonti di approvvigionamento dell’Acquedotto Pugliese, il più grande d’Europa (oltre 3000 Km d’estensione, diramazione comprese), la cui costruzione fu iniziata nel 1906. È un paese, Conza, che fu distrutto e, al contempo, reso più ricco: la rimozione delle macerie del centro storico, infatti, permise di riportare alla luce anche i resti, oggi protetti da un parco archeologico, dell’antica Compsa, città romana che nel 216 a.C. fu occupata da Annibale, reduce dalla vittoriosa battaglia di Canne.
Il Giro passa in Basilicata, continuando a pedalare in pianura per una quarantina di chilometri. Subito dopo la stazione di Aquilonia (abbiamo accennato all’emigrazione all’inizio di quest’articolo e proprio da questo centro partirà in cerca di fortune oltreoceano la signora Maria, emigrata negli States col marito: non sappiamo se la trovarono, la fortuna, ma sicuramente la ottenne il loro figlio, il popolare attore Joe Pesci) si affronterà il tratto più difficile di questa tappa, la salita verso i 668 metri del Valico dell’Imbandina, sulle pendici nordoccidentali del Monte Vulture, antichissimo vulcano attivo nel Pleistocene, quasi 12000 anni fa. Ci sono quasi 9,5 Km di strada tra l’inizio dell’ascesa e lo scollinamento, ma non tutta la tratta è in salita poiché un troncone intermedio di 1500 metri, in lieve discesa, la spezza in due bocconi; il più ostico da digerire è rappresentato dai primi 5,6 Km, che si arrampicano al 5,1%, ma contengono cinque strappate impegnative, nelle quali la pendenza arriva fino al 13%, picco raggiunto nei pressi della località termale di Monticchio (punto di partenza per un’interessante escursione diretta ai vicini laghi, nei quali si riflette la bianca mole dell’Abbazia di San Michele). Leggermenti più pendenti risultano i 2,2 Km che conducono al GPM, nel corso dei quali si raggiungono altri momenti d’intensa ascesa, come il 14% registrato a 800 metri dalla vetta.
Sensibilmente più dolce la planata sull’altro versante, una dozzina di chilometri complessivi resi poco scorrevoli da un tratto pianeggiante ma tortuoso che inizierà dopo aver sfiorato l’antico centro di Melfi, il quarto per numero d’abitanti della regione, dominato dal castello edificato dai Normanni, che ne fecero la capitale della Contea di Puglia, creata nel 1043 e nel 1059 trasformata, mediante il Concordato di Melfi, in un vasto ducato che si estendeva fino alla Calabria. Passata dai normanni agli svevi, poi agli angioni, agli aragonesi, ai Vaccari e infine ai Doria, Melfi perse il suo prestigio a causa di una crisi economica vissuta nel ‘500, ma anche per i terremoti e per la posizione isolata, venuta meno in anni recenti con la realizzazione della veloce superstrada che collega agevolmente Foggia a Potenza: questo è stato uno degli incentivi che ha portato alla rinascita di questo centro, divenuto uno dei principali poli industrali della nazione (Barilla, FIAT) e per il quale si prospetta da qualche tempo la creazione di una propria provincia.
La discesa riprende in vista di Rapolla, un altro centro carico di storia e di ricordi del tempo passato (Cattedrale, chiesa di Santa Lucia, mentre il pregevole “Sarcofago di Rapolla” rinvenuto nel 1856 è oggi esposto nel castello di Melfi, sede del “Museo Archeologico Nazionale del Melfese”) frequentato anche per le sue terme. Imboccata la strada per Lavello e Canosa di Puglia, rasentando il Lago del Rendina – un altro bacino artificiale edificato per scopi irrigui – si affronterà il penultimo ostacolo di giornata, circa 4 Km di strada inclinata al 3%, quasi un’inezia. Per un’altra trentina di chilometri le salite diventeranno un ricordo e così anche la presenza umana: abbandonata anche la strada per Canosa, si taglierà nel mezzo con un lungo traversone quasi perfettamente orizzontale una vastissima area campestre punteggiata dalle caratteristiche masserie. Il termine “terrone” è probabilmente nato con riferimento a queste fattorie fortificate, vere e proprie aziende agricole dove i proprietari terrieri vivevano a contatto con i contadini fissi e i braccianti stagionali. Oggi talvolta riconvertite in agriturismi e in “B&B”, in zone sgombre da agglomerati urbani costituivano anche un punto di sosta e riferimento per i viandati e per questo ciascuna aveva un proprio toponimo: andando verso la Puglia la corsa lambirà la “Trentangeli”, poi le due “Sterpara” (la Sottana e la Soprana) e quindi la “Lupara”. Entrati nelle terre degli Japigi, la popolazione d’origine illirica dalla quale prese il nome la Puglia (erano, infatti, chiamati anche Apuli), il percorso continuerà a mantenersi lontano dai centri urbani, transitando alle spalle di Spinazzola (cittadina collocata sullo spartiacque tra i bacini del Bradano e dell’Ofanto, il principale fiume del “Tacco d’Ìtalia”) e poi, sempre correndo tra campi e masserie, andando a superare l’ultimo sforzo di giornata, l’ascesa di circa 4 Km (la pendenza media bazzica attorno al 4,5%) con la quale si scavalcheranno le Murge, proprio ai piedi del Monte Caccia (680m), una delle elevazioni principali di questo immenso altopiano carsico, vasto quasi 4000 Kmq. Si punterà ora con decisione verso Bari, lasciando sulla sinistra la strada per il “balcone delle Puglie”, com’è chiamata Minervino Murge per il suo panoramico affacciarsi sulla sottostante e sterminata pianura del Tavoliere, con i rilievi della Penisola Garganica a far da quinta. La deviazione per questo centro permette anche di visitare, tra le altre chiese, lo spettacolare santuario di San Michele Arcangelo, situato all’interno di una grotta frequentata come luogo di culto fin dall’epoca paleocristiana.
Inizierà adesso l’ultimo quarto di gara, scevro da asperità altimetriche e introdotto da una lunga e lentissima planata, che farà perdere 300 metri di quota in una trentina di chilometri: col gruppo che scenderà facilmente a tutta, coadiuvato anche dalla penuria di curve, il destino degli attaccanti di giornata sarà giocoforza segnato. Col pensiero fagocitato da questi rapidi frangenti di gara nessuno – né i fuggitivi, né la muta inseguitrice – avranno il tempo di distrarsi e alzare gli occhi verso il turrito edificio che sovrasta la strada nel tratto iniziale della discesa: è il celeberrimo Castel del Monte, uno dei monumenti più gettonati dai turisti di passaggio in Puglia, attratti più dai misteri che permeano la storia della sua costrizione che dal pregio artistico di questo edificio voluto dall’imperatore Federico II. Gli studiosi non hanno mai chiarito con esattezza lo scopo della costruzione, impropriamente definita castello (fu eretta in posizione non strategica e priva degli elementi architettonici tipici delle fortezze) e residenza di caccia (non si sono trovate le tracce delle stalle, per esempio): si pensa che, piuttosto, sia stata concepita come una sorta di tempio nel quale dedicarsi indisturbati allo studio delle scienze, tesi motivata dai provati criteri astronomici in base ai quali fu progettata la struttura ottagonale del complesso. Tra l’altro l’ottagono è ritenuto una figura intermedia tra il quadrato e il cerchio: adottandola a Castel del Monte, secondo gli studiosi di esoterismo Federico II avrebbe voluto rappresentare il passaggio dalla terra al cielo, che a quei tempi erano simbolicamente identificati proprio mediante le due rappresentazioni geometriche.
Raggiunta la pianura si farà ritorno nel mondo civile, dopo aver percorso un lunghissimo tratto, quasi 35 Km, costantemente tracciato in aperta campagna, con le sole masserie a rammentare la presenza dell’uomo e nessun centro urbano all’orizzonte. I “girini” attraverseranno ora Ruvo di Puglia, nel cuore del quale troneggia la concattedrale dell’Assunta, ritenuta una delle pagine più rilevanti della storia artistica della regione. Eretta tra il XII e il XIII secolo, è considerata uno dei principali esempi del romanico pugliese, stile che amalgama e rielabora peculiarità proprie delle architetture lombarde, pisane e orientali, caratterizzante anche la Basilica di San Nicola a Bari, le cattedrali di Otranto e Trani e il duomo della stessa Bitonto, al cui cospetto si giungerà una ventina di chilometri più avanti. Nel mezzo ci sarà il passaggio per Terlizzi, la “città dei fiori” che ha dato i natali, tra gli altri, all’attuale presidente della Regione Puglia Nichi Vendola e a Don Pietro Pappagallo, il sacerdote antifascista giustiziato il 24 maggio 1944 durante l’eccidio delle Fosse Ardeatine.
Ancora una quarantina di minuti di gara e, ultimati anche i 15 Km dell’anello bitontino, all’ombra della monumentale Porta Baresana – il principale tra gli antichi varchi d’accesso alla “città degli ulivi” – conosceremo il nome del decimo vincitore di tappa.
La risalita verso i picchi alpestri del nord è appena cominciata.
LAVORI IN CORSO
Cambiato totalmente il finale. Dopo Melfi si toccheranno Lavello, Canosa di Puglia, Andria, Corato, Ruvo di Puglia, Molfetta e Giovinazzo. Arrivo “secco”, senza circuito. L’ultima salita sarà dunque quella di Lavello. Il chilometraggio passa da 220 a 230 Km.
I VALICHI DELLA TAPPA
Sella della Cappella Madonna di Montevergine (775m). Vi transita la SS 7 – la storica Via Appia – tra Salza Irpina e il bivio per Volturara Irpina, all’altezza dell’omonima cappella (da non confondere con il non lontano santuario). Il Giro non vi transiterà direttamente, poiché percorrerà la parallela variante della statale.
Valico dell’Imbandina (668m). Riportato senza né nome, né quota sul testo Rossini, è valicato dalla SS 401 “dell’Alto Ofanto e del Vulture”, tra la località Foggianello e Melfi. Negli ultimi 25 anni il Giro vi è transitato tre volte, mai come GPM. Il primo passaggio è avvenuto nel 1987, nel corso della tappa-fiume (257 Km) San Giorgio del Sannio – Bari, vinta allo sprint dallo svizzero Urs Freuler. Doppia scalata nel 1992, affrontato rispettivamente nel finale della tappa di Melfi – conquistata con uno scatto nel finale da “Guidone” Bontempi – e nelle battute iniziali di quella terminata ad Aversa con lo sprint vincente di Mario Cipollini. In quest’occasione sulle cartine ufficiali era segnalata come “la Bandina” ed erroneamente quotata 750m.
Valico (497m). Situato alle porte della città di Melfi, nei pressi della rotatoria dove si congiungono la SS 401 “dell’Alto Ofanto e del Vulture” e la SS 303 “del Formicoso”.
Mauro Facoltosi
FOTOGALLERY
Foto copertina: Masseria Epitaffio, Gravina in Puglia (panoramio)